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Articolo 654 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Legato di cosa non esistente nell'asse

Dispositivo dell'art. 654 Codice Civile

Quando il testatore ha lasciato una sua cosa particolare [513, 649 c.c.], o una cosa determinata soltanto nel genere [664] da prendersi dal suo patrimonio, il legato non ha effetto se la cosa non si trova nel patrimonio del testatore al tempo della sua morte(1)(2) [651, 653 c.c.].

Se la cosa si trova nel patrimonio del testatore al tempo della sua morte, ma non nella quantità determinata, il legato ha effetto per la quantità che vi si trova [652 c.c.].

Note

(1) Indipendentemente dalla causa che ha comportato l'uscita del bene dal patrimonio del testatore, sia essa volontaria (es. alienazione) o naturale (es. perimento del bene).
(2) Dubbia è la sorte del legato laddove si provi che il testatore non volesse revocare il legato (v. art. 686 c. 3 del c.c.). Secondo alcuni si applicherebbe l'art. 651 del c.c. e il legato sarebbe, di conseguenza, valido.

Ratio Legis

Il testatore può disporre validamente solo dei beni che fanno parte del proprio patrimonio, non di quelli altrui, salve le eccezioni previste dall'651 e 652 del c.c..

Spiegazione dell'art. 654 Codice Civile

L’art. 654 disciplina il legato di cosa non esistente nell’asse, con riferimento all’art. #841# del vecchio codice del 1865. L'attuale legislatore non ha introdotto sostanziali innovazioni.

Massime relative all'art. 654 Codice Civile

Cass. civ. n. 21685/2006

Ai sensi dell'art. 654 c.c. il legato di cosa da prendere dal patrimonio del de cuius non ha effetto qualora la cosa non si trovi nel patrimonio del medesimo al momento della sua morte, mentre se la cosa si trovi a tale epoca non nella quantità determinata il legato ha effetto per la quantità esistente.

Nell'ipotesi di legato di cosa da prendere dal patrimonio del de cuius il legatario ha interesse ad accertare, attraverso la ricostruzione dell'asse ereditario, la consistenza del patrimonio del testatore all'epoca della morte, promuovendo le azioni dirette alla declaratoria di invalidità degli atti di disposizione dal medesimo compiuti. Pertanto, egli è legittimato a proporre l'azione di nullità della donazione del bene legato effettuata dal de cuius per difetto di requisiti di cui all'art. 782 c.c., non trovando applicazione l'art. 686 c.c. che prevede la revoca del legato riguardo a ciò che è stato alienalo nel caso in cui 1 alienazione della cosa legata (o di parte di essa) sia annullabile per cause diverse dai vizi del consenso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 654 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

C. A. chiede
mercoledì 29/06/2022 - Lombardia
“Mia zia (de cuius) nomina erede universale mio padre (suo fratello) lasciandogli solo una polizza vita con premio di 50,000€. Al contempo lascia 1 legato specifico a me (1 appartamento + il conto titoli presso la banca) e 4 legati di genere (denaro) ai miei 4 cugini (40,000 a testa, totale 160,000).
I cugini chiedono a mio padre di onorare in pieno (160,000) i legati nei loro confronti invocando l'articolo 653 c.c. All'atto della morte però il saldo di conto corrente era €25,000.

Il mio punto di vista - che vi pregherei di confermare o smentire - è che l'art 653 non possa trovare applicazione perché dal testo del testamento (o da altre fonti) non emerge la volontà di mia zia di obbligare l'erede a tali legati. In altre parole non traspare coscienza che i fondi sul conto corrente sarebbero stati insufficienti.
Per tanto ai sensi dell Art 651 i loro legati sarebbero invalidi perché non è palese che mia zia stia lasciando cosa di terzi.
O tuttalpiù ai sensi del più equo art 654, i loro legati andrebbero proporzionalmente ridotti. In altre parole a loro andrebbero circa 6,250€ a testa circa (i famosi 25K rimasti alla morte).

Vi pare che la mia interpretazione sia corretta (che a loro vada qualcosa nell'ordine dei 6,000€) o è presumibile che abbiano ragione loro e che mio padre debba liquidare loro di tasca propria 40,000 a testa?

Grazie mille”
Consulenza legale i 05/07/2022
E’ certamente corretta la tesi secondo cui la disposizione contenuta all’art. 653 del c.c. deve essere integrata con quanto disposto al successivo art. 654 c.c., ed in particolare al suo secondo comma.
Quest’ultima norma fa riferimento oltre che al legato di cosa particolare del testatore (c.d. legato specifico), anche al legato di cosa determinata soltanto nel genere, dovendosi intendere come tale la disposizione a titolo particolare avente ad oggetto non già un bene o un diritto specificamente determinati, ma una cosa presa in considerazione per la sua appartenenza ad un genus ed individuabile successivamente.
Sotto il profilo della sua natura giuridica, un legato di tale tipo rientra tra i c.d. legati obbligatori, in quanto non è immediatamente traslativo di un diritto, ma conferisce al legatario il diritto ad una determinata prestazione nei confronti dell'onerato, più precisamente il diritto a ricevere da questi una prestazione di beni corrispondenti, per quantità e qualità, alle indicazioni del testatore (si dice che la proprietà passa con la specificazione).

La Corte di Cassazione, Sez. VI civ., con ordinanza n. 15661 del 23.07.2020 ha precisato che “La disposizione testamentaria con cui il testatore abbia lasciato ad un legatario le somme risultanti a credito su un conto corrente bancario al momento della sua morte è un legato di specie; per converso, il legato di somme di denaro, senza indicazione di un conto specifico, va qualificato legato di genere con conseguente applicazione dell'art. 653 c.c.. Ed infatti, solo nel primo caso è evidente l'intenzione del "de cuius" di attribuire non un generico ammontare numerario, ma piuttosto il diritto ad esigere il capitale e gli interessi presenti su un conto in un determinato momento”.

Stando a quanto viene riferito nel quesito, il caso di specie sembra chiaramente rientrare nell’ipotesi del legato di genere, non avendo il testatore inteso lasciare ai legatari il saldo attivo al momento di apertura della successione di un suo conto corrente bancario o postale, ma soltanto una somma di denaro, genericamente determinata; peraltro, anche qualora i legatari avessero intenzione di far valere la natura di legato di specie di quella disposizione, l’unica conseguenza sarebbe, come si legge nella sentenza della Corte di Cassazione sopra citata, che i legatari avrebbero diritto ad esigere sia il capitale che gli interessi, dovendosi attribuire a tale legato non efficacia obbligatoria, ma immediatamente traslativa.
Non potrebbe, invece, ritenersi sussistente un obbligo in capo all’erede di soddisfare comunque quel legato anche con denaro proprio, in quanto un legato di tale tipo sarebbe da considerare nullo ex art. 651 c.c. “salvo che dal testamento o da altra disposizione scritta dal testatore risulti che questi sapeva che la cosa legata apparteneva all’onerato o al terzo”.

Pertanto, ritenendosi che la disposizione testamentaria che si chiede di prendere in considerazione debba qualificarsi come legato di una certa quantità di cose determinate soltanto nel genere, la medesima deve considerarsi valida tanto se delle cose legate ve ne siano nel patrimonio ereditario al tempo dell'apertura della successione, quanto se non ve ne siano, a meno che non risulti chiaramente, che il testatore intese riferirsi a quelle esistenti nel suo patrimonio al momento della morte (così Cass. civ. Sez. II sent. n. 7082 del 22.06.1985).
Va poi precisato che, secondo quanto risulta espressamente disposto dal secondo comma dell’art. 654 c.c., avendo tale legato effetto soltanto per la quantità di cose che si trova nel patrimonio del testatore, l'erede onerato sarà tenuto a consegnare soltanto detta quantità, senza essere obbligato ad acquisti per integrare la quantità indicata nel testamento.
Pertanto, i 25.000,00 euro rinvenuti nel patrimonio del testatore al momento della sua morte, andranno divisi in parti uguali tra i legatari di somme di denaro, avendo il testatore manifestato la volontà di disporre in loro favore di un importo di pari ammontare.

A. B. chiede
giovedì 27/01/2022 - Liguria
“Buonasera; sono erede universale di mio padre; tra i vari legati, ne ha lasciato uno in particolare alla sua ex compagna, oggetto che al momento non si trova: trattasi di libro di cospicuo valore ( parecchie decine di migliaia di euro);
Come devo comportarmi? Che rischi corro se il legato non si trova? Esiste qualche possibilità che debba risarcire l’equivalente valore economico? Mi conviene fare una segnalazione di sparizione alla autorità giudiziaria?
Grazie”
Consulenza legale i 02/02/2022
Il caso di specie deve farsi rientrare nel campo di applicazione dell’art. 654 c.c., rubricato proprio “Legato di cosa non esistente nell’asse”.
Con tale norma il legislatore ha voluto sancire il principio della inefficacia del legato avente ad oggetto un bene che al momento della morte del testatore non si trova nel suo patrimonio, principio che non ammette alcuna eccezione, il che implica che si deve prescindere dalle ragioni (perimento, alienazione, ecc.) per cui quel determinato bene non viene rinvenuto.

Sebbene onerato all’adempimento del legato sia colui che riveste la posizione di erede, in virtù di quanto espressamente disposto dall’art. 662 del c.c., tale onere non può spingersi fino al punto di poter far ricadere sullo stesso erede la responsabilità derivante dal mancato rinvenimento del bene costituente oggetto di legato di specie.
In tal senso può argomentarsi da quanto dedotto in dottrina circa il legato di cosa determinata soltanto nel genere da prendersi dal patrimonio del testatore, ipotesi in relazione alla quale è stato affermato che, avendo il legato effetto soltanto per la quantità che si trova nel patrimonio ereditario, l'erede dovrà consegnare soltanto detta quantità, senza essere obbligato ad acquisti per integrare quella indicata nel testamento.

Pertanto, può affermarsi che, da un punto di vista successorio, non si va incontro ad alcuna responsabilità se il libro oggetto del legato non dovesse essere ritrovato, non potendo in alcun modo configurarsi una responsabilità dell’erede onerato, neppure per l’equivalente in termini economici di quel libro, come temuto da chi pone il quesito.
Chiaramente, trattandosi di un bene definito di cospicuo valore, sarebbe opportuno denunciare lo smarrimento di quel libro alle forze dell’ordine, ma ciò se sussiste qualche dubbio sulla possibilità che nell’abitazione del defunto possano essersi introdotti terzi estranei, i quali abbiano potuto trafugare lo stesso.
In caso contrario, ossia qualora si abbia certezza che nessun estraneo introdottosi nell’abitazione del defunto si sia potuto impossessare illecitamente di quel testo, sarà interesse della legataria farne denuncia alle forze dell’ordine, le quali potranno così svolgere gli accertamenti del caso.

Qualora, poi, all’esito delle indagini espletate, le forze dell’ordine dovessero accertare che il libro è stato illecitamente sottratto ed individuare l’autore di tale azione, si verrebbe a configurare il reato di appropriazione indebita, il quale costituisce un delitto contro il patrimonio, disciplinato e punito dall’art. 646 del c.p..
In particolare, commette tale reato l’erede del defunto che, prima della chiusura della successione, distrae beni dell’eredità, di cui ne abbia il possesso.
L’esempio tipico e che più di frequente si verifica nella prassi quotidiana è quello del figlio del defunto che, avendo il possesso della carta di credito del padre scomparso, effettua prelevamenti di somme di denaro presso gli sportelli bancomat, in danno di altri fratelli coeredi, oppure vende i mobili d’arredo della casa familiare.
E’ pur vero che nei rapporti tra parenti il diritto penale prevede alcune eccezioni per i reati contro il patrimonio, in quanto si tenga conto che, ex art. 649 del c.p., non è punibile chi ha commesso uno di tali reati (fra cui rientra l’appropriazione indebita) in danno dei seguenti soggetti:
a) del coniuge non legalmente separato;
b) di un discendente o discendente o di un affine in linea retta ovvero dell’adottante o dell’adottato;
c) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

In questo specifico caso, però, la suddetta causa di non punibilità non potrebbe essere invocata, in quanto il fatto delittuoso verrebbe ad essere commesso in danno di persona non soltanto non convivente, ma persino ex compagna del de cuius.
Sotto il profilo civilistico e del diritto delle successioni, invece, qualora la sottrazione di quel libro dovesse essere ricondotta ad uno degli eredi del de cuius, troverebbe applicazione il disposto di cui all’art. 527 del c.c., per effetto del quale il chiamato all’eredità che ha compiuto tale atto non soltanto decade dalla facoltà di rinunziare all’eredità del de cuius, ma è costretto anche ad assumere la posizione di erede puro e semplice, non potendosi più avvalere del beneficio di inventario.

Giovanni B. chiede
domenica 03/05/2020 - Sicilia
“Mio padre nel 2008 mi consegnava una cambiale con dichiarazione alla presenza di testimone "consegno a mio figlio cambiale che corrisponde a miei risparmi e poiché non voglio condizionamenti da mia figlia amministratrice pongo una data di riscossione a quando non ci sarò e ne terrò conto nel testamento"
E infatti scriverà
"......A tizio x a Caio y.....Mio figlio ha preso i miei risparmi."
Non precisa però quanto e quando se non nella dichiarazione detta .
Gli altri eredi tutti legittimati hanno preannunciato opposizione alla scadenza fra tre anni perché donazione senza atto Notarile e perché non sufficientemente specificato nel testamento.
QUESITO
Possono bloccare riscossione in attesa sentenza?”
Consulenza legale i 11/05/2020
Purtroppo le osservazioni degli altri eredi devono ritenersi corrette, in quanto si fondano su un principio unanimemente riconosciuto valido sia in dottrina che in giurisprudenza, ossia quello secondo cui sia l’emissione che la successiva girata di una cambiale devono trovare la loro giustificazione in un negozio con causa onerosa (in tal senso si veda Tribunale di Milano sentenza 30.08.2010).

In mancanza di ciò deve ritenersi che l’emissione e la girata siano avvenute a titolo di liberalità, con conseguente configurarsi di una vera e propria donazione, la quale, come tale, deve risultare a pena di nullità da atto pubblico ex art. 732 del c.c., salvo ovviamente il caso della donazione di modico valore di cui all’art. 783 del c.c..

Indubbiamente, sarebbe onere degli altri eredi (qualora volessero opporsi al pagamento di quella cambiale in quanto integrante una donazione non di modico valore) provare la mancanza della causa onerosa, ma si tratta di un onere non particolarmente difficile da assolvere, poiché sarebbe oltremodo agevole dimostrare che non vi è stata alcuna controprestazione riconducibile all’emissione della stessa.

Occorre a questo proposito ricordare che la disciplina del codice civile, in alternativa alla forma solenne, impone la traditio (consegna) della somma di denaro quale elemento essenziale ai fini della validità del contratto di donazione esclusivamente per le donazioni di modico valore, mentre per le altre fattispecie la consegna rimane semplice elemento che attiene all’esecuzione del contratto e che non può valere per il suo perfezionamento.
Così, anche nel caso in cui venga utilizzato un titolo di credito per trasferire gratuitamente una somma di denaro, è da ritenersi che oggetto della donazione non sia la somma di denaro, ma il titolo, il quale dovrà essere descritto nel contratto di donazione stesso al fine di soddisfare gli oneri formali richiesti dall’art. 782 del c.c. (solo in tal modo il donatario potrà legittimamente acquistare tutti i diritti inerenti al titolo).

Si è anche ritenuto possibile che, in un momento precedente al perfezionamento del contratto di donazione, il titolo venga consegnato dal donante al donatario e da questi incassato; in tal caso, tuttavia, si assisterà soltanto ad una inversione del normale ordine cronologico degli elementi costitutivi della fattispecie, in quanto la consegna della somma di denaro sarà anticipata rispetto al perfezionamento del contratto di donazione, pur sempre necessario.

Nel caso di specie neppure si è verificata tale inversione cronologica, e pertanto, nel momento in cui la cambiale verrebbe presentata all’incasso, gli eredi, tenuti al pagamento, sarebbero pienamente legittimati a rifiutare il pagamento facendo valere la nullità di quel titolo per mancanza di una causa onerosa e della forma richiesta dalla legge per la validità degli atti a titolo gratuito (la giurisprudenza parla di nullità della donazione fatta sotto le parvenze di una cambiale).

Sembra indubbio che quanto fin qui considerato confligga non soltanto con gli interessi di chi pone il quesito, ma anche con la volontà del de cuius, manifestata nel testamento dallo stesso redatto in data successiva alla emissione e consegna della cambiale, nella convinzione che con quest’ultima si sarebbe realizzato il suo desiderio di assegnare tutti suoi risparmi in denaro al figlio Giovanni.
Infatti, nel testamento fatto pervenire a questa Redazione, si legge “….Giovanni ha preso i miei risparmi in banca….”.

Dal tenore letterale di tale disposizione si ritiene possa chiaramente desumersi quale sia stata la reale volontà del testatore, ossia quella di assegnare al figlio Giovanni i suoi risparmi in banca, e sarà soltanto la valutazione del caso concreto e delle parole utilizzate nella scheda testamentaria che potranno consentire, anche in un’eventuale aula di giustizia, di dare una interpretazione chiara ed univoca alla volontà del de cuius.

La soluzione che si suggerisce di adottare è quella di prospettare, dapprima agli altri eredi ed eventualmente al giudice a cui si dovrà per forza di cose sottoporre la controversia, la tesi secondo cui le parole usate dal testatore possono configurarsi come un legato di cosa determinata soltanto nel genere da prendersi dal suo patrimonio, fattispecie espressamente prevista all’art. 654 c.c.
Secondo il disposto di questa norma, solo se il denaro non sussista più al tempo dell’apertura della successione, il legato diventerà in tutto o in parte inefficace.

Per quanto concerne la sua concreta determinazione, occorrerà semplicemente richiedere ed ottenere dagli istituti di credito ove il de cuius intratteneva rapporti bancari, il saldo alla data di apertura della successione.
Del resto, si consideri che, qualora si volesse negare di dare una simile interpretazione alla volontà del de cuius, si giungerebbe al risultato di privare il figlio Giovanni di ogni bene ereditario e di estrometterlo dalla successione, considerato che il resto della scheda testamentaria contiene solo disposizioni in favore degli altri eredi (ciò che sicuramente non rientrava nelle intenzioni del de cuius, il quale si era perfino obbligato mediante emissione di un effetto cambiario in favore di quel figlio).

Qualora le superiori considerazioni non dovessero convincere gli altri eredi (ed i legali da cui i medesimi si faranno sicuramente assistere) ed indurli così a dare attuazione alla volontà del padre, purtroppo non si potrà fare a meno di adire le vie legali, dovendosi preventivamente rispettare la fase della mediazione obbligatoria, in quanto il diritto successorio rientra tra le materie per le quali il procedimento in questione è obbligatorio (secondo quanto previsto dal comma 1-bis dell'art. 5 del D.lgs. 28 del 2010).


G. C. chiede
giovedì 03/02/2022 - Sardegna
“Buongiorno,

con la presente richiedo cortesemente una vs. consulenza su un testamento olografo redatto dalla moglie defunta in favore del marito (comunione dei beni, non ci sono figli, la defunta ha un solo fratello).

Il testamento presenta tutti gli elementi formali richiesti perché sia pienamente valido: scritto per intero, firmato e datato dalla defunta la quale, anziché usare la classica formula della nomina quale “erede universale”, lascia al marito i beni in suo possesso elencandoli in dettaglio:

1. La casa di abitazione, (che era intestata alla defunta, seguono riferimenti catastali) con tutto ciò che vi è all'interno;

2. la propria quota di una seconda abitazione (seguono identificativi catastali);

3. la propria quota di una terza abitazione (seguono identificativi catastali);

4. la casa situata in… (seguono identificativi catastali - anche in questo caso la defunta deteneva la piena proprietà);

Il dubbio principale è il seguente: il testamento è stato redatto oltre dieci anni fa e presenta situazioni che in questo lasso di tempo sono mutate, ovvero:

1. le quote delle case di cui ai precedenti punti 2 e 3 sono state oggetto di permuta tra la defunta e il fratello, con regolari atti notarili, per cui al momento del decesso la defunta era in possesso della intera proprietà della casa di cui al punto 2 e, avendo ceduto la quota della casa di cui al punto 3, non era più in possesso di alcuna parte di quest’ultimo bene.

2. La casa di cui al punto 4 è stata venduta con regolare atto notarile di compravendita e al momento del decesso non era più nella disponibilità della defunta.

3. La casa di abitazione (di cui al punto 1) della defunta e del marito è stata oggetto di ampliamento con l’acquisizione di un appartamento contiguo e la conseguente creazione di una nuova e più ampia unità immobiliare, che ovviamente è stata nuovamente accatastata in virtù delle mutate caratteristiche (per cui gli attuali identificativi catastali non corrispondono a quelli indicati al punto 1 del testamento).

Il quesito pertanto è questo:

la mutata situazione, che peraltro è frutto di una evoluzione nel tempo, suggellata di volta in volta da regolari passaggi e relativi atti notarili, può pregiudicare, anche solo in parte, la piena acquisizione dei beni da parte del marito, che è l’unico citato nel testamento in questione? Il fratello della defunta, unica altra parte in causa, può rivendicare qualcosa a seguito delle variazioni intervenute nel frattempo?”
Consulenza legale i 09/02/2022
Il testamento, così come redatto, non sembra possa lasciare alcun dubbio circa la chiara volontà della testatrice di nominare il coniuge superstite erede universale di tutti i suoi beni.
La giurisprudenza è stata da sempre orientata nel senso di ritenere che, al fine di stabilire in concreto se una disposizione testamentaria debba considerarsi a titolo universale o a titolo particolare, occorre compiere una duplice indagine:
- la prima di carattere oggettivo, riferita al contenuto dell’atto;
- la seconda di carattere soggettivo, volta ad analizzare l’effettiva volontà del testatore in ordine alla natura del lascito.
Nello svolgimento di tale indagine, si è affermato che non deve attribuirsi valore decisivo alle espressioni usate dal testatore, con la conseguenza che l’attribuzione meramente formale, da parte del de cuius, del titolo di erede o di legatario, è irrilevante se si pone in contrasto con l’intrinseca natura della disposizione, potendo invece essere utilizzata quale elemento sussidiario per confermare il risultato dell’analisi condotta sull’obiettiva consistenza della stessa disposizione (cfr. Cass. civ. n. 5625 del 16.11.1985).

Di contro, sempre secondo quanto è dato leggere nella giurisprudenza di legittimità, ai fini della designazione dell’erede non rileva l’uso da parte del testatore di espressioni sacramentali, purchè si possa desumere con certezza la sua volontà di attribuire beni e/o sostanze non già come singole, ma come “totalità o quota del proprio patrimonio”.
In tal senso si ritiene possa essere utile richiamare quanto dettato dalla Corte di Cassazione, Sez. VI, con ordinanza n. 6125 del 05.03.2020: “In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli e individuati beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato”.

Sembra evidente che nel caso di specie la volontà della testatrice sia stata quella di voler istituire il coniuge superstite quale erede universale di tutti i suoi beni, volontà che può desumersi dall’espressione dalla medesima usata, allorchè manifesta la volontà di lasciare al marito “i beni in suo possesso”.
Il fatto, poi, che abbia voluto includere nel testamento una elencazione di quei beni non può certamente indurre l’interprete a configurare quella manifestazione di volontà come disposizione a titolo particolare, limitata ai soli beni contemplati nel testamento (con conseguente apertura della successione legittima per ciò che nel testamento non è stato contemplato).

Neppure può assumere valore decisivo l’indicazione dei dati catastali per l’individuazione dei beni elencati in testamento, in quanto è pacifica, sia in dottrina che in giurisprudenza, la tesi secondo cui “Il testamento, olografo o pubblico che sia, non deve necessariamente contenere, a pena di nullità, le indicazioni catastali e di configurazione degli immobili cui si riferisce, essendo invece sufficiente, per la validità dell’atto, che questi siano comunque identificabili senza possibilità di confusione, salva la necessità, la quale peraltro non attiene ad un requisito di regolarità e validità del testamento, che gli eredi, in sede di denuncia di successione e di trascrizione del testamento medesimo, provvedano essi ad indicare specificamente gli immobili predetti, menzionandone dati catastali, confinazioni, ecc.” (così Cass. Sez. II civ. sent. n. 1649 del 23.01.2017).

Alla luce di quanto detto sopra, pertanto, può intanto affermarsi che per quanto concerne la casa di abitazione, la quale ha formato oggetto di ampliamento e di attribuzione di nuovi identificativi catastali, nessun dubbio può sussistere in ordine alla volontà della de cuius di assegnare la stessa al coniuge superstite, dovendo assumere valore decisivo a tal fine la sola circostanza che quell’immobile, seppure con le successive trasformazioni, al tempo di apertura della successione fosse destinato a casa familiare di entrambi i coniugi.

Per quanto concerne, invece, le quote degli immobili che dopo la redazione del testamento hanno formato oggetto di atti di disposizione (regolarmente redatti in forma di atto pubblico), dovrà farsi applicazione per gli stessi del disposto di cui all’art. 654 del c.c., norma che, seppure dettata con riferimento alle disposizioni a titolo particolare, enuncia un principio di carattere generale, ovvero quello secondo cui le disposizioni testamentarie dettate dal testatore non possono che avere effetto soltanto per ciò che nel suo patrimonio si trova al tempo della sua morte.
Pertanto, il testamento non potrà sicuramente esplicare alcuna efficacia per la casa di abitazione di cui al punto 3 (avendo questa formato oggetto di alienazione successiva e non facendo più parte del patrimonio ereditario), mentre per ciò che concerne la seconda abitazione (quella di cui al punto 2), la disposizione testamentaria dovrà intendersi quale manifestazione della volontà di lasciare al coniuge superstite quella abitazione in misura pari alla quota alla de cuius spettante al momento della morte (ovvero, a seguito delle vicende negoziali successive, per una quota pari al 100%).

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