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Articolo 687 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Revocazione per sopravvenienza di figli

Dispositivo dell'art. 687 Codice Civile

Le disposizioni a titolo universale o particolare [588 c.c.], fatte da chi al tempo del testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti(1), sono revocate di diritto [566 c.c.] per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore, benché postumo, anche adottivo [291 ss. c.c.], ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio(2) [250, 254 c.c.].

La revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del testamento(2).

La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi(3).

Se i figli o discendenti non vengono alla successione [4, 463, 521 c.c.] e non si fa luogo a rappresentazione, la disposizione ha il suo effetto(4).

Note

(1) La norma non si applica al testatore che, al momento della redazione del testamento, aveva già dei figli nell'ipotesi in cui ne sopraggiungano altri.
(2) Il comma è stato così modificato dal D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) E' sufficiente ad evitare la revocazione che il testatore abbia previsto la sopravvenienza di figli, non che abbia disposto in loro favore.
(4) Qualora i figli o i discendenti non possano venire alla successione (es. per premorienza, assenza, indegnità, ecc...) la revocazione non opera essendo venuta meno la ragione pratica che la giustifica, ossia consentire ai discendenti di essere chiamati alla successione.
Si ritiene che le medesime considerazioni valgano anche per il caso di rinunzia del figlio o del discendente chiamato alla successione.

Ratio Legis

Discusso è il fondamento della norma. Secondo alcuni verrebbe tutelata la presunta volontà del testatore che, se avesse saputo della sopravvenienza dei figli, avrebbe diversamente disposto. Un argomento a conferma di tale tesi si ricava dal fatto che la revoca per sopravvenienza dei figli è esclusa qualora il testatore abbia previsto tale eventualità. Secondo altri, invece, la norma consentirebbe la tutela degli interessi della famiglia, in particolare dei discendenti.

Spiegazione dell'art. 687 Codice Civile

La norma in esame disciplina la revoca di disposizioni testamentarie per sopravvenienza di figli, regolata dagli articoli #888# e #889# del vecchio codice del 1865. Questa sarebbe, per espressa dichiarazione della legge, una revoca di diritto, indipendente da qualsiasi manifestazione di volontà del testatore. Si capisce, però, che questi non perde la facoltà di rinnovare le disposizioni, salve le ragioni dei figli o discendenti quali legittimari.
L'attuale codice riproduce, in parte, i testi precedenti, con la differenza che la premorienza dei figli o discendenti sopravvenuti o adottati o riconosciuti, che toglieva efficacia alla revoca, viene considerata come un caso particolare, e l'eccezione si estende a tutti i casi in cui i figli o discendenti non vengano alla successione (per esempio per assenza, indegnità o rinuncia) e non si faccia luogo alla rappresentazione; e ciò per l'evidente identità di ragione che impone un uguale trattamento per tutte queste ipotesi.
Il testo dell’art. 687 presenta una struttura più organica ed è più completo di quelli corrispondenti del codice precedente. Esso, peraltro, non offre, rispetto alle innovazioni di forma e di sostanza, già messe in evidenza, particolari difficoltà d’interpretazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

328 Nell'art. 687 del c.c., che disciplina la revoca di diritto per sopravvenienza di figli, ho completato l'ultimo comma nel senso che la disposizione revocata cessa di essere tale e ha i suoi pieni effetti non solo se i figli sopravvenuti siano premorti, ma anche se non vengano alla successione per assenza, indegnità o rinunzia, sempre che non si faccia luogo a rappresentazione. La ratio delle varie ipotesi è infatti sostanzialmente identica e non vi sarebbe alcuna plausibile ragione per un diverso trattamento. Ciò vale anche per l'ipotesi di rinunzia, dato che, per effetto delle nuove norme sulla rappresentazione, questa opera anche in caso di rinunzia, e perciò la revoca resta ferma, se vi sono discendenti del figlio sopravvenuto che abbia rinunziato.

Massime relative all'art. 687 Codice Civile

Cass. civ. n. 169/2018

In tema di revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, il disposto dell'art. 687, comma 1, c.c. ha un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il "de cuius" ha disposto dei suoi beni, sicché, dovendo ritenersi che tale modificazione sussista non solo quando il testatore riconosca un figlio ma anche quando venga esperita nei suoi confronti vittoriosamente l'azione di accertamento della filiazione, ne consegue che il testamento è revocato anche nel caso in cui si verifichi il secondo di tali eventi in virtù del combinato disposto dell'art. 277, primo comma e 687 c.c., senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del "de cuius", né che quest'ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza.

Cass. civ. n. 18893/2017

Il testamento redatto dal "de cuius" che, al momento della sua predisposizione, già avesse figli, dei quali fosse nota l'esistenza, non è soggetto a revocazione per il caso di successiva sopravvenienza di un altro figlio, ex art. 687 c.c., attesa la natura eccezionale - e, dunque, non suscettibile di applicazione analogica o estensiva - di tale disposizione, che contempla la diversa ipotesi in cui il testamento sia stato predisposto da chi non aveva o ignorava di aver figli o discendenti.

Cass. civ. n. 1935/1996

L'art. 687, primo comma, c.c. ha il fondamento oggettivo individuabile nella modificazione della situazione familiare in relazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni. Siccome tale modificazione sussiste sia quando il testatore abbia riconosciuto un figlio naturale, sia quando nei suoi confronti sia stata esperita vittoriosamente l'azione di accertamento di filiazione naturale, dal combinato disposto del primo comma dell'art. 277 e del primo comma dell'art. 687 c.c. deriva che la revoca del testamento è ricollegabile anche al secondo di tali eventi.

Cass. civ. n. 187/1970

Accertata la volontà del testatore di mantenere ferme le disposizioni testamentarie nel caso di esistenza o sopravvenienza di figli, è irrilevante ogni indagine sulla certezza — o meno — dell'evento prospettatosi dal testatore, e sul contenuto o sulla sufficienza delle disposizioni, eventualmente, fatte nel testamento a favore dei figli sopravvenuti o riconosciuti dopo il testamento, perché, in ogni caso, le eventuali lesioni dei diritti degli stessi, ravvisabili nel testamento, possono essere eliminate con la riduzione delle disposizioni fatte a favore degli altri coeredi o legatari.

La caducazione delle disposizioni a titolo universale, o particolare, per ignorata esistenza, o per sopravvenienza di figli, di cui al primo comma dell'art. 687 c.c. (alla quale ipotesi è da parificare il futuro riconoscimento di figli naturali) si basa sulla presunzione che il testatore, se avesse avuto, o non avesse ignorato di avere figli o discendenti, oppure avesse preveduto di averne in seguito, non avrebbe disposto, come aveva fatto, con il suo testamento. Tale presunzione viene meno qualora risulti dal testamento stesso che il testatore abbia previsto detta eventualità provvedendo al riguardo. In tale ipotesi la legge (comma terzo articolo citato) sancisce la salvezza del testamento.

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Francesco C. chiede
giovedì 21/02/2019 - Lazio
“Buongiorno. Vorrei sapere quanto segue.

Tizio muore e lascia a sua moglie (con testamento olografo in cui la nomina erede universale) una casa e del denaro. Erano in separazione di beni.

Poi la moglie di tizio anche muore e lascia ad alcuni nipoti dei legati:
- al nipote 1 la casa che era di Tizio oltre ad altri suoi beni mai appartenuti a Tizio;
- al nipote 2 vari suoi beni Mai appartenuti a Tizio;
- al nipote 3 vari suoi beni mai appartenuti a Tizio;
- ad una Associazione culturale, denaro (titoli) appartenuto a Tizio ed altri beni mai appartenuti a Tizio.
L'eredità viene spartita, l'associazione accetta con beneficio d'inventario ex lege.

Nel frattempo la signora Caia riesce a farsi riconoscere come figlia di Tizio e reclama la quota di legittima dell'eredita' del padre.
La domanda è: chi paga? E' questo un debito che grava sul totale della seconda eredita' (quella della moglie di Tizio verso i nipoti),magari in percentuale di quanto ricevuto, oppure è solo a carico di chi ha ricevuto i beni che erano di tizio (casa, titoli)? I legatari sono esenti? L'associazione è legataria anche se ha accettato?
Grazie”
Consulenza legale i 26/02/2019
La fattispecie qui descritta trova una sua prima disciplina nel testo dell’art. 687 c.c., norma che regola proprio la c.d. revocazione del testamento per sopravvenienza di figli.
Tutte le volte in cui il testatore dispone mediante testamento della sua eredità, sia con attribuzioni a titolo universale che a titolo particolare, non avendo o ignorando di avere figli nel momento in cui il testamento viene redatto, quelle disposizioni si intendono revocate di diritto per l’esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore.
A seguito della modifica apportata a tale norma dall'art. 85, co. 1, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, la medesima disposizione si applica anche nel caso di riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio.
Questa norma va poi coordinata con l’art. 277 del c.c., il quale dispone che la sentenza che dichiara la filiazione a seguito di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale produce i medesimi effetti del riconoscimento.

I descritti presupposti normativi consentono intanto di dire che il riconoscimento di Caia come figlia naturale di Tizio, avvenuto in data posteriore alla morte di quest’ultimo, produce immediatamente come effetto la revoca di diritto del testamento redatto dallo stesso Tizio e con il quale è stata nominata erede universale la moglie (poiché opera di diritto, la revoca non richiede né istanza degli interessati né provvedimento dell’autorità giudiziaria).

Revocato il testamento, la successione di Tizio verrà ad essere regolata dalla legge, per cui troverà applicazione l’art. 581 del c.c. il quale, nell’ipotesi di concorso del coniuge con un solo figlio, dispone che il patrimonio ereditario venga attribuito per metà al coniuge e per metà al figlio.

E’ a questo punto che sembra complicarsi la situazione, in quanto nel frattempo il patrimonio di Tizio, il solo ad essere interessato dalla sopravvenienza della figlia Caia, è stato suddiviso tra diversi eredi e legatari.
Si precisa che è soltanto il patrimonio di Tizio ad essere interessato dalla revocazione, in quanto il medesimo versava con il proprio coniuge in separazione di beni e la morte della moglie è avvenuta in epoca successiva a quella di Tizio; diversa sarebbe stata la situazione se la morte di Tizio fosse avvenuta in un momento successivo a quello del proprio coniuge, in quanto in quel caso nel suo patrimonio sarebbero confluiti anche i beni della moglie.

Chiarito ciò, si tratta adesso di capire come e da chi Caia dovrà recuperare la quota di eredità che le compete per legge.
Norme applicabili saranno quelle dettate dal codice civile in materia di petizione di eredità, e precisamente gli artt. 533 e ss. c.c.
L’art. 533 del c.c., infatti, consente a colui il quale viene riconosciuto legittimo erede di esercitare l’azione di petizione di eredità, ossia un’azione di carattere universale, diversa da quella di rivendicazione, volta a far rientrare nel patrimonio del vero erede l’intero coacervo di situazioni patrimoniali e di beni facenti parte dell’asse ereditario.
Ai sensi del successivo art. 534 del c.c. tale azione può essere esperita anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede.
Applicando quest’ultima norma al caso che ci riguarda, può dirsi che legittimati passivi saranno gli aventi causa della moglie di Tizio, ossia il nipote 1 (a cui è andata la casa di Tizio) e l’associazione culturale, a cui invece sono andati i titoli (si prescinde, dunque, dal fatto che questi siano stati nominati eredi o siano soltanto legatari di Tizia, in quanto ciò che conta è che possiedono beni dell’eredità di Tizio).

Rivestendo la suddetta azione il carattere di strumento di tutela privilegiata dell’erede, il carico probatorio su quest’ultimo gravante sarà particolarmente lieve, in quanto questi dovrà semplicemente provare:
  1. il presupposto dell’apertura della successione, ossia la morte del de cuius;
  2. la sua qualità di chiamato all’eredità, conseguente alla revocazione del testamento ed all’apertura della successione legittima;
  3. l’appartenenza all’asse ereditario dei beni posseduti dai convenuti.

Sulla possibilità dell’esperimento di tale azione anche nel caso di recupero di una quota dei beni ereditari si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con sentenza n. 16409/2017 (in questo caso, infatti, a Caia compete una quota dell’eredità, pari a metà del patrimonio).

Si fa presente che trattasi di materia sottoposta alla preventiva mediazione obbligatoria ex Legge 9 agosto 2013, n. 98 (che ha convertito con modifiche il D.L. 69/2013, il quale ha apportato modifiche alla disciplina della Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), nel corso della quale le parti, ossia Caia ed i legatari (il nipote 1 e l’associazione culturale) potranno addivenire ad una risoluzione bonaria della controversia, sottoscrivendo un accordo con il quale Caia potrebbe essere tacitata delle sue ragioni ereditarie con una somma in denaro, pari per il nipote 1 alla metà del valore della casa e per l’associazione alla metà del valore dei titoli ricevuti.

Ciò consentirebbe di non affrontare un complesso giudizio civile e soprattutto di non creare uno stato di comunione ereditaria, il quale a sua volta richiederebbe un inevitabile procedimento divisorio.

Un’ultima notazione si ritiene opportuno fare: il tenore letterale dell’art. 687 c.c. potrebbe far pensare che la revocazione di diritto non debba trovare applicazione nel caso in cui il de cuius Tizio fosse stato a conoscenza dell’esistenza della figlia Caia, e malgrado ciò avesse voluto fare testamento solo in favore della moglie, con ciò volendosi rispettare quella che è la volontà del testatore.
Ciò costringerebbe Caia, una volta ottenuto il riconoscimento, ad agire in riduzione e poter così reclamare solo la c.d. quota di riserva, che l’art. 542 del c.c., in ipotesi di concorso di coniuge e figli, fissa in un quarto del patrimonio ereditario.

Sul tema si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n. 169/2018, la quale, al contrario, ha chiaramente precisato che la revocazione del testamento opera anche se il testatore fosse stato a conoscenza dell’esistenza di Caia, rispondendo alla sola esigenza di assicurare la tutela del figlio sopravvenuto in conseguenza della modificazione della situazione familiare (in tal senso possono citarsi anche Tribunale di Belluno del 04.05.2005; Tribunale di Cosenza del 03.02.2006; Tribunale di Catania del 12.02.2001; Cass. civ. Sez. II, 09/03/1996, n. 1935).

Mauro M. chiede
giovedì 01/11/2018 - Lazio
“Buongiorno
Intentai Causa di Riconoscimento Paternità verso Mio Padre , nel 2009 in Primo Grado Mi viene data Ragione, mio Padre si oppone alla Sentenza, e nel Maggio del 2010, Fa un Testamento Olografo a Favore del Nipote, in cui lo si nominava erede universale, senza aggiungere null’altro.
Mio Padre Quindi era Ben consapevole Della mia Esistenza.
Ad Ottobre Sempre 2010 Muore.
La Causa Viene Riassunta dal Nipote Del Testamento Olografo.
L’appello Del Mio Riconoscimento Viene Estinto, e nel 2017 Passa in Giudicato.
Riguardo alla Sopravvenienza di Filiazione Giuridica, posso Revocare/Annullare, il Testamento Olografo Fatto al Nipote?
Grazie”
Consulenza legale i 03/11/2018
Per rispondere al quesito si ritiene intanto indispensabile leggere e analizzare il testo dell’art. 277 del c.c., norma che, inserita nel capo dedicato alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, disciplina appunto quali sono gli effetti di una sentenza dichiarativa di paternità naturale.

Il primo comma di tale norma, infatti, dispone in maniera molto sintetica, ma nello stesso tempo determinata, che “La sentenza che dichiara la filiazione produce gli effetti del riconoscimento”.
Sarà, dunque, alle norme sul riconoscimento dei figli naturali che occorrerà riportarsi per vedere quali sono gli effetti che una tale sentenza è destinata a produrre nei confronti di chi, volontariamente o giudizialmente (come in questo caso), è stato riconosciuto figlio nato fuori dal matrimonio.
Ebbene, tra tali effetti vanno sicuramente annoverati quelli di natura patrimoniale, ereditaria nonché gli effetti di tipo personale, quale potrebbe ad esempio essere il diritto al cognome.

Ma la giurisprudenza, peraltro con una sentenza abbastanza recente (Cass. 169/2018, preceduta da altre sentenze di merito, quali A. Cagliari 28.6.1993; Tribunale di Catania del 12.02.2001; Tribunale di Reggio Emilia 13.10.2006) ha statuito che il riconoscimento del figlio naturale, avvenuto a seguito di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, assumerà rilevanza anche ai fini di cui all’art. 687 c.c.
E’ proprio questo il caso che qui ci interessa e che occorrerà esaminare sotto il profilo, essenzialmente, dei presupposti che si rendono necessari per giungere ad una revoca di diritto del testamento redatto in favore del nipote.

Una interpretazione meramente letterale del primo comma dell’art. 687 c.c., infatti, potrebbe far pensare che la revoca sarebbe ammissibile soltanto se il testatore, al momento del testamento, non avesse o ignorasse di avere figli o discendenti, ossia se fosse del tutto all’oscuro sull’esistenza di figli.
La ratio di tale disposizione sarebbe individuabile in una oggettiva modificazione della situazione familiare, da cui se ne fa scaturire la necessità di tutelare gli interessi successori dei figli e dei discendenti del testatore (in dottrina si è affermato che la revocazione deve intendersi stabilita in attuazione di quella che sarebbe stata la presunta volontà del testatore, il quale così avrebbe disposto se al momento del testamento avesse avuto contezza dell’esistenza o sopravvenienza di figli, cfr. Capozzi).
Stando così le cose, se ne dovrebbe dedurre che, in un caso come questo, la revocazione non potrebbe ritenersi ammissibile, avendo il de cuius redatto il suo testamento dopo l’esperimento dell’azione di riconoscimento di paternità e, dunque, quando già era a conoscenza della, almeno possibile, esistenza di un figlio.

Non la pensa così, tuttavia, come si è prima accennato, la giurisprudenza.
Con la sentenza n. 169 del 5 gennaio 2018 la Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito che il primo comma dell’art. 687 c.c. trova applicazione tutte le volte in cui si realizza una modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni, aggiungendo che tale modificazione può conseguire non solo ad un riconoscimento volontario del figlio, ma anche al vittorioso esperimento nei suoi confronti dell’azione di accertamento della filiazione di cui agli artt. 269 e ss. c.c., senza che possa assumere rilievo la circostanza che questi avesse già avuto in vita contezza dell’esistenza di un proprio figlio naturale.
Proprio con espresso riferimento a quest’ultimo caso è stato affermato che non può assumere alcun rilievo il fatto che la dichiarazione giudiziale di paternità intervenga dopo la morte del de cuius, né che quest'ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza.

Peraltro, a rafforzare la tesi secondo cui in casi come questo che si esamina possa applicarsi il principio della revoca della disposizione testamentaria ex art. 687 c.c. contribuisce anche una lettura nella sua interezza della sentenza citata, e precisamente nella parte ove vengono riportate le considerazioni fatte proprie dalla sentenza della Corte d’Appello che ha formato oggetto del giudizio in cassazione.

Si legge qui che l'effetto caducatorio di cui all’art. 687 c.c. non può invocarsi qualora l’istanza per la dichiarazione giudiziale di paternità venga proposta a successione già aperta (si sostiene che così si verrebbe di fatto ad impedire al de cuius di poter modificare il proprio testamento), specificandosi ancora oltre che l'equiparazione tra dichiarazione giudiziale di paternità e riconoscimento (volontario), sulla base di quanto previsto dall'art. 277 c.c., può predicarsi solo laddove la dichiarazione stessa sia richiesta prima della morte.

Diversi, dunque, sono i passaggi della sentenza da cui può evincersi che, in casi come quello che si esamina, debba ritenersi applicabile il disposto di cui all’art. 687 c.c., e ciò in quanto l’istanza per riconoscimento di paternità è stata in ogni caso proposta durante la vita del testatore e non a successione già aperta, non potendo peraltro assumere alcuna incidenza negativa la circostanza che la relativa sentenza sia divenuta definitiva dopo la morte del testatore.
A tal proposito, infatti, va osservato che è prevalente in giurisprudenza la tesi secondo cui gli effetti della sentenza si produrranno retroattivamente, fin dal momento della nascita, motivando tale retroazione con la natura dichiarativa della medesima sentenza (così Cass. Sez. I, n. 7386/2003; Cass. n. 23630/2009; Cass. n. 14417/2016).

Per quanto concerne le concrete modalità con cui si realizza la revoca, va detto che, come chiaramente dispone l’art. 687 c.c., essa opera di diritto, non richiedendo, dunque, né istanza degli interessati né provvedimento dell’autorità giudiziaria; va da sé, comunque, che in tutti i casi in cui sorgeranno contestazioni, sarà l’autorità giudiziaria (Tribunale ordinario) a dover pronunciare la revocazione del testamento ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 687 c.c., con sentenza che avrà anch’essa natura dichiarativa.

Un’ultima notazione, infine, si ritiene necessario fare: il penultimo comma dell’art. 687 c.c. dispone che la revocazione non ha luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi.
Ebbene, il termine “provveduto” non deve intendersi nel senso che sia sufficiente che il testatore abbia previsto l’ipotesi della sopravvenienza, nè presuppone che il testatore abbia disposto a favore di quelle persone; ciò che si richiede, invece, al fine di escludere la revocabilità del testamento, è che lo stesso testatore, nel prevedere tale ipotesi, abbia manifestato una volontà contraria alla revoca.
Poiché in questo caso ciò non è avvenuto (il testatore si è limitato a dettare disposizioni in favore del nipote), il testamento dovrà senza dubbio ritenersi revocabile di diritto.

Qualora, invece, dal tenore complessivo del testamento dovesse risultare la volontà del testatore di mantenere comunque ferme le disposizioni testamentarie, è chiaro che l’irrevocabilità del testamento non potrà in ogni caso comportare una contrazione dei diritti successori spettanti ai figli, in quanto i medesimi, quali legittimari, potranno agire in giudizio per ottenere la riduzione delle disposizioni lesive della loro quota di riserva.