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Articolo 1079 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Accertamento della servitù e altri provvedimenti di tutela

Dispositivo dell'art. 1079 Codice Civile

Il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l'esistenza contro chi ne contesta l'esercizio e può far cessare gli eventuali impedimenti e turbative. Può anche chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre il risarcimento dei danni.


Brocardi

Actio confessoria servitutis

Spiegazione dell'art. 1079 Codice Civile

Le due azioni confessoria e negatoria servitutis: determinazione concettuale e legittimazione

Se con un termine unico e generale vogliamo denominare confessoria il complesso delle azioni previste in questo articolo, dobbiamo poi distinguere per necessità un' actio confessoria di accertamento e un' actio confessoria di repressione danni.

a) Quest'ultima è proponibile contro chiunque violi in linea di fatto il diritto di servitù e da chiunque un tale diritto possa esercitare. Quindi non soltanto dal titolare della servitù attiva — che è sempre il proprietario del fondo dominante contro il proprietario del fondo servente, ma anche dall'usufruttuario del fondo dominante (a cui il godimento delle servitù attive del fondo stesso era espressamente consentito dall'art. 494 del codice abrogato, e lo è certamente anche nel sistema del nuovo codice, per quanto il primo comma dell' articolo predetto non sia stato esplicitamente riprodotto) contro un terzo violatore del suo diritto.

b) L' actio confessoria di accertamento, la vera ed essenziale confessoria servitutis, poichè mira a far dichiarare l'esistenza della servitù in se stessa, presuppone che l'interesse ad agire sia provocato da una violazione di tale natura che rappresenti un diniego del diritto di servitù e pertanto l'affermazione del diritto antitetico di libera proprietà. Ciò non può svolgersi che fra i titolari stessi dell'uno e dell' altro diritto, e quindi legittimato ad agire e attivamente il titolare della servitù — proprietario del fondo dominante — e passivamente il proprietario del fondo servente.

c) In caso di condominio o del fondo dominante o di quello servente avremo un'ipotesi di litisconsorzio necessario.

d) L'usufruttuario non è legittimato nè attivamente nè passivamente alla confessoria servitutis ma potrà rendersi soltanto interveniente adesivo. Nel caso però che il proprietario, titolare della servitù, stia inerte, egli potrà con la confessoria ususfructus investire indirettamente anche la questione dell'esistenza della serviti e così rendere necessario l'intervento in causa del titolare di questa, proprietario del fondo soggetto ad usufrutto.

e) Nemmeno l' enfiteuta (che sicuramente non ha la titolarità del diritto di servitù attiva del fondo enfiteutico) potrà, agire direttamente con actio confessoria per fare accertare l'esistenza della servitù. Ciò risulta implicitamente anche dall'art. 1079 che parla solo del « titolare della servitù ». Ma, come altrove ho dimostrato, la posizione singolarmente ampia di poteri e facoltà che il nostro sistema accorda all'enfiteuta, fa concludere con sicurezza per la sua legittimazione ad agire quale sostituto processuale nel caso che il titolare se ne stia indebitamente inerte.

f) Il semplice possessore, infine, anche se di buona fede, non è legittimato come tale ad alcun giudizio petitorio, e perciò non può ritenersi legittimato nemmeno all'azione in esame. Tuttavia, poiché può presentarsi come proprietario, pur non essendolo, sta di fatto la possibilità che la promuova e con successo. La sua legittimazione, però, si giustificherebbe sempre in base al fatto ch'egli vanta la proprietà del fondo dominante, ed il successo dipenderà dalla condizione che, sia pure a torto, la qualità di proprietario gli sia in effetti riconosciuta.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

514 In un capo autonomo, costituito da un unico articolo (art. 1079 del c.c.), riceve disciplina legislativa l'azione tipica a tutela delle servitù (actio confessoria). E' colmata così una lacuna del codice del 1865, che di tale azione non faceva parola. Nello stesso articolo si menzionano inoltre i provvedimenti conseguenziali di tutela che il titolare della servitù può invocare, ove della servitù sia accertata l'esistenza.

Massime relative all'art. 1079 Codice Civile

Cass. civ. n. 24940/2021

Le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come "qualitas fundi", ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù. Nell'ipotesi, pertanto, di inosservanza della convenzione limitativa dell'edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell'opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ex artt. 872 e 873 c.c.. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale l'inosservanza del regolamento consortile cui erano vincolate le parti del giudizio, recante limitazioni alle modalità di edificazione, consentiva al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti di quello del fondo servente con un'azione di natura reale per ottenere la demolizione dell'opera abusiva ex art. 1079 c.c.). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/03/2017)

Cass. civ. n. 9637/2020

La sentenza di mero accertamento di una servitù o della sua inesistenza non costituisce, in difetto di statuizioni di condanna, titolo esecutivo per richiedere al giudice dell'esecuzione misure idonee a far cessare impedimenti, turbative o molestie. (Rigetta, TRIBUNALE BELLUNO, 10/07/2018).

Cass. civ. n. 10617/2017

L'enfiteuta è legittimato ad agire in "confessoria servitutis", onde farne riconoscere in giudizio l'esistenza, essendo abilitato a costituire una servitù in favore del fondo oggetto del suo dominio, ai sensi dell'art. 1078 c.c., ed in applicazione analogica dell'art. 1012, comma 2, c.c., secondo cui l'usufruttuario può far riconoscere l'esistenza delle servitù a favore del fondo.

Cass. civ. n. 25809/2013

Colui che agisce in "confessoria servitutis" ha l'onere di provare qualora questa venga contestata, la propria legittimazione ad agire, in quanto titolare di un diritto di proprietà sul fondo dominante, sebbene la prova della proprietà non sia altrettanto rigorosa di quella richiesta per la rivendicazione, posto che, mentre con quest'ultima azione si mira alla dichiarazione del diritto di proprietà sul fondo, nel caso dell'azione confessoria si domanda soltanto l'affermazione del vincolo di servitù con le eventuali altre conseguenti dichiarazioni di diritto, onde la proprietà del fondo dominante costituisce unicamente il presupposto dell'azione ed è sufficiente che emerga anche attraverso delle presunzioni.

Cass. civ. n. 12479/2013

L' "actio confessoria" e l' "actio negatoria" a tutela di una servitù di passaggio che attraversi più fondi, avendo lo scopo di far riconoscere in giudizio l'esistenza della servitù, vanno proposte nei confronti del solo proprietario del fondo gravato che ne contesti o impedisca l'esercizio, senza necessità di integrare il contradditorio nei confronti dei proprietari degli altri fondi, neppur avendo rilievo, al fine dell'assunzione della qualità di litisconsorte necessario, la circostanza che alcuno di tali ulteriori titolari dei fondi intermedi abbia edificato un muro il quale, di fatto, impedisca il passaggio, in quanto questione di merito attinente, piuttosto, alla fondatezza della domanda.

Cass. civ. n. 12766/2008

Ai fini della costituzione contrattuale di una servitù di passaggio non è richiesto l'uso di formule sacramentali, ma è sufficiente che dalla relativa clausola siano determinabili con certezza il fondo dominante, il fondo servente e l'oggetto, rappresentato dall'assoggettamento dell'uno all'utilità dell'altro; pertanto, ai fini dell'accoglimento della domanda ex art. 1079 c.c. non è necessario risalire al contratto originario istitutivo della servitù medesima, essendo sufficiente il richiamo di esso nei successivi atti di acquisto.

Cass. civ. n. 1214/1999

Le turbative che abilitano all'esercizio delle azioni a difesa della servitù (azione confessoria e azioni possessorie) non devono consistere necessariamente in alterazioni fisiche attuali dello stato di fatto, essendo sufficiente un comportamento che ponga in dubbio o in pericolo l'esercizio della servitù.

Cass. civ. n. 8527/1996

Colui che agisce in confessoria servitutis (art. 1079 c.c.) ha l'onere di fornire la prova dell'esistenza di tale diritto — presumendosi il fondo preteso servente libero da pesi e limitazioni — mediante uno dei modi di costituzione o di acquisto (artt. 1058 e ss. c.c.) non essendo all'uopo sufficiente la mera esistenza di opere visibili e permanenti, non costituendo l'esistenza di siffatti elementi un autonomo modo di acquisto della servita, ma solo il presupposto dell'acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia. Né possono dare luogo ad inversione dell'onere della prova le ammissioni del convenuto, trattandosi dell'esistenza di un diritto reale, rimanendo salva solo la possibilità per il giudice di avvalersi degli elementi scaturenti dalle ammissioni del convenuto nella valutazione delle risultanze della prova offerta dall'attore.

Cass. civ. n. 4770/1996

Le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realtà inquadrabili nello schema delle servita. Pertanto, nell'ipotesi di inosservanza della pattuita convenzione limitativa dell'edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell'opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ex artt. 872 e 873 c.c.

Cass. civ. n. 1383/1994

Riguardo alla confessoria servitutis, la legittimazione dal lato passivo è in primo luogo di colui che, oltre a contestare l'esistenza della servitù, abbia un rapporto attuale con il fondo servente (proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale sul fondo o possessore suo nomine), potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento, contenente, anche implicitamente, l'ordine di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti del titolare della servita o di rimessione in pristino ex art. 2933 c.c. Gli autori materiali della lesione del diritto di servita possono, invece, essere eventualmente chiamati in giudizio quali destinatari dell'azione ex art. 1079 c.c., soltanto se la loro condotta si sia posta a titolo di concorso con quella di uno dei predetti soggetti o abbia comunque implicato la contestazione della servitù; altrimenti nei loro confronti possono essere esperite, ai sensi dell'art. 2043 c.c., l'azione di risarcimento del danno e, ai sensi dell'art. 2058 c.c., l'azione di riduzione in pristino con l'eliminazione delle turbative e molestie.

Cass. civ. n. 1842/1993

L'actio confessoria servitutis, quale azione reale avente ad oggetto l'accertamento dell'affermato diritto di servita, trova fondamento nel fatto stesso che vi siano contestazioni sulla legittimità dell'esercizio del medesimo, accompagnate o meno da impedimenti o turbative. Ne consegue che non può negarsi la qualificazione di confessoria servitutis alla domanda riconvenzionale spiegata dal convenuto in negatoria, per il fatto che quest'ultima domanda non sia stata accompagnata dalla menomazione o dalla privazione del possesso della corrispondente servitù.

Cass. civ. n. 1214/1986

Il titolare di una servitù può agire in giudizio sia per farne accertare l'esistenza ed il contenuto sia per far cessare eventuali impedimenti e turbative, nonché per chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre al risarcimento del danno. Peraltro nel mentre la domanda di riduzione dei luoghi in pristino stato, ove si tratti di violazione posta in essere dal proprietario del fondo servente, può essere proposta, per il carattere reale della relativa azione, dall'attuale titolare della servitù e contro l'autore della violazione solo se ed in quanto costui abbia ancora quella proprietà, la domanda intesa ad ottenere il risarcimento dei danni subiti dal fondo dominante, è esperibile, tenuto conto del carattere personale della relativa azione, attivamente anche dal soggetto che abbia perso la qualità di titolare della servita, purché abbia subito i danni quando ancora la conservava, e, passivamente, contro l'autore della violazione da cui è derivato il danno, anche se non è più proprietario del fondo servente, riguardo ai danni maturati sino al momento in cui ha avuto luogo il trasferimento della proprietà di detto fondo, con effetti che restano ovviamente circoscritti ai soli soggetti del rapporto processuale e non sono, quindi, opponibili al nuovo proprietario del fondo servente, che non abbia partecipato al giudizio. La legittimazione passiva di questo nuovo proprietario subentra salvo diverso accordo, solo per i danni verificatisi dopo l'acquisto che gli deriva dall'aver consentito con la propria inerzia, dolosa o colposa, il protrarsi della situazione antigiuridica, posta in essere dal precedente proprietario, nella quale si concreta il fatto produttivo del danno subito dal titolare della servitù.

Cass. civ. n. 5396/1985

L'azione confessoria servitutis — sia essa diretta al mero accertamento della servitù che all'accertamento e alla cessazione degli impedimenti e turbative — ha carattere reale e deve essere necessariamente esperita contro chi non solo contesti l'esistenza della servitù (con o senza turbative ed impedimenti), ma abbia altresì un rapporto attuale con il fondo servente, e cioè il proprietario, il comproprietario, il titolare di un diritto reale sul fondo od il possessore suo nomine, potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento — contenente, anche implicitamente, l'ordine di astenersi da qualsiasi turbativa — o di rimessione in pristino, ai sensi dell'art. 2933 c.c. Pertanto, tale azione non può essere esperita nei confronti del venditore del fondo (preteso) dominante, anche se lo stesso — nel giudizio instaurato dal suo avente causa con azione confessoria nei confronti del proprietario del fondo (preteso) servente — abbia negato l'esistenza della servita potendo detto venditore essere chiamato a rispondere, dal compratore che abbia confidato ragionevolmente sull'esistenza della servitù, ovvero ne sia stato espressamente garantito, soltanto ai sensi dell'art. 1484 c.c.

Cass. civ. n. 3110/1985

L'actio confessoria, come azione reale a difesa della servitù, trova il suo fondamento solo se vi siano contestazioni sulla legittimità dell'esercizio del diritto di servitù, laddove se si è in presenza di turbative o minacce che non implichino la contestazione della servitù, si è fuori dell'ambito di applicazione della norma di cui all'art. 1079 c.c. e al titolare della servitù spetta, oltre alla tutela possessoria, l'azione di risarcimento di cui all'art. 2043 ovvero, ai fini della riduzione in pristino con l'eliminazione delle turbative o molestie, quella di reintegrazione in forma specifica prevista dall'art. 2058 dello stesso codice.

Cass. civ. n. 6673/1981

Il titolare del diritto di proprietà che abbia subito un pregiudizio in conseguenza della costruzione di un'opera illegittima (nella specie: perché realizzata in violazione di una servitù non aedificandi) può proporre contemporaneamente l'azione volta ad attuare la sanzione diretta, consistente nell'eliminazione della costruzione abusiva, e l'azione tendente a conseguire la sanzione indiretta del risarcimento del danno causato dalla stessa, avendo interesse sia a rimuovere per il futuro la situazione illegittima, sia ad ottenere il risarcimento del danno, con l'unico limite che, dal momento in cui la sanzione diretta è attuata, quella indiretta si circoscrive ai danni causati dall'opera prima della sua eliminazione.

Cass. civ. n. 4196/1976

Il proprietario del fondo dominante può far valere la responsabilità del proprietario del fondo servente, con riguardo alle violazioni dei divieti previsti dal diritto di servitù (nella specie, divieto di ingombrare un terreno con vetture od altre cose), non soltanto per i fatti direttamente commessi dal predetto proprietario del fondo servente, ma anche per i fatti posti in essere da terzi, con la sua tolleranza od a causa del suo comportamento (nella specie, consistente nella demolizione di un muretto divisorio, che aveva agevolato l'accesso di terzi al terreno).

Cass. civ. n. 2108/1975

Si deve escludere che il riconoscimento unilaterale dell'esistenza di un diritto reale — (nel caso di specie: servitù) — possa produrre l'effetto che, ai sensi dell'art. 1988 c.c., ha la ricognizione del debito: la relevatio ab onere probandi, con conseguente inversione del medesimo. E salva, peraltro, la possibilità per il giudice di avvalersi degli elementi scaturenti dalle ammissioni del convenuto, nella valutazione delle risultanze della prova offerta dall'attore in actio confessoria.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1079 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

P. S. chiede
lunedì 12/02/2024
“Gentile studio Brocardi,

Mi rivolgo a voi per ottenere assistenza legale riguardo a una questione di proprietà legata all'acquisto di un immobile nel dicembre 2021. L'immobile è parte di un casale risalente ai primi del 900, suddiviso in varie porzioni.

Nel 2004, un individuo identificato come "G." acquista una porzione del casale, comprensiva di una corte, identificata al catasto come ente urbano, particella catastale sulla quale insiste anche il fabbricato, e effettua una separazione creando due immobili separati (piano terra e primo piano/mansarda), ma senza specificare la separazione della corte nel progetto di costruzione. Successivamente, nel 2007, l'immobile al piano terra viene venduto e trasferito al signor "D." dal tribunale fallimentare nel 2014. L'immobile al primo piano e mansarda viene venduto nel 2011, rimanendo però disabitato, e acquisito da me nel 2021.

Il problema sorge poiché il signor "D.", approfittando anche della vacanza al piano superiore, si è appropriato della corte, costruendo illegalmente delle baracche e chiudendo l'accesso. Inoltre, parte della corte è occupata da baracche di un altro inquilino del complesso senza titolo di proprietà.

Nel mio rogito, la corte è menzionata nei confini dell'appartamento come "corte comune." Desidero comprendere se, in quanto proprietario dell'immobile collegato a questa corte. In caso affermativo, vorrei sapere come procedere legalmente.

Posso diffidare il signor "D." per occupazione della corte comune e l'altro vicino per aver occupato un'area su cui non ha alcun diritto? Come posso evitare che entrambi rivendichino diritti di usucapione, considerando che vivono nell'edificio dal 2008 e 2014?

Ringrazio anticipatamente per la vostra consulenza e rimango a disposizione per ulteriori dettagli o documenti necessari, quali l'atto di trasferimento del signor "G." e i precedenti fino ai primi del 900 che dimostrano l'acquisto della porzione di casale e del terreno poi trasformato in ente urbano, tutti i passaggi di proprietà successivi e i decreti di trasferimento e le visure catastali”
Consulenza legale i 20/02/2024
L’esame dei documenti e dei titoli inviati a questa Redazione induce a dover ritenere che la corte comune di cui si discute non possa farsi rientrare nell’oggetto del contratto di compravendita stipulato da colui che pone il quesito.
Da tale atto, infatti, risulta specificamente descritto quale oggetto di vendita l’appartamento sviluppantesi sui piani primo e secondo, identificato con le particelle indicate nel prosieguo dell’atto, le quali individuano il solo immobile ad uso abitativo.
Non viene indicata e, conseguentemente, non risulta trasferita alcuna particella catastale volta ad individuare la corte comune.
La sola circostanza che di tale “corte comune” se ne faccia menzione al fine della individuazione dei confini catastali non può essere assunta quale elemento sufficiente per dare prova della volontà delle parti di trasferire un diritto di comproprietà anche su di essa.

Solo un elemento avrebbe potuto consentire di avallare la tesi dell’acquisto di un diritto di comproprietà anche sulla corte comune, ovvero l’indicazione in atti anche della particella identificante tale corte e la specificazione del trasferimento di essa, in comproprietà con gli altri aventi diritto.
In assenza di tale clausola, si ritiene che si abbiano scarse speranze di poter avanzare alcuna pretesa.
Anche la visura catastale inviata a questa Redazione fa riferimento ad una particella catastale, la n. 277 del foglio 31, avente natura di ente urbano, di cui non si ha alcun riscontro nel proprio titolo di acquisto, ove invece vengono indicate le particelle 80 sub 10 e 277 sub 2 (graffate) del foglio 31, entrambe relative all’appartamento in tale atto descritto quale bene trasferito.

Quanto fin qui detto vale esclusivamente sotto il profilo del diritto di proprietà, mentre un discorso diverso può essere fatto per ciò che concerne l’occupazione indiscriminata di quella corte con beni e materiali di diversa natura, al punto tale da impedirne o rendere difficoltoso l’accesso, beni appartenenti perfino a soggetti che non possono vantare alcun diritto sulla stessa.
In particolare, se su tale corte è stato da sempre esercitato un diritto di accesso per raggiungere il proprio appartamento, è ben possibile agire a tutela di tale diritto, integrante a tutti gli effetti una servitù attiva di passaggio in favore dell’immobile di cui si è proprietari.
Può, dunque, preliminarmente procedersi con una diffida stragiudiziale indirizzata a coloro che occupano la corte con quei materiali, fissando loro un termine per asportare ogni bene ivi posto, in contrasto con quella che è la destinazione naturale dell’area.

In caso di inottemperanza a tale richiesta, si dovrà necessariamente fare ricorso all’autorità giudiziaria territorialmente competente, esperendo l’azione a tal fine prevista dall’art. 1079 c.c.
Tale norma, disciplinante la c.d. azione confessoria, consente a colui che se ne avvale di chiedere al giudice sia l’accertamento del diritto (anche l’avvenuto acquisto della servitù per usucapione) che la condanna del convenuto (o dei convenuti) a cessare eventuali impedimenti e turbative che ne impediscano il normale esercizio, oltre alla rimessione delle cose in pristino allorchè, come in questo caso, vi sia stata alterazione dello stato dei luoghi.
Il conseguimento di una pronuncia in tal senso costituisce titolo esecutivo per chiedere al giudice dell’esecuzione misure idonee a far cessare le turbative o le molestie denunziate.

Sotto il profilo urbanistico, invece, è ben possibile denunciare alle competenti autorità l’abuso edilizio perpetrato dai proprietari di quei materiali, ed in particolare da coloro che vi hanno collocato le baracche.
Si tenga presente, infatti, che secondo quanto disposto dall’art. 3 comma 1 lett. e.5 del Testo unico edilizia, sono da qualificare come interventi di nuova costruzione e, dunque, di trasformazione edilizia e urbanistica dl territorio (per il quale si rende necessario il permesso di costruire) “…l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione…”


Maria M. chiede
venerdì 21/10/2016 - Toscana
“Nell' atto di divisione , Tizio ha una servitù di passo e transito su terreno agricolo a favore di Caio. Nello stesso atto Caio acconsente ad un futuro trasferimento del tracciato "in altro luogo", purchè con spese a suo carico e regolari autorizzazioni amministrative.
A distanza di 6 anni, Tizio procede al trasferimento di detto tracciato per un notevole aggravio della servitù, alle condizioni di cui all' atto notarile, ripetutamente chiedendo anche a Caio di trovare una soluzione condivisa. Caio non risponde, neppure quando viene comunicato a lui e al suo avvocato, il nuovo tracciato, diffidandolo dal percorrere quello vecchio.
Dopo 20 mesi, Caio presenta un ricorso ex art 703 per il ripristino del vecchio tracciato. La giudice dichiara inammissibile il ricorso per scadenza dei termini di cui al 1168 c.1
Caio non propone reclamo nè istanza per la seconda fase del procedimento possessorio.
Ora Caio chiama Tizio alla mediazione intendendo proporre azione petitoria, senza precisare nella chiamata alla mediazione nè petitum nè altro.
DOMANDA: l' azione petitoria avente per oggetto non l' accertamento della servitù (mai negata da Tizio) ma la cessazione di presunte molestie per avere trasferito "in altro luogo", peraltro congruo e favorevole al fondo dominante, non ha, come l' azione possessoria, i termini di cui al 1168 c1, ovvero un anno per essere presentata, un anno fra l' altro da quando sarebbero iniziati gli atti molesti e non eventualmente dalla comunicazione di avvenuto trasferimento e relativa diffida (risalente comunque ad oltre due anni fa)?
Potreste rispondermi indicandomi eventualmente sentenze in proposito, sempre relative ai termini per codesto tipo di azione petitoria.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 28/10/2016
Colui il quale risulta titolare di un diritto di servitù, sia essa costituita per contratto o per legge, al fine di tutelare le proprie ragioni ha a disposizione una serie di mezzi processuali, da poter utilizzare a seconda delle situazioni e delle esigenze.

Tra questi un rilievo preminente assume l’art. 1079 c.c., il quale attribuisce al titolare del diritto di servitù la legittimazione ad agire in giudizio per ottenere l’accertamento dell’esistenza della servitù stessa e “altri provvedimenti di tutela” aventi per oggetto la cessazione degli eventuali impedimenti e turbative, la rimessione delle cose in pristino ed il risarcimento dei danni.

E’ questa la tradizionale actio confessoria servitutis, la quale ha carattere reale ed è esperibile contro chi contesta l’esercizio della servitù.
Poiché “non si può contestare l’esercizio senza contestare l’esistenza della servitù”, la legittimazione passiva dovrebbe spettare a rigore esclusivamente a chi, nella qualità di proprietario del fondo servente, può esperire l’azione negatoria per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa; tuttavia, la dottrina prevalente tende in vario modo a dilatare l’ambito dei legittimati passivi, ricomprendendo gli eventuali titolari di diritti reali minori di godimento sul fondo servente, il possessore o il detentore del fondo stesso, nonché più in generale chiunque “impedisce il libero esercizio” della servitù.

Più cauta e soprattutto più aderente al dato normativo si mostra la giurisprudenza, la quale ha avuto occasione di affermare, in consonanza con il tenore letterale della formula di cui all’art. 1079 c.c., che legittimato passivo principale, se non unico e necessario, è il proprietario del preteso fondo servente (Cass. 23.02.1980 n. 1303), precisando, per altro verso, che l’actio confessoria, come azione reale a difesa della servitù, trova il suo fondamento solo se vi siano contestazioni sulla legittimità dell’esercizio della servitù (ciò che nel caso di specie sembrano non sussistere), mentre se si è in presenza di turbative o minacce che non implichino la contestazione della servitù, si è fuori dall’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 1079 e al titolare della servitù spetta, oltre alla tutela possessoria (già invano esperita) l’azione di risarcimento di cui all’art. 2043 c.c. ovvero, ai fini della riduzione in pristino, con l’eliminazione delle turbative o molestie, quella di reintegrazione in forma specifica prevista dall’art. 2058 c.c.(Cass. 23.05.1985 n. 3110).
Tuttavia, secondo parte della dottrina (così Grosso e Deiana) ma anche della giurisprudenza (cfr. Cass. 26.02.1986 n. 1214), l’azione risarcitoria, oltre a potersi esperire in via autonoma ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2043 ss c.c., può essere innestata nell’actio confessoria, senza peraltro perdere la propria natura ed i propri caratteri, in tal senso argomentandosi dalla stessa lettera della norma la quale legittima il titolare della servitù che di tale azione decide di avvalersi di chiedere la rimessione in pristino oltre il risarcimento dei danni.

L’attore, in ogni caso, sarà tenuto a fornire la prova dell’acquisto della servitù mediante contratto o usucapione (Cass. 5396/1985) ed anche quando la servitù sia costituita per contratto, l’azione risarcitoria prevista dall’art. 1079 c.c. ha natura extracontrattuale e, pertanto, si prescrive in cinque anni; inoltre, trattandosi di illecito permanente, il termine decorre dal fatto generatore dell’illecito e si rinnova di momento in momento (così Cass. N. 250/1986).
Il provvedimento di riduzione in pristino, che all’esito di tale giudizio potrà essere emesso, ha carattere reale, con la conseguenza che sarà opponibile perfino al terzo acquirente il quale, avendo acquistato il fondo servente successivamente alla condanna a detta riduzione a carico del suo dante causa, dovrà lasciarla eseguire.

Da quanto sopra detto, dunque, emerge chiaramente che allorchè Caio, titolare della servitù, abbia esperito l’azione ex art. 1079 c.c., come si presume, lamentando l’esistenza di molestie e l’arbitrario trasferimento della servitù in altro luogo senza alcun consenso in tal senso, risulta ampiamente rispettato il termine per l’esercizio di tale azione, concordemente individuato in cinque anni dal fatto generatore dell’illecito.

Risultando dunque rispettato il termine per l’esercizio dell’azione, si suggerisce di valutare in sede di mediazione se nel trasferimento unilaterale della servitù sia stato rispettato il principio di carattere generale previsto già nel diritto romano e usualmente definito “del minimo mezzo” o “dell’uso civile”, in base al quale il titolare del diritto di servitù deve esercitarlo arrecando utilità al fondo dominante con minor aggravio per il fondo servente, tenendo peraltro conto del disposto di cui all’art. 1067 c.c., ai sensi del quale il proprietario del fondo servente non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo.

Il successivo art. 1068 c.c., proprio in materia di trasferimento della servitù, dispone che l’esercizio della servitù non è trasferibile in luogo diverso da quello ove era stata posta ab origine, precisando tuttavia che, nell’ipotesi in cui l’esercizio originario sia diventato più gravoso per il fondo servente o non permetta l’effettuazione di lavori, riparazioni o miglioramenti, il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell’altro fondo un luogo egualmente comodo per l’esercizio del suoi diritti e questi non può ricusarlo.

Ciò che infine non bisogna dimenticare è che i principi sopra esposti hanno natura sussidiaria (cfr. Cass. N. 731/2008; Cass. N. 13724/1999) e trovano applicazione solo allorquando il titolo costitutivo sia omissivo o lacunoso.
Nel caso di specie Caio sembra aver dato un consenso preventivo al trasferimento della servitù nello stesso atto costitutivo e, pertanto, se risultano rispettate le condizioni cui tale consenso è stato subordinato nonché le condizioni stabilite dall’art. 1068 c.c., come sopra illustrate, si ritiene che legittimamente Tizio abbia proceduto al trasferimento della servitù a cui Caio si sta arbitrariamente opponendo.

Michael L. chiede
mercoledì 03/09/2014 - Toscana
“La situazione:
Sono proprietario di un fondo circondato da fondi altrui. L'accesso è una strada privata che finisce sul fondo mio, è una strada cieca. Per proteggere il manto stradale e per evitare che dei visitatori in macchina finiscono su questa strada cieca ho montato a metà della strada una sbarra metallica - c'era consenso del proprietario del fondo servente, aveva una chiave. Alla fine della strada non c'è spazio da girare, le macchine devono andare indietro, è un pendio scosceso e abbastanza pericoloso. Rovinano il manto stradale.
Il problema:
Dopo quindici anni il proprietario ha venduto il suo fondo. Il nuovo proprietario del fondo servente ha subito - senza consultarmi - segato la sbarra.
Quest'estate ho installato alla stessa posizione un cartello stradale STRADA CIECA per avvertire gli automobilisti. Dopo una notte il cartello era sparito.
La mia domanda:
Ha il nuovo proprietario del fondo servente il diritto di eliminare la sbarra e il cartello o posso chiedere riparazione?”
Consulenza legale i 11/09/2014
Il quesito attiene alle modalità di esercizio di una servitù di passaggio, la cui esistenza è certa e non posta in discussione.
Il proprietario del fondo servente sta compiendo atti che potenzialmente danneggiano il proprietario del fondo dominante e bisogna comprendere se tale comportamento sia legittimo.
Va innanzitutto premesso che la legge consente che il proprietario del fondo dominante possa compiere tutte le opere necessarie per conservare la servitù, scegliendo naturalmente tempi e modi che arrechino minore incomodo possibile al proprietario del fondo servente e sostenendo le spese necessarie, ove non diversamente stabilito dal titolo o dalla legge (v. [[1069]]).
Tra le opere di cui al citato articolo, rientrano certamente quelle che hanno per scopo il garantire la conservazione nel tempo della servitù, mediante tutela di quelle cose (es. stradina privata) che consentono l'esercizio della servitù stessa.
Quindi, la sbarra metallica e il cartello di segnalazione di strada "cieca", in tal senso, sembrano configurare di per sé opere che il proprietario del fondo servente non può negare al proprietario del fondo dominate, considerato anche che queste non gli creano alcun disagio o danno (che pregiudizio può creare, ad esempio, il cartello apposto all'inizio della stradina?).
Tuttavia, nel caso di specie rilevano anche altre due norme: l'art. 1066 del c.c., secondo il quale "Nelle questioni di possesso delle servitù si ha riguardo alla pratica dell'anno antecedente e, se si tratta di servitù esercitate a intervalli maggiori di un anno, si ha riguardo alla pratica dell'ultimo godimento"; e l'art. 1067 del c.c., laddove stabilisce che "Il proprietario del fondo servente non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo".
L'art. 1066 si occupa di regolare le questioni attinenti all'estensione e alle modalità di esercizio di una servitù e sancisce che il proprietario del fondo dominante ha diritto ad esercitare il possesso della servitù secondo i modi praticati nell'"anno precedente": quindi, se per quindici anni è esistita una sbarra che impediva il passaggio di estranei, essa non avrebbe potuto essere rimossa unilateralmente dal proprietario del fondo servente.
Inoltre l'art. 1067 censura il comportamento del proprietario del fondo servente che commetta atti pregiudizievoli - anche solo potenzialmente - nei confronti del titolare della servitù. Al proprietario del fondo servente sono precluse le azioni idonee ad incidere negativamente sulla misura o sull'estensione dell'utilitas oggettivamente assicurata dal contenuto della servitù (che risulti dal titolo o - come nel caso di specie - dal possesso).
Il titolare della servitù può esercitare, entro un anno dalla rimozione della sbarra o del cartello stradale, l'azione di manutenzione ex art. 1170 del c.c., che tutela colui che sia stato "molestato" nel possesso di un diritto reale (quindi, anche di servitù) su di un bene immobile. Se è già trascorso un anno dalla rimozione della sbarra o del cartello, potrà esercitarsi comunque un'azione ordinaria chiamata "confessoria servitutis", con cui il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l'esistenza contro chi ne contesta l'esercizio, e può far cessare gli eventuali impedimenti e turbative: potrà anche chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre il risarcimento dei danni.
Quanto alla prova del possesso di una servitù, secondo la giurisprudenza, chi si assume "spogliato" del possesso deve solo dimostrare che esercitava la servitù in un dato modo (si proverà che esisteva una sbarra, che essa era utilizzata anche dal precedente proprietario, etc.): incombe sulla controparte provare che esisteva una situazione diversa o che la sbarra era stata installate per mera tolleranza da parte del proprietario del fondo servente.
In conclusione, in base agli elementi di fatto forniti nel quesito, si ritiene che il comportamento del proprietario del fondo servente sia stato illegittimo e per questo è ipotizzabile per il titolare della servitù di passaggio agire in giudizio per ottenere soddisfazione delle proprie ragioni. Naturalmente, è sempre consigliabile far precedere alla causa un tentativo di conciliazione con la controparte, per trovare un punto di incontro senza dover ricorrere ad un giudice.

Pio chiede
venerdì 09/03/2012 - Sardegna
“Spett.le Redazione,
il quesito che voglio porre alla vostra attenzione è il seguente: una servitù di passaggio può estendersi fino al punto di annullare completamente il diritto di proprietà?”
Consulenza legale i 12/03/2012

Il diritto di servitù ha una natura tale da poter compromettere in maniera rilevante gli interessi del proprietario del fondo servente. Per questo deve essere esercitato in maniera da recare minor danno possibile al fondo servente e, comunque, in modo da permettere un corretto ed utile esercizio della servitù. In relazione a tali esigenze, il legislatore ha posto una serie di regole da applicarsi quando le parti non abbiano previsto le modalità di esercizio del diritto. L'art. 1064 del c.c., infatti, prevede che il diritto di servitù si estenda anche a tutte le attività necessarie per il suo esercizio. Si tratta delle c.d admincula servitutis, cioè di quelle facoltà accessorie necessarie per l'esercizio del diritto, come ad esempio il passaggio sul fondo altrui per attingere l'acqua. Inoltre l'art. 1065 del c.c. sottolinea che, nel dubbio circa la estensione e le modalità di esercizio del diritto, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente con riferimento allo stato dei luoghi, all'estensione del fondo dominante e del fondo servente e di tutti gli elementi mediante i quali di norma è possibile individuare le esigenze del fondo dominante che le parti hanno voluto soddisfare, nonchè avendo riguardo al modo in cui la servitù è stata in concreto esercitata.


A. B. chiede
martedì 05/04/2022 - Estero
“Gentili Sig.ri

Si tratta di mia figlia Tizia che ha assieme al marito una vecchia casa. Tra questa casa e il vicino c’è una servitù di passaggio registrata con atto presso il catasto già nel 1950 circa. Durante gli anni, nessuna interruzione nell’uso ha comportato l’estinzione della medesima.

Ora Caia, la figlia del vicino (morto a causa del Covid) vorrebbe poter vendere la proprietà ereditata. Caia non era a conoscenza o almeno ha preteso di non sapere dell’esistenza dell’atto registrato e vuole adesso cercarne l’annullamento. Intanto ha chiuso il passaggio con una paratia in faesite.

La mia domanda e’ questa: Spetta a me agire per difendere la servitu’ in questione oppure spetta a Caia agire per raggiungere il suo scopo?

La situazione in cui ci troviamo mi ha spinto ad avventurarmi nel mondo del codice civile, ferma restando pero’ l’ignoranza in materia. Comunque una domanda mi sono posto a cui non ho trovato risposta: puo’ una servitu esposta a spoglio/molestia cessare di esistere se non viene difesa entro un anno? L’articolo 1170 sembra non contemplare questa possibilita’.

A sua volta l’ articolo 1072 e seguenti specificano in modo chiaro che l’estinzione della servitu’ puo’ avvenire per : confusione, prescrizione dopo 20 anni di non uso, accordo tra le parti o il venir meno della caratteristica di fondo intercluso. Il venir meno dell’utilitas non puo’ estinguere la servitu’ se non dopo 20 anni,articolo 1074.

In altre parole mi domando se corriamo il pericolo di subire l'estinzione della servitu' se non agiamo in via possessoria, nonostante quello che dicono gli articoli 1072,1073 e 1074 del Cc.

Cordiali saluti
Ps: invio separatamente copia dell'atto registrato”
Consulenza legale i 11/04/2022
In casi come questo se si ha interesse a continuare ad avvalersi della servitù e soprattutto se non si alcuna intenzione di perderne il diritto, occorre senza alcun dubbio reagire tempestivamente al comportamento illegittimo ed arbitrariamente posto in essere dal proprietario del fondo servente.
Diversi sono gli strumenti giuridici che il nostro ordinamento mette a disposizione a tale scopo.
Innanzitutto viene in considerazione l’art. 1079 del c.c., il quale contempla la c.d. "vindicatio servitutis", detta anche "azione confessoria"; mediante l’esercizio di tale azione si riconosce al titolare del fondo dominante il diritto di citare in giudizio il proprietario del fondo servente per ottenerne la condanna:
a) al riconoscimento dell’esistenza della servitù, qualora ne venga contestato l’esercizio;
b) alla cessazione di eventuali impedimenti o turbative.

Oltre a questa azione, espressamente prevista in materia di servitù, è tuttavia possibile avvalersi anche delle c.d. azioni possessorie.
Il diritto di servitù, infatti, presuppone che il proprietario del fondo servente consenta al titolare del diritto medesimo di esercitarlo; ogni forma di impedimento al suo esercizio, mediante azioni volte a precluderlo del tutto ovvero a renderlo soltanto più difficoltoso, viene definito spoglio (nel caso di specie lo spoglio è stato integrato dall’apposizione di un elemento che ne ostacola il passaggio).

In questi casi, il titolare del diritto di servitù per tutelarsi deve rivolgersi all’autorità giudiziaria, esercitando una delle azioni possessorie previste dal codice civile, come l’azione di reintegrazione disciplinata all’art. 1168 c.c.
In particolare, secondo quanto disposto da tale norma, colui che ha subito lo spoglio, entro un anno da esso (nel caso di spoglio clandestino entro un anno dalla sua scoperta) dovrà rivolgersi al Tribunale competente, chiedendo allo stesso di ordinare il ripristino della situazione anteriore allo spoglio ed eventualmente anche di condannare l’autore dello spoglio al risarcimento dei danni subiti dal possessore a causa della privazione del possesso.

Per ciò che concerne il risarcimento dei danni, si richiede che colui il quale ha subito lo spoglio dimostri il tipo di danno ricevuto e che sia anche in grado di quantificarlo, in quanto il pregiudizio non potrà ritenersi automaticamente riconosciuto dal giudice.
In tal senso si è pronunciata da ultimo la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31642/2021, nella quale è stato affermato che lo spogliato del diritto, che agisca per conseguire il risarcimento dei danni, è soggetto al normale onere della prova in tema di responsabilità per fatto illecito (ciò significa che, se non prova il pregiudizio sofferto, non potrà emettersi in suo favore condanna al risarcimento con liquidazione equitativa dei danni).

Altra azione possessoria esperibile al fine di tutelare l’esercizio di un diritto di servitù è quella che il codice civile definisce azione di manutenzione e che viene disciplinata al successivo art. 1070 del c.c..
Chi pone il quesito dubita della possibilità di esperire tale azione in tema di servitù, ma in realtà si tratta di dubbio infondato, in quanto, come si legge nella stessa norma, detta azione viene concessa non soltanto a colui che è stato molestato nel possesso di un immobile, ma anche a chi è stato molestato nel possesso di un diritto reale sopra un immobile (ed è tale proprio il diritto di servitù).
Diversi sono i presupposti che legittimano l’esercizio delle due azioni: con l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.) il ricorrente vuol far valere lo spoglio violento o clandestino posto in essere in suo danno e che lo ha del tutto privato del possesso; con quella di manutenzione (art. 1170 c.c.), invece, si fa valere la mera molestia nel possesso, differenziandosi sia le condotte “di aggressione” al bene da tutelare, sia i presupposti a fondamento della tutela del diritto.
L’azione di manutenzione è diretta contro la molestia nel possesso o c.d. spoglio semplice (la molestia si misura per gradi ed è manutenibile o no a seconda che superi o meno la normale tollerabilità), mentre l’azione di reintegrazione è diretta contro lo soglio vero e proprio, inteso come privazione del possesso, che può a sua volta essere parziale o totale, a seconda che cada sull’intera cosa o su parte di essa.

Nel caso di specie sembra evidente che l’azione posta in essere dall’altra parte sia a tutti gli effetti qualificabile come azione di spoglio, in quanto l’autore di essa ha inteso impedire, a chi fino a quel momento esercitava il diritto di servitù, il passaggio in qualunque modo sul proprio fondo, ostruendone lo stesso con un ostacolo.
Diversa, invece, sarebbe stata la situazione se anziché ostacolare del tutto avesse solo ostruito in parte il passaggio, ad esempio restringendone l’accesso in modo da consentire solo il passaggio pedonale anziché con mezzi meccanici (in questo caso l’azione più adatta alla tutela del possesso sarebbe stata l’azione di manutenzione di cui all’art. 1170 c.c.).

Tutto quanto fin qui detto ha, a sua volta, come presupposto essenziale la circostanza che l’atto avverso il quale tutelarsi (ossia lo spoglio) non sia stato posto in essere da più di un anno, poiché se risale ad epoca anteriore non ci si può più avvalere di questa forma di tutela più veloce, non fondata sui titoli, ma si dovrà necessariamente ricorrere all’azione contemplata all’art. art. 1079 del c.c. e citata all’inizio di questa consulenza, ossia la c.d. azione confessoria, per mezzo della quale si potrà ottenere sia il riconoscimento della servitù che l’ordine da parte del giudice di far cessare eventuali impedimenti o turbative all’esercizio di quella servitù.

Per concludere va precisato che nel caso delle azioni possessorie si discute soltanto del possesso di un immobile o di un diritto sopra un immobile, il che comporta che l’altra parte non potrà addure in propria difesa l’inesistenza della servitù, dovendo a tal fine esperire un diverso tipo di azione, che è la c.d. actio negatoria servitutis.
Inoltre, per quanto concerne il timore di poter perdere la servitù per estinzione del relativo diritto, va precisato che tale timore potrebbe essere fondato soltanto nel caso di servitù che si ha intenzione di acquistare per usucapione, in quanto troverebbe applicazione il disposto di cui all’art. 1167 del c.c., secondo cui l’usucapione è interrotta se il possessore è stato privato del suo possesso da oltre un anno.
In questo caso, invece, la servitù ha il suo titolo costitutivo in un regolare atto notarile debitamente trascritto ed a ciò si aggiunge, come riferito nel quesito, che l’uso di essa non è stato mai interrotto (ciò che è indispensabile al fine di non vedersi dichiarata estinta la servitù per non uso ventennale ex art. 1073 del c.c.).

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