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Articolo 1167 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Interruzione dell'usucapione per perdita di possesso

Dispositivo dell'art. 1167 Codice Civile

L'usucapione è interrotta quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno [2945].

L'interruzione si ha come non avvenuta se è stata proposta l'azione diretta a recuperare il possesso e questo è stato recuperato.

Ratio Legis

La disposizione riguarda la cd. interruzione naturale.
Essa ricorre qualora a chi possiede un bene venga sottratto in concreto il possesso del medesimo, in ragione del fatto di un terzo o di un evento naturale ( deve aversi, cioè, un fatto materiale e non un atto formale, come accade nell'ipotesi di cd. cause di interruzione civili).
La sottrazione del possesso del bene non implica l'interruzione automatica del termine di usucapione e l'inizio di uno nuovo; qualora, infatti, il possesso del bene venga recuperato in un anno dalla relativa perdita, o, anche, in un secondo momento, sempre che entro l'anno sia stata esperita l'azione finalizzata a recuperarlo, non si verifica interruzione del termine di usucapione.
Se, invece, essa viene in essere, per il ricorrere dell'usucapione comincia a scorrerne uno nuovo (ai fini dell'usucapione, infatti, il possesso deve essere continuo, non interrotto, pacifico e pubblico.

Brocardi

Usurpatio est usucapionis interruptio

Spiegazione dell'art. 1167 Codice Civile

L'interruzione per perdita del possesso

Viene qui disciplinata una forma di interruzione particolare all'usucapione, l'interruzione naturale. La norma riproduce sostanzialmente l’ art. 2124 del codice del 1865, aggiungendo opportunamente che l'interruzione si ha come non avvenuta se è stata proposta l'azione diretta a recuperare il possesso e questo è stato recuperato.

È appena il caso di aggiungere da un lato che la privazione del possesso, per avere l'effetto di interrompere la prescrizione, deve essere causata dal fatto di altra persona e non ad es. da impedimenti di carattere fisico e naturale, dall'altro che la proposizione dell'azione per il recupero del possesso deve aver luogo entro l'anno.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

550 L'art. 1164 del c.c. regola i modi d'interversione del possesso, agli effetti dell'usucapione della proprietà, da parte di chi abbia un possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui. Si richiede in questo caso, in conformità di una norma tradizionale, che il titolo del possesso sia mutato o per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta dal possessore contro il diritto del proprietario. La disposizione non costituisce un duplicato di quella dell'art. 1141 del c.c., secondo comma, la quale non concerne l'ipotesi del possessore che tende a invertire il titolo del suo possesso, ma l'ipotesi del detentore che tende a trasformare la detenzione in possesso, per quanto identici in entrambi i casi siano i modi d'interversione. Il tempo necessario per l'usucapione decorre naturalmente dalla data in cui il titolo del possesso fu mutato. Circa le cause di sospensione e d'interruzione dell'usucapione e il computo dei termini, ho richiamato (art. 1165 del c.c.), nei limiti della loro applicabilità, le disposizioni dettate in tema di prescrizione. Il principio che il codice del 1865 sanciva nell'art. 2121 riceve, nell'art. 1166 del c.c., formulazione più chiara e completa, conforme all'interpretazione che del disposto del codice anteriore dava la migliore dottrina. Nel primo comma, l'articolo 1166 esclude che l'impedimento, che può derivare da condizione o da termine, all'esercizio del diritto, nonché le cause di sospensione della prescrizione enunciate nell'art. 2942 del c.c., e cioè le cause di sospensione stabilite con riguardo alla condizione del titolare del diritto (minori non emancipati, interdetti per infermità di mente, militari in servizio in tempo di guerra, ecc.) — le quali, ai sensi dell'art. 1165, sono anche cause di sospensione dell'usucapione — operino, nell'usucapione ventennale, rispetto al terzo possessore di un immobile o di un diritto reale sopra un immobile, ossia rispetto a colui che possiede senza titolo o con titolo a non domino: il corso dell'usucapione ventennale non è impedito nè sospeso, ma il possesso continua a produrre i suoi effetti. Nel secondo comma, l'art. 1166 detta una regola analoga in tema di prescrizione dei diritti reali, escludendo che le menzionate cause impeditive o sospensive della prescrizione siano opponibili al terzo possessore nella prescrizione per non uso dei diritti reali sui beni da lui posseduti: questi diritti si estinguono per non uso, nonostante l'impedimento al loro esercizio o la speciale condizione del titolare. L'art. 1167 del c.c. concerne la così detta interruzione naturale. La disposizione è conforme a quella dell'art. 2124 del codice precedente, che ho tuttavia creduto di integrare al fine di chiarire che l'interruzione si ha come non avvenuta se fu proposta l'azione diretta a ricuperare il possesso e questo venne ricuperato.

Massime relative all'art. 1167 Codice Civile

Cass. civ. n. 5582/2022

Nessuna incidenza interruttiva può avere sul decorso del termine per l'usucapione da parte del possessore, una procedura di espropriazione per pubblica utilità promossa contro l'intestatario dell'immobile e da quest'ultimo contestata, poiché l'interruzione del possesso può derivare solo da situazioni di fatto che ne impediscano materialmente l'esercizio, e non da vicende giudiziali tra l'intestatario della titolarità del bene e i terzi, che non comportano alcuna conseguenza nella continuità del possesso.

Cass. civ. n. 2752/2018

Nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario per far accertare l'intervenuto acquisto della proprietà per usucapione, l'atto di disposizione del diritto dominicale da parte del proprietario in favore di terzi, anche se conosciuto dal possessore, non esercita alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell'usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, "res inter alios acta", ininfluente sulla prosecuzione dell'esercizio della signoria di fatto sul bene, non impedito materialmente, né contestato in modo idoneo.

Cass. civ. n. 11698/2017

La querela per arbitraria occupazione di una porzione di terreno non comporta la perdita materiale, in capo al querelato, del potere di fatto sulla cosa e, conseguentemente, non costituisce idoneo atto interruttivo del possesso "ad usucapionem". (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA).

Cass. civ. n. 3452/1984

Costituisce causa interruttiva dell'usucapione di una servitù di passaggio la perdita del possesso per oltre un anno, che si verifica ogni qualvolta al possessore venga posto nell'obiettiva impossibilità di continuare ad esercitare il possesso, sia per fatto del terzo che per eventi naturali.

Cass. civ. n. 6349/1981

In tema di interruzione dell'usucapione — poiché il possesso non richiede, per il suo permanere, il costante, materiale rapporto con la cosa che ne costituisce l'oggetto, essendo sufficiente la disponibilità del godimento della cosa stessa da parte del possessore, non contrastata da terzi — la semplice assenza di manifestazioni del predetto rapporto materiale per un dato periodo, anche se provata, non è di per sé idonea a dimostrare la volontaria dimissione del possesso, la quale deve essere assolutamente univoca per produrre l'indicata interruzione.

Cass. civ. n. 77/1977

L'abbandono della cosa posseduta, per atto volontario del possessore, ha immediata efficacia interruttiva dell'usucapione. In questa ipotesi, infatti, non trova applicazione la norma dettata dall'art. 1167 c.c., sulla durata ultranovennale della perdita del possesso quale evento interruttivo dell'usucapione, in quanto la norma medesima riguarda il diverso caso in cui il possessore sia stato privato del possesso, e, cioè, lo abbia perso per fatto di terzo, o comunque a lui estraneo.

Cass. civ. n. 1025/1976

L'interruzione dell'usucapione (nella specie, di servitù di passaggio con veicoli) per il caso in cui il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno, prevista dall'art. 1167 primo comma c.c., non presuppone che detta perdita sia determinata da spoglio, ma si verifica ogni qual volta il possessore stesso venga posto nell'obiettiva impossibilità di continuare ad esercitare il possesso, sia per fatto del terzo, che per eventi naturali (nella specie, smottamento del terreno e conseguente restringimento della strada sulla quale veniva esercitato il passaggio).

Cass. civ. n. 1929/1975

Ai fini dell'usucapione, il possesso acquisito animo et corpore può conservarsi solo animo, purché si conservi la possibilità di esercitare la signoria sulla cosa, anche senza compiere singoli atti di esercizio del possesso. Qualora, però, la situazione obiettiva muti, sì da venir meno, pur temporaneamente, la possibilità di compiere atti di esercizio del possesso — come, ad esempio, quando l'edificio posseduto venga distrutto da eventi bellici e poi ricostruito — si verifica la perdita del possesso, che, se protratta oltre un anno, dà luogo all'interruzione dell'usucapione, ai sensi dell'art. 1167 c.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1167 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Roberto G. chiede
mercoledì 30/01/2019 - Marche
“Una porzione autonoma di immobile è posseduta da oltre vent'anni uti dominus da persona diversa dal proprietario dell'intero immobile; successivamente l'intero immobile viene demolito e ricostruito per lavori di ristrutturazione (regolarmente autorizzati con Permesso di costruire) e il possessore viene conseguentemente privato del possesso della porzione di immobile di cui sopra. La ristrutturazione, e conseguentemente la perdita del possesso da parte del possessore della porzione di immobile, si protrae per due anni e mezzo senza che quest'ultimo abbia rivendicato il possesso della cosa entro l'anno dalla demolizione del fabbricato. Può considerarsi interrotta l'usucapione o il possessore potrà comunque far valere in giudizio il periodo ultraventennale di possesso ante-ristrutturazione?”
Consulenza legale i 31/01/2019
Come è noto, l’usucapione è un modo di acquisto originario della proprietà altrui attraverso il possesso in modo pacifico, continuo e ininterrotto per il tempo stabilito dalla legge (20 anni nel caso di acquisto della proprietà di beni mobili o immobili, salva l’ipotesi di usucapione abbreviata) come se si fosse l’effettivo proprietario.

La norma di riferimento nel caso in esame è l’art. 1167 del codice civile che prevede che l'usucapione è interrotta quando il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che l'interruzione si verifica “ogniqualvolta il possessore venga posto nell'obiettiva impossibilità di continuare ad esercitare il possesso sia per fatto del terzo, che per eventi naturali” (Cass. 3452/1984).

Tuttavia occorre verificare se nell’interpretazione giurisprudenziale anche la demolizione di una casa e la sua ricostruzione (come nel caso in esame) valgano come causa interruttiva.
A tal proposito, la Suprema Corte con una pronuncia risalente nel tempo (la n.1593/1957) ma che pare riferirsi ad un caso praticamente identico a quello in esame, ha statuito che “la demolizione della cosa sulla quale si esercita il possesso, fatta a scopo di ricostruzione dallo stesso titolare, non interrompe il corso del termine utile per l'usucapione, non integrando gli estremi della privazione del possesso.
In mancanza di giurisprudenza più recente contraria a tale principio, in risposta alla domanda contenuta nel quesito riteniamo dunque che il possessore potrà comunque far valere in giudizio il periodo ultraventennale di possesso ante-ristrutturazione.

Francesco V. chiede
martedì 11/11/2014 - Liguria
“Vi chiedo un parere relativamente ad una causa di usucapione. Un cugino erede chiama in giudizio la cugina comproprietaria pro indiviso x sentirsi dichiarare proprietario esclusivo di un appartamento ereditato dai nonni, ed abitato dalla propria madre e da lui da più di vent' anni. In realtà l' attore ha mantenuto la residenza anagrafica ma con la sua famiglia dimora altrove. L'attore sostiene che ci sia stato un accordo divisorio tra sua madre e la sorella ma non ha alcuna prova documentale e testimoniale, sostiene di aver fatto lavori di grossa entità ma non ha alcuna documentazione (fatture e permessi a costruire, però avrebbe dei testimoni in questo caso). La cugina e sua madre deceduta hanno tollerato la detenzione della casa da parte dei parenti stretti x molti anni ma hanno pagato le tasse di proprietà pro-quota e non sono state messe a conoscenza dei lavori effettuati. La cugina avendo le chiavi della casa è stata querelata x violazione di domicilio (l' attore sostiene di aver cambiato le chiavi x un furto e anche in passato realizzando, secondo lui, un interversione del possesso). E' possibile un'usucapione in questo caso? Si può usucapire così facilmente nelle situazioni di compossesso pro-indiviso? Secondo il mio avvocato il pagare le tasse pro-quota ha valore solo fiscale e non aiuta a decidere l'usucapione. Grazie e a presto”
Consulenza legale i 11/11/2014
La situazione descritta nel quesito viene affrontata con una certa frequenza nelle aule di tribunale.
Accade molto spesso, infatti, che un comproprietario (soprattutto se la comunione del diritto ha origine ereditaria) chieda di essere dichiarato proprietario esclusivo in virtù di usucapione.
E' ormai generalmente ammesso che il comproprietario del bene indiviso possa usucapire il diritto di proprietà sulla parte spettante agli altri partecipanti alla comunione (i tre fratelli). Naturalmente, devono verificarsi tutti i presupposti previsti per la fattispecie astratta.
L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, basato sul possesso continuo, pacifico, non violento e ininterrotto su una cosa per un determinato periodo di tempo: è regolato dagli articoli 1158 e seguenti c.c.
La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni affrontato il problema in esame. Ad esempio, con sentenza della Corte di cassazione n. 5226 del 12 aprile 2002, la Suprema Corte ha statuito che in caso di successione per morte, il coerede può usucapire la quota degli altri coeredi, se dopo la morte del de cuius è rimasto nel possesso del bene ereditario. Non risulta, tuttavia, sufficiente la semplice circostanza che gli altri partecipanti alla comunione ereditaria si siano astenuti dall’uso comune del bene ereditato: al contrario, è necessario che il singolo coerede abbia goduto del bene in un modo che sia inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, evidenziando una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. Dice la Corte che "tale volontà non può essere desunta dal semplice fatto che il coerede abbia amministrato il bene ed abbia provveduto alla sua manutenzione e al pagamento delle imposte giacché si deve presumere che tali attività siano state compiute nella qualità di coerede. Ne discende che per invocare l’usucapione del bene ereditario occorre dimostrare che il rapporto materiale con il bene stesso si è verificato in modo tale da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene".
Sulla stessa linea anche successive decisioni: "In tema di compossesso il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso “ad usucapionem”, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando per converso necessario, ai fini dell'usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla “res” da parte dell'interessato attraverso una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene" (Cassazione civile , sez. II, sentenza 27 luglio 2009, n. 17462).

Le sentenze citate evidenziano come sia richiesta al presunto usucapente la prova di tutti i fatti costitutivi dell'usucapione: se la prova non viene data o è insufficiente, il giudice è tenuto a rigettare la domanda di usucapione.

Venendo al caso di specie, si possono fornire alcuni chiarimenti.
- Il possesso ad usucapionem non richiede necessariamente che la persona abiti stabilmente nell'immobile, essendo sufficiente che egli si comporti come proprietario esclusivo, cioè escluda dal possesso gli altri comproprietari.
- Il termine ventennale per l'usucapione inizia a decorrere da quando il soggetto "possieda" interamente il bene. La giurisprudenza ha sottolineato che in caso di beni indivisi, il coerede può usucapire l’altrui quota indivisa della cosa comune dimostrando l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso ma di possesso esclusivo (uti dominus) e senza opposizione per il tempo al riguardo prescritto dalla legge, senza la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell’art. 1164 c.c., "potendo, invece, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili con il permanere del compossesso altrui; viceversa, non sono al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad un estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore" (Cass. civ. n. 16841/2005; nello stesso senso Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 2013, n. 28346).
- Alcune delle fattispecie di "signoria di fatto" sul bene sono state considerate proprio il cambiare le serrature di un immobile o il compimento di lavori di manutenzione straordinaria che vadano a ledere il diritto di godimento degli altri comproprietari senza chiedere il loro consenso.
Il fatto che la cugina non fosse a conoscenza dei lavori eseguiti nell'immobile, salvo che il cugino li abbia dolosamente occultati, potrebbe essere indice per il giudice del mancato interessamento della coerede al bene di cui è proprietaria per quota indivisa.
- L'usucapione è esclusa se vi sono stati atti di contestazione da parte del comproprietario. Nel caso di specie sembra che vi sia stata una tolleranza per anni del comportamento del cugino, tolleranza che purtroppo può essere interpretata dal giudice come indice di non contestazione.
- Pur essendo vero che il pagamento delle imposte pro quota da parte del proprietario non è sufficiente a determinare il mancato perfezionamento dell'usucapione (non è un atto interruttivo in senso proprio), costituendo solo uno degli elementi decisori utilizzabili dal giudice, esso depone certamente a favore della cugina, poiché se il cugino avesse voluto escludere del tutto la comproprietaria avrebbe dovuto pagare interamente le tasse sull'immobile. Agli occhi del giudice, il pagamento delle imposte da parte della cugina e non del cugino usucapente rileva quale mancata volontà di quest'ultimo di comportarsi da proprietario esclusivo.
- Per essere certe di veder salvo il proprio patrimonio, la cugina (o la madre, in precedenza) avrebbero dovuto esperire tempestivamente una azione giudiziale di accertamento del loro diritto di proprietà oppure compiere atti tali da determinare il venir meno, per oltre un anno, del possesso del cugino, interrompendo così il termine ventennale (art. 1167 del c.c.).

Alla luce di quanto sopra indicato, sembra di poter dire che l'usucapione è astrattamente configurabile: tuttavia, solo il giudice di merito potrà valutare la sussistenza dei presupposti dell'usucapione nella fattispecie concreta (e soprattutto l'esistenza di prove).

Francesco chiede
martedì 04/12/2012 - Puglia
“Salve, ho acquistato un terreno incolto, coperto da macchia mediterranea selvatica, a dicembre del 2011 (atto notarile di compravendita del 19 dicembre 2011). Premetto che sul terreno non vi sono tracce di lavori effettuati da terzi o manufatti di qualsiasi genere, solo boscaglia spontanea. Al fine di annetterlo alla mia casa confinante con lo stesso, ho deciso di recintarlo. Ho provveduto a convocare il vicino (tramite raccomandata) per definire consensualmente il confine ad aprile 2012. Il vicino, tramite il suo tecnico, ha incontrato più volte me e il mio tecnico, addivenendo (tra tecnici) ad un accordo verbale sui termini del confine. Ieri (03.12.2012), il tecnico del vicino mi comunica il dissenso del suo cliente sui confini trattati, adducendo che lo stesso considera acquisito nella sua proprietà il terreno per usucapione (lavori fatti sul terreno in anni precedenti). Come devo comportarmi? A parte la scorrettezza del vicino che ha atteso tanto tempo (quasi un anno) prima di fare tali affermazioni, che cosa mi consigliate? E' applicabile l'eventuale interruzione dell'usucapione?
Grazie per l'aiuto”
Consulenza legale i 05/12/2012

Nel caso di specie appare opportuno indicare che ai sensi dell'art. 1158 del c.c. la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.

Pertanto, prima di ogni cosa, colui che invoca l'acquisto a titolo originario del diritto di proprietà sul bene immobile dovrà provare l'esistenza dei presupposti richiesti dalla legge, ovvero il possesso ed il tempo. Il possesso viene definito dall'art. 1140 del c.c. quale potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Perché il possesso possa rilevare ai fini dell'usucapione è necessario che esso sia palese e non violento. Inoltre, deve trattarsi di un possesso continuo, cioè non deve essere esercitato in maniera saltuaria od occasionale, e possesso ininterrotto per fatto del terzo o per eventi naturali. L'interruzione si verifica nel caso in cui il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno. Si suole distinguere tra interruzione naturale e civile del possesso; il primo caso si verifica quando si ha l'effettiva perdita del possesso del bene che può derivare da fatto naturale, da atto lecito o da spoglio. Diversamente, si ha interruzione civile quando vengono compiuti atti giuridici idonei ad interrompere il termine per il compimento dell'usucapione, ovvero l'esercizio di un'attività giuridica come ad esempio la domanda giudiziale proposta dal legittimo proprietario con la quale si richieda la restituzione del bene.

Alla luce di quanto indicato sopra e in base agli elementi forniti nel quesito (che non sono sufficienti per risponderle con compiutezza), l'attività svolta per definire i confini potrebbe essere annoverata tra quegli atti idonei ad interrompere l'usucapione se protratta per oltre un anno. Ma è bene precisare che quanto indicato ha valore nei limiti in cui non si sia già perfezionato l'acquisto mediante l'usucapione del terreno.


Claudio chiede
sabato 23/10/2010

“Salve, potrebbe spiegarmi come funziona nel mio caso?
Nel lontano 1975 abbiamo stipulato un contratto privato tra me e la persona che doveva comprare il mio immobile per 250.000.000 di lire con cambiali da 500.000 mila lire ognuna all'epoca.
Le ultime 6 cambiali non sono state più pagate dalla persona e quindi nel frattempo mi ritrovo a pagare sempre l'ici.
L'immobile è sempre mio oppure con l'usucapione lo posso perdere?”

Consulenza legale i 24/10/2010

Il contratto di compravendita (artt. 1470 e ss c.c.) è il tipico contratto consensuale, per il quale la proprietà, se non diversamente stabilito, passa direttamente al momento dello scambio del consenso tra le parti (sottoscrizione del contratto). Nel suo caso, pertanto, a meno che non si fosse trattato di contratto preliminare di acquisto o aveste previsto un diverso momento per il trasferimento della proprietà (se, ad esempio, il completamento del pagamento pattuito), la sua controparte è proprietaria dal 1975 e non per usucapione, bensì in forza proprio del vostro contratto.
I mancati pagamenti possono essere ancora richiesti se il relativo diritto non si è prescritto (ad esempio, lei ha regolarmente chiesto i suddetti pagamenti per iscritto).
Poiché i dettagli forniti non sono sufficienti per risponderle con compiutezza, le suggeriamo di sottoporre il contratto del 1975 al parere di un legale.


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