Cass. pen. n. 42965/2015
In tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in sede di appello, il giudice, ove trattasi di prove nuove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, deve disporre la detta rinnovazione osservando i soli limiti previsti dall'art. 495, comma primo, cod. proc. pen. che richiama la regola generale stabilita dall'art. 190, comma primo, cod. proc. pen., secondo cui il giudice ammette le prove escludendo quelle vietate dalla legge o quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti; ne consegue che l'assunzione delle dette prove nuove deve sempre essere vagliata dal giudice di appello sotto il profilo dell'utilità processuale, non invece sotto il profilo della loro indispensabilità o assoluta necessità.
Cass. pen. n. 9606/2012
La parte che abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel termine di legge ha la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria dei testimoni, periti e consulenti tecnici, considerato che il termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall'art. 468, comma primo, soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria, giacché diversamente, il diritto alla controprova che costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa, ne risulterebbe vanificato.
Cass. pen. n. 15208/2010
Il diritto alla prova riconosciuto alle parti implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici.
Cass. pen. n. 45450/2008
In tema di prove testimoniali, la mancata citazione per l'udienza dei testimoni già ammessi dal giudice non può, per ciò solo, comportare la decadenza dalla prova, salvo che il giudice, ritenendo la stessa superflua, non provveda motivatamente a revocarla.
Cass. pen. n. 49491/2003
In tema di formazione della prova, la violazione dell'obbligo del teste di non assistere all'esame delle parti e degli altri testi non è sanzionata da alcuna nullità o inutilizzabilità, sì che incombe al giudice, in sede di successiva valutazione della testimonianza, verificare se la rilevata irregolarità del mancato isolamento del teste durante il dibattimento abbia nociuto alla attendibilità della testimonianza. (Sulla base di tale principio la Corte ha ritenuto violato il diritto alla prova dell'imputato dall'ordinanza con cui il giudice di merito non aveva ammesso a testimoniare una persona ritualmente citata dalla difesa, sul presupposto che tale teste aveva assistito in aula alla istruttoria dibattimentale).
Cass. pen. n. 38812/2002
Il potere del giudice di revocare l'ammissione di prove “superflue” in base alle risultanze dell'istruttoria dibattimentale (art. 495, comma 4, c.p.p.) è ben più ampio di quello riconosciuto all'inizio del dibattimento (art. 190, comma 1, c.p.p.) di non ammettere le prove vietate dalla legge e quelle “manifestamente” superflue o irrilevanti, in relazione al diverso grado di conoscenza della regiudicanda che caratterizza i due distinti momenti del processo.
Cass. pen. n. 3977/1997
Gli atti investigativi compiuti dal difensore ai sensi dell'art. 38 att. c.p.p., essendo formati da un soggetto del procedimento nell'esercizio di una facoltà riconosciutagli dall'ordinamento al fine di essere esibiti dal giudice, che ha il dovere di prenderli in considerazione al momento della decisione, hanno il valore di atti del procedimento, per cui il loro risultato probatorio è utilizzabile tanto quanto quello degli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero. La valutazione del contenuto degli atti investigativi della difesa rimane pertanto affidata al prudente apprezzamento del giudice, il quale, nell'esercizio del suo libero convincimento, deve comunque tener conto della diversità di disciplina esistente tra l'indagine condotta dal titolare della funzione d'accusa e quella del difensore, ed in particolare della circostanza che gli elementi forniti dalla difesa sono circondati da una minor garanzia di veridicità, dato che alle dichiarazioni raccolte ai sensi dell'art. 38 att. c.p.p. non si applicano agli artt. 371 bis, 476 e 479 c.p. né le rigorose modalità di documentazione cui devono attenersi gli organi inquirenti. (In applicazione di tale principio, la Corte — pur rigettando il ricorso sotto altri profili — ha censurato l'ordinanza del tribunale della libertà che aveva negato rilievo ai nuovi elementi prodotti dalla difesa, consistenti in dichiarazioni di persone informate sui fatti, affermando che le informazioni raccolte in sede di indagine difensiva non possono provare il fatto oggetto della dichiarazione, ma unicamente il fatto storico dell'avvenuta dichiarazione).
Cass. pen. n. 5976/1997
Qualora la parte rinunci all'assunzione di una prova già, su sua richiesta, ammessa, detta rinuncia non vincola il giudice, il quale deve comunque valutare se la prova in questione sia divenuta o meno superflua e provvedere, quindi, in caso positivo, a revocarne l'ammissione, nel modo previsto dall'art. 495, comma 4, c.p.p.
Cass. pen. n. 6422/1994
Il diritto alla prova riconosciuto alle parti dall'art. 190, primo comma, c.p.p., implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito e che sfugge al sindacato di legittimità, quando abbia formato oggetto di apposita motivazione che abbia dato conto del provvedimento adottato attraverso una spiegazione immune da vizi logici e giuridici. (Nella fattispecie la corte ha affermato l'insindacabilità della decisione del giudice di merito che, sulla base della posizione assolutamente negativa assunta dal coimputato di prestare il proprio contributo di conoscenze e che avrebbe reso comunque inattendibile - nel caso, del tutto teorico in cui il suo atteggiamento fosse mutato - il successivo atto di ricognizione, ha ritenuto di non procedere al compimento di detto atto).
Cass. pen. n. 2333/1994
Nel giudizio abbreviato d'appello il giudice, ove lo ritenga assolutamente necessario ai fini della decisione, può disporre d'ufficio l'assunzione di nuove prove; le parti, invece, non hanno i normali poteri di disposizione della prova concessi loro dall'art. 190 c.p.p., avendo rinunciato a tale diritto coll'utilizzazione del rito abbreviato.
Cass. pen. n. 3666/1993
Nel vigente sistema processuale — caratterizzato dalla dialettica delle parti (art. 190 c.p.p.), alle quali è attribuito l'onere di allegare le prove a sostegno dei rispettivi petita — il giudice è tenuto a provvedere sulle relative richieste sulla base dei parametri di ammissibilità enunciati dall'art. 190, comma primo, c.p.p., con riguardo cioè ai divieti probatori ed alla pertinenza della prova richiesta al thema decidendum. Ogni diversa valutazione, non improntata ai suddetti criteri, in fatto e in diritto, non solo esula dal potere del giudice ma contravviene al diritto alla prova delle parti, concretizzando una violazione di legge che vizia la relativa pronuncia del giudice. (Nella fattispecie, sulla base del principio sopra massimato, sono state annullate l'ordinanza dibattimentale e la sentenza che avevano ritenuto l'art. 234 c.p.p. ostativo alla acquisizione di un mandato di cattura emesso in altro procedimento e del certificato di carichi pendenti, richiesta dal pubblico ministero per desumere elementi relativi alla personalità dell'imputato ed al corretto esercizio del potere discrezionale avente ad oggetto la concessione delle attenuanti generiche, dal tribunale ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti).