La norma in esame prevede una facoltà di recesso per il conduttore in due diverse ipotesi.
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Al primo comma è disciplinato il cosiddetto “recesso libero”, in virtù del quale il conduttore ha la facoltà di “recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, con lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione”.
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Al secondo comma viene previsto, a prescindere dalle specifiche pattuizioni delle parti, la possibilità per il conduttore di recedere dal contratto per “gravi motivi”, che la dottrina ha distinto in soggettivi e oggettivi, con il preavviso di almeno sei mesi, da comunicarsi ancora una volta tramite lettera raccomandata.
Dalla lettura della norma, emerge una
disparità di trattamento, almeno apparente, tra la posizione del locatore e quella del conduttore. Solo al secondo infatti, e non al primo, è attribuita dalla legge la facoltà di recesso.
Questa diversità di trattamento non ha mancato di suscitare alcune critiche tra gli operatori del diritto, sfociate in diverse richieste di declaratoria di
illegittimità costituzionale della norma in oggetto, con riferimento al parametro dato dall’
art. 3 Cost., con riguardo al principio di
uguaglianza.
Tuttavia, la Consulta ha respinto tali doglianze, poiché si è ritenuto che tale disparità sia frutto di una precisa scelta del legislatore del 1978, il quale aveva di mira la
tutela della parte debole del rapporto locatizio, il conduttore appunto.
Per questo motivo, l’impossibilità per il locatore di avvalersi di una facoltà di recesso prima della naturale scadenza del contratto è ampiamente giustificata dallo spirito della legge e dalla
ratio stessa del recesso, volto a favorire il conduttore, permettendogli di svincolarsi anticipatamente da un contratto nato per definizione in una condizione di “squilibrio”, se non altro economico, tra lui e il proprietario dell’immobile.
Non solo, si ritiene che l’introduzione dell’art. 4 della legge sull’equo canone abbia implicitamente abrogato l’
art. 1612 del c.c., relativo al recesso del locatore, che rimane operativo solamente con riferimento ai contratti non disciplinati dalla L. 431/1998 e per quelli esclusi dal capo I del titolo I della L. in commento.
Nonostante sia infatti avvenuta l'abrogazione dell’
art. 79 della l. equo canone, il patto stipulato dalle parti e volto ad attribuire al locatore la possibilità di recedere anticipatamente sarà comunque da ritenersi invalido, alla luce dell’
art. 13 della legge locazioni abitative, ai sensi della quale è da ritenersi
nulla ogni
pattuizione volta ad
attribuire al locatore un
indebito vantaggio, di natura normativa o economica.
Ci si è interrogati in giurisprudenza in merito alla possibilità, per le parti, di stabilire un termine di recesso più breve dei sei mesi previsti dall’art. 4.
Tale possibilità è oggi pacificamente ammessa, in ossequio al principio di libertà negoziale delle parti, che opera anche nel settore delle locazioni di immobili ad uso abitativo.
Maggiori difficoltà si riscontrano nell’ammettere la possibilità di convenire un
termine maggiore di quello legale di sei mesi, anche perché tale patto, introducendo nel contratto una
clausola vessatoria, richiederebbe la doppia sottoscrizione da parte del conduttore, così come previsto dal secondo comma dell’art.
1341.
Per quanto riguarda poi le modalità di inoltro al locatore della dichiarazione di recesso che, in quanto atto unilaterale recettizio, non necessita dell’accettazione del locatore e produce i suoi effetti non appena quest’ultimo ne venga a conoscenza, si è ammessa in giurisprudenza la possibilità di comunicare tale intenzione con atti equippollenti rispetto alla raccomandata, purché idonei a manifestare l’intendimento del conduttore in modo incontrovertibile.
Per quanto attiene poi alla determinazione in concreto dei “gravi motivi”, la dottrina ha individuato diverse ipotesi che rappresentano delle cause idonee, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, a permettere al conduttore di svincolarsi anticipatamente dal contratto.
In generale, la giurisprudenza ritiene che tali motivazioni debbano essere di una gravità tale da impedire una regolare e serena prosecuzione del rapporto locatizio, e debbano essere sorte in un momento successivo rispetto alla conclusione del contratto, connotandosi per imprevedibilità ed eccezionalità.
Tra queste motivazioni è possibile annoverare:
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il trasferimento o il licenziamento del lavoratore subordinato (a patto che non si tratti di dimissioni volontarie inoltrate dal lavoratore);
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l'inadempimento del locatore con riguardo alla sua obbligazione di mantenere l’immobile in buono stato di manutenzione (v. artt. 1575 e 1576);
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il fallimento del conduttore;
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lo "stalking condominiale", ovvero l'impossibilità di trattenere rapporti equilibrati con i vicini di casa;
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problemi strutturali del condominio dove è situato l’immobile, che pregiudicano il quieto godimento dello stesso;
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patologie invalidanti del conduttore o della sua famiglia, che gli impediscano di fare fronte all’adempimento della spesa di pagamento del canone;
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vizi occulti della cosa locata.