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Articolo 483 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Impugnazione per errore

Dispositivo dell'art. 483 Codice Civile

L'accettazione dell'eredità [1324 c.c.] non si può impugnare se è viziata da errore [482, 1427 ss. c.c.](1).

Tuttavia, se si scopre un testamento [587 c.c.] del quale non si aveva notizia al tempo dell'accettazione, l'erede non è tenuto a soddisfare i legati [649, 662, 663 c.c.] scritti in esso oltre il valore dell'eredità [662, 663 c.c.], o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta [536 ss. c.c.](2). Se i beni ereditari non bastano a soddisfare tali legati, si riducono proporzionalmente anche i legati scritti in altri testamenti. Se alcuni legatari sono stati già soddisfatti [649 c.c.] per intero, contro di loro è data azione di regresso(3).

L'onere di provare il valore dell'eredità incombe all'erede [2697 c.c.].

Note

(1) La norma si applica all'errore vizio, ossia alla falsa rappresentazione della realtà che incide sulla formazione della volontà del soggetto. Tipico esempio di errore vizio è quello sulla consistenza dell'eredità.
Discussa è la rilevanza dell'errore ostativo, quello cioè che determina una divergenza tra la volontà e la dichiarazione (es. il chiamato ha accettato per errore nella dichiarazione l'eredità di Tizio in luogo di quella di Sempronio). Secondo alcuni in tali ipotesi l'accettazione sarebbe annullabile ex art. 1433 del c.c., secondo altri sarebbe nulla.
(2) L'erede non è chiamato a subire le conseguenze sfavorevoli derivanti dalla scoperta di un successivo testamento. In tal caso sarà tenuto a soddisfare i legati contenuti in tale testamento nei limiti di quanto ricevuto.
Se l'erede è un legittimario è fatta salva la quota di legittima che gli è dovuta.
(3) Contro i legatari che siano già stati soddisfatti è ammessa l'azione di regresso.

Ratio Legis

La norma mira tutelare l'erede dalle conseguenze negative derivanti dall'accettazione di un'eredità che avrebbe presumibilmente accettato con beneficio di inventario se fosse stato a conoscenza dell'esistenza del testamento scoperto posteriormente.

Spiegazione dell'art. 483 Codice Civile

La norma in esame esclude l'impugnabilità dell'accettazione dell'eredità in caso di errore-vizio da intendersi quale falsa rappresentazione della realtà che incide sulla formazione della volontà del soggetto. Tipico esempio di errore vizio è quello sulla consistenza dell'eredità.

La ratio sottesa alla norma è quella di tutelare la certezza dei traffici giuridici.

La portata della suddetta esclusione trova attenuazione nel secondo comma della norma in esame che riconosce, in capo all'erede, in caso di scoperta di un testamento sconosciuto all'apertura della successione, vantaggi analoghi a quelli derivanti dall'accettazione beneficiata sebbene con portata limitata ai soli legati.

La norma in esame, inoltre, riconoscendo implicitamente che l'erede che ha accettato l'eredità allo stesso devoluta per legge sia automaticamente erede testamentario, viene considerata una conferma dell'unicità della delazione in ipotesi di concorrenza tra successione legittima e testamentaria.

Stante il tenore della norma che esclude solo l'errore-vizio, secondo la dottrina prevalente, sarebbe rilevante, ai fini dell'impugnazione dell'accettazione, l'errore ostativo, quello cioè che determina una divergenza tra la volontà e la dichiarazione (es. il chiamato ha accettato per errore nella dichiarazione l'eredità di Tizio in luogo di quella di Sempronio).

Si discute in dottrina sulla sanzione conseguente a tale errore:
  • parte della dottrina ritiene non applicabile alla accettazione dell'eredità, quale atto unilaterale non recettizio, l'art. 1433 del codice civile che prevede l'annullabilità, in caso di vizio della volontà derivante da errore-ostativo, non ricorrendo nel caso di specie la ratio sottesa a tale norma che è quella di tutelare l'affidamento del terzo. Si applicherebbe, dunque, al caso di specie la sanzione della nullità quale conseguenza della mancanza assoluta di volontà dell'accettante.
  • altra parte della dottrina ritiene, invece, applicabile la sanzione dell'annullabilità anche in casi di accettazione dell'eredità viziata da errore-ostativo in virtù del generico rinvio alle disposizione previste per il contratto ai sensi dell'art. 1324 del codice civile.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

239 Nell'ipotesi che venga alla luce un testamento dopo l'accettazione, l'erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell'eredità o con pregiudizio della porzione legittima a lui dovuta. Ma il progetto non risolveva a questo proposito la questione se si devono ridurre solo i legati disposti nel testamento che è stato scoperto, oppure se si riducono anche i legati disposti nel testamenti precedenti, in guisa da stabilire parità di condizioni tra i legatari. L'equità mi ha suggerito di accogliere legislativamente questa seconda soluzione e a tal fine ho inserito nell'art. 483 del c.c. una disposizione in questo senso.

Massime relative all'art. 483 Codice Civile

Cass. civ. n. 264/2013

Il vigente ordinamento giuridico non prevede due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell'eredità, derivanti l'uno dalla delazione testamentaria e l'altro dalla delazione legittima, ma contempla - con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che sia il titolo della chiamata - un unico diritto di accettazione, che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni dal giorno dell'apertura della successione, come conferma l'art. 483, secondo comma, c.c., il quale attribuisce automatico rilievo ad un testamento scoperto dopo l'accettazione dell'eredità (pur limitando entro il valore dell'asse l'obbligo di soddisfare i legati ivi disposti), senza che esso debba essere a sua volta accettato.

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Domenico chiede
giovedì 28/03/2013 - Sicilia
“Dal 1970 esercito un'attività di servizi in locali di mio padre. Questi almeno dal 1980, sulla parola, mi erano stati assegnati, così come erano già pacificamente suddivisi sulla parola e con l'accordo degli altri fratelli, gli altri beni dell'l'intero asse (compresi quelli di mia madre). Su questo immobile ho sempre agito come proprietario curandone la manutenzione,la sistemazione e l'arredo (prima era un vecchio magazzino); sottoscrivendo contratti d'affitto nella qualità di proprietario con società di servizi per cui ho operato negli stessi locali con mandato d'agente; pagando i tributi locali come ICI, tarsu, utenze etc.
Succede però che mio padre deceduto nel 1987 aveva nel 1972 fatto testamento,dei locali a me in uso, a mio fratello allora scapolo.(la stessa cosa del resto l'aveva già fatto nel 1971 con mia sorella allora nubile). Mio padre redigeva dei testamenti legati alle esigenze di famiglia che poi però venivano superate ma dimenticava di distruggere gli scritti che mia madre conservava (non c'è traccia di altri scritti o revoche). Mio fratello, non so come, da almeno 15 anni si è impossessato di questo testamento che ha tenuto in tasca,a suo dire come ricordo. Sbandierandolo come predilezione ma anche assicurando che non lo avrebbe mai usato. Io da mia madre ho preteso la copia non senza rimproverare la conservazione di un testamento superato e contrario ai patti accettati da tutti. Alla morte di mia madre nel 2009 mio fratello rompendo qualsiasi indugio o parola data fa pubblicare il testamento. Mia madre forse temendo quanto poteva succedere in un suo scritto già nel 1996, scriveva che il testamento posseduto da mio fratello era posseduto al solo scopo del ricordo e raccomandava di lasciare l'eredità così come era stata divisa ed accettata. Adesso mio fratello mi chiede di cedergli i locali dove tutt’oggi con la stessa attività opero. Vorrei sapere: 1) Se il testamento pubblicato dopo oltre 15 anni di averlo posseduto (dimostrabile) è un fatto normale? 2)Se esistono i presupposti per impugnare detto testamento? 3) Quanto potrebbe durare un causa del genere e quanto potrebbe costare? 4) Se ci possono essere conseguenze penali per il ritardo nella pubblicazione? 5) Cosa potrebbe succedere se resisto e non gli cedo i locali che lui vuole?
Vi ringrazio per l'esauriente risposta e in tale attesa distinti saluti.”
Consulenza legale i 09/04/2013
La vicenda esposta è particolarmente complessa e in questa sede si potranno dare solo delle indicazioni di massima.
Quanto alla domanda concernente il ritardo nella pubblicazione di un testamento olografo, si veda da subito l’art. 620, comma 1, c.c., che dispone: “Chiunque è in possesso di un testamento olografo deve presentarlo a un notaio per la pubblicazione, appena ha notizia della morte del testatore”.
La legge non fissa un termine per la presentazione dell’olografo ad un notaio, e non è nemmeno prevista esplicitamente una sanzione per l’inosservanza dell’obbligo. Dal punto di vista civilistico, tuttavia, il possessore inadempiente sarà ritenuto responsabile extracontrattualmente per tutti i danni patiti dagli interessati in conseguenza del ritardo nella presentazione del testamento.
La mancata presentazione non integra, di per sé, un caso di indegnità ex art. 463 del c.c., salvo ricorrano gli estremi del reato di occultamento di testamento, rilevante ex [[ 490cp]] (“Chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico, o una scrittura privata veri soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli articoli 476, 477, 482 e 485 (reclusione da sei mesi a tre anni), secondo le distinzioni in essi contenute. Si applica la disposizione del capoverso dell'articolo precedente”).
Quanto alla questione dell’impugnabilità del testamento, si deve precisare che, se il documento presenta tutti i requisiti richiesti dalla legge (art. 602 del c.c.), esso è valido ed efficace se non successivamente revocato.
Ai sensi dell’art. 680 del c.c., la revocazione espressa può farsi soltanto con un nuovo testamento, o con un atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni, in cui il testatore personalmente dichiara di revocare, in tutto o in parte, la disposizione anteriore. Si parla, invece, di revoca tacita o implicita con riferimento alle figure del testamento posteriore le cui disposizioni si palesano incompatibili con quelle precedenti (art. 682 del c.c.), della distruzione del testamento olografo (art. 684 del c.c.), del ritiro del testamento segreto (art. 685 del c.c.), dell'alienazione o trasformazione della cosa legata (art. 686 del c.c.).
Nel caso di specie, nessuna delle ipotesi di revoca sembra essersi verificata e lo scritto di pugno della madre datato 1996 può essere considerato solo come prova indiziaria da parte di un giudice eventualmente chiamato a decidere se il testamento olografo del 1972 fosse o meno stato revocato.

Una possibile soluzione è forse quella di tentare un’azione di usucapione del bene immobile goduto pacificamente dal 1970 e, in particolare, per oltre vent’anni dopo la morte del padre (1987-2009). Presumendo che alla morte del padre si sia aperta la successione legittima, tutti i fratelli e la moglie sono divenuti coeredi e comproprietari del compendio del de cuius, ciascuno per la quota che gli spettava per legge. La comunione ereditaria può essere sciolta solo con divisione (che nella specie non è avvenuta).
La giurisprudenza ritiene che anche una situazione di compossesso di beni ereditari costituisce la base per affermare la possibilità per il singolo comproprietario di usucapire il bene comune (o una parte di esso), purché tale possesso esclusivo sia il riflesso dell'instaurazione di una situazione di fatto tale da impedire il parallelo godimento e compossesso degli altri contitolari (Cass. civ. sez.II, 19478/07: “In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sè, idoneo a far ritenere lo stato di fatto cosí determinato funzionale all' esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando invece necessario, ai fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene. Pertanto il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall'uso della cosa, occorrendo al riguardo che il suddetto comproprietario ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale cioè da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus” ).
La domanda volta all’accertamento dell’usucapione, che, pure, in base agli elementi di fatto forniti nel quesito, sembrerebbe supportata da prove sia documentali che testimoniali, potrebbe però essere ostacolata dall’esistenza del testamento olografo posseduto dal fratello. In una sentenza della Cassazione che non risulta contrastata da altre decisioni successive, la Suprema corte ha stabilito che, quando viene scoperto un testamento che modifica le quote degli eredi legittimi, il precedente compossesso dei beni ereditari da parte dei predetti eredi non può essere considerato possesso di beni altrui e non può quindi essere utile ai fini dell'usucapione (Cass. civile, sez. II, 16.2.1993, n. 1933).
Come si è potuto constatare, il quesito proposto non è di facile soluzione e richiede l’attento esame da parte di un legale.
A titolo informativo, è bene precisare che sia un’azione di impugnativa del testamento olografo che un’azione di accertamento dell’usucapione sono azioni civili ordinarie, che scontano l’eccessiva lunghezza del processo civile nel nostro Paese (anche dieci anni per arrivare ad una sentenza di primo grado). Quanto ai costi, essi dipendono dall’accordo con il legale che segue la causa.