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Articolo 2505 bis Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Incorporazione di società possedute al novanta per cento

Dispositivo dell'art. 2505 bis Codice Civile

Alla fusione per incorporazione di una o più società in un'altra che possiede almeno il novanta per cento delle loro azioni o quote non si applicano le disposizioni degli articoli 2501 quater, 2501 quinquies, 2501 sexies e 2501 septies(1), qualora venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.

L'atto costitutivo o lo statuto possono prevedere che la fusione per incorporazione di una o più società in un'altra che possiede almeno il novanta per cento delle loro azioni o quote sia decisa, quanto alla società incorporante, dal suo organo amministrativo, con deliberazione risultante da atto pubblico, sempre che siano rispettate le disposizioni dell'articolo 2501 septies, e che l'iscrizione o la pubblicazione prevista dall'articolo 2501 ter, terzo comma, sia fatta, per la società incorporante, almeno trenta giorni prima della data fissata per la decisione di fusione da parte della società incorporata(1).

Si applica la disposizione di cui al terzo comma dell'articolo 2505.

Note

(1) Comma sostituito dall'art. 1 D. Lgs. 22 giugno 2012, n. 123.

Ratio Legis

Le c.d. fusioni semplificate prevedono un procedimento semplificato rispetto a quello ordinario e sono previste dagli artt. 2505, 2505 bis e 2505 quater.
Nella norma in commento la scelta del procedimento semplificato risiede nel limitato peso che i soci di minoranza hanno nel capitale della società destinata alla incorporazione.

Spiegazione dell'art. 2505 bis Codice Civile

Ai sensi dell'articolo in commento, la fusione tra società non determina, nell'ipotesi di fusione per incorporazione, l'estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto nell'ipotesi di fusione paritaria, ma si attua un'unificazione mediante integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, con evoluzione dello stesso soggetto giuridico.
Almeno il 90% delle azioni o quote deve essere posseduto al momento dell'atto di fusione e non necessariamente al momento della delibera.
Si può derogare alla relazione degli esperti purché sia previsto il correttivo del recesso.
La semplificazione riguarda solo la relazione degli esperti, mentre resta ferma l'assegnazione di azioni o quote e la determinazione del rapporto di cambio ex art. 2501 bis, nonché la relazione degli amministratori (2501 quinquies).

Nel caso di incorporazione di s.p.a. i soci avranno diritto di conoscere la determinazione del prezzo nei quindici giorni precedenti la data fissata per l'assemblea, in applicazione dell'art. 2437 ter, 5° comma, c.c. (Consiglio Notarile di Milano - massima n. 58).

L'atto costitutivo o lo statuto dell'incorporante possono prevedere che la fusione sia deliberata dagli organi amministrativi delle due società, purché risulti da atto pubblico. La decisione che può essere demandata all'organo amministrativo è solo quella dell'incorporante e non pure dell'incorporata, perché in quest'ultima società vi è il 10% dei soci di minoranza (per cui la decisione di fusione deve essere inderogabilmente assunta dall'assemblea).

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

14 DELLA FUSIONE E DELLA SCISSIONE Per quel che riguarda il tema delle fusioni, l'indicazione contenuta nella legge-delega di "semplificare e precisare il procedimento" doveva coniugarsi con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 78/855/CEE del 9.10.1978, cui – nel nostro Paese – è stata data attuazione in forza del d. lgs 16.1.1991, n. 22). Si è così ritenuto di operare su due piani: a) da un lato – per quanto riguarda le fusioni cui partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali si applicano le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) – sfruttando, al fine di "semplificare e precisare il procedimento", taluni margini consentiti dalla direttiva stessa e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991; b) da altro lato – per quanto riguarda le fusioni cui, invece, non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali non trovano applicazione le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) – derogando altresì, sempre al fine di "semplificare e precisare il procedimento", a talune indicazioni previste come tassative dalla direttiva stessa. Così: Dal primo punto di vista, si è utilizzato il margine di discrezionalità consentito agli Stati membri dall'art. 1, comma 3°, della direttiva per eliminare l'attuale previsione secondo cui "la partecipazione alla fusione non è consentita alle società sottoposte a procedure concorsuali" (art. 2501 del c.c., comma 2°); si è espressamente consentita una (seppure estremamente limitata) possibilità di modifica del progetto di fusione in sede di approvazione della fusione stessa (art. 2502 del c.c., comma 2°); si è cercato di trovare un miglior contemperamento tra l'esigenza di celerità del procedimento di fusione e quella di tutela dei creditori sociali (art. 2503 del c.c., commi 1°, 2° e 3°); si è sfruttato il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri dagli artt. 25 e 27 della direttiva per consentire, in ipotesi di fusione per incorporazione di una o più società in un'altra che possiede almeno il 90% di tutte le loro azioni o quote, che l'approvazione della fusione stessa venga effettuata dall'organo amministrativo (art. 2505 del c.c., comma 2°; art. 2505-bis, comma 2°), ecc.; Dal secondo punto di vista – con riferimento alle fusioni cui non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni – si è prevista (all'art. 2505 quater), proprio al fine di ulteriormente semplificare ed accelerare il procedimento di fusione, tutta una serie di deroghe al modello di derivazione comunitaria. Per quel che concerne le operazioni di leveraged buyout – relativamente alle quali la legge-delega (art. 7, comma 1°, lett. d) demandava al legislatore delegato di "prevedere che le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli articoli 2357 e 2357 quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile" – si sono indicate le condizioni cui dette fusioni devono sottostare (art. 2501-bis). Infine, si sono introdotte specifiche previsioni per dare attuazione, da un alto, all'indicazione della legge– delega (art. 7, comma 1, lett. c) che impone al legislatore delegato di "disciplinare i criteri di formazione del primo bilancio successive alle operazioni di fusione" (cfr. art. 2504-bis, comma 4°) e, da altro lato, a quelle (art. 7, comma 1, lett. b) di "disciplinare possibilità, condizioni e limiti delle (…) fusioni eterogenee" (cfr. art. 2502, comma 2°; art. 2504-bis, comma 5°). Anche per quel che riguarda le scissioni, è stato necessario contemperare le indicazioni contenute nella legge delega con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 82/891/CEE del 17.12.1982, cui – nel nostro Paese – è stata data attuazione in forza del d. lgs. 16.11.1991, n. 22). Si è così provveduto – come già in tema di fusione – a sfruttare taluni margini consentiti dalla direttiva e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991). Il che è stato fatto, da un lato, facendo ampio ricorso alla tecnica del rinvio alle nuove norme in tema di fusione e, da latro lato, a previsioni specifiche, quale quella (art. 2506 del c.c., comma 2°) che consente "un conguaglio in denaro, purché non superiore al dieci per cento del valore nominale della azioni o quote attribuite" ai soci della società scissa, ovvio quello (art. 2506, comma 2°) che consente "che, per consenso unanime, ad alcuni soci non vengano distribuite azioni di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni della società scissa"; o, ancora, quella (art. 2506-bis, comma 3°) che contempla che, per gli "elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto", "la responsabilità solidale è limitata all'attivo netto attribuito in ciascuna società beneficiaria", o, infine, quello (art. 2506-bis, comma 4°) che preveda che, "nell'ipotesi in cui le azioni delle società beneficiarie sono attribuite agli azionisti della società scissa non proporzionalmente ai loro diritti sul capitale di tale società, gli azionisti minoritari possono esercitare il diritto di far acquistare le proprie azioni al valore corrente concordemente determinato, ovvero a quello che, in mancanza di accordo, sarà determinato dal giudice". Da un punto di vista terminologico si è ritenuto opportuno in tema di scissione caratterizzare i suoi riflessi sui beni in termini di "assegnazione" e non di "trasferimento". Ciò anche la fine di chiarire, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata, che nell'ipotesi di scissione medesima non si applicano le regole peculiari dei trasferimenti dei singoli beni (ad esempio relative alla situazione edilizia degli immobili).

Massime relative all'art. 2505 bis Codice Civile

Cass. civ. n. 2637/2006

Ai sensi del nuovo art. 2505 bis c.c., conseguente alla riforma del diritto societario (D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6), la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l'estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell'ipotesi di fusione paritaria, ma attua l'unificazione mediante l'integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo. Deve pertanto escludersi che la fusione per incorporazione determini l'interruzione del processo ai sensi dell'art. 300 c.p.c.

Cass. civ. n. 2716/2002

Nell'ipotesi in cui una società incorpori altra società da essa interamente o parzialmente posseduta, il disavanzo di fusione esprime la differenza tra il valore del patrimonio netto dell'incorporata ed il prezzo pagato per l'acquisto delle partecipazioni che lo rappresentano: la sua utilizzazione è diretta a «riallineare» il valore contabile del patrimonio netto dell'incorporata al costo delle partecipazioni, facendo emergere valori, come quello relativo all'avviamento, che nel bilancio di esercizio dell'incorporata non erano stati, né potevano essere, considerati.

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E. B. chiede
martedì 14/06/2022 - Lombardia
“fusione per incorporazione con 90% di possesso delle azioni (art. 2505-bis c.c.) -
Quesito : la società incorporante detiene il 70% delle azioni di una società da incorporare.
Il residuo 20% necessario per raggiungere il quorum del 90% è detenuto da una terza società a sua volta partecipata al 100% dalla medesima incorporante. E' in questo modo assolto l'obbligo di possesso del 90% derlle azioni della incorporanda così da fruire delle semplificazioni previste dall'art. 2505-bis c.c. ?
Non ho trovato un parere/massima notarile che faccia riferimento a questa ipotesi.
Attendo un vostro cortese commento.
grazie”
Consulenza legale i 20/06/2022
L'art. 2505 bis del c.c. consente di ricorrere alla procedura semplificata di liquidazione in caso di fusione per incorporazione di una o più società in un'altra che possiede almeno il novanta per cento delle loro azioni o quote.
In tal caso è possibile fare a meno delle relazioni degli amministratori e degli esperti, della situazione patrimoniale, a condizione che “venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.”

In questi casi rimane ferma la necessità di indicare, nel progetto di fusione, la determinazione del rapporto di cambio (Magliulo).

I soci di minoranza delle incorporate, dunque, potranno scegliere tra l'accettazione del rapporto di cambio, diventando così soci dell'incorporante, e la cessione delle proprie azioni o della propria quota ottenendo un valore che, parametrato sulla scorta dei criteri di determinazione fissati per il recesso, corrisponde al valore di mercato.
Anche in tal caso è possibile che l'atto costitutivo o lo statuto possano attribuire la competenza all'organo amministrativo (sul punto, Consiglio Notarile di Milano, massima n. 58).

Il presupposto del possesso del 90% o più del capitale non necessariamente deve sussistere al momento della redazione del progetto, ma può invece intervenire anche successivamente nel corso del procedimento di fusione.

L’interpretazione letterale della norma conduce ad escludere che si possa accedere alle semplificazioni di cui all’art. 2505 bis del c.c. in casi quali quello esposto.
La società incorporante detiene esclusivamente il 70% delle azioni dell’incorporata; il 20% necessario a raggiungere la quota indicata dalla norma quale presupposto per l’applicazione delle semplificazioni è detenuto da un’altra società, la quale, pur essendo integralmente partecipata dall’incorporante, costituisce un soggetto giuridico autonomo e distinto.

Sul punto, tuttavia, si rinvengono differenti filoni interpretativi, taluni più restrittivi, altri più orientati verso un’interpretazione estensiva e analogica della norma, muoventi però dall’ipotesi di cui all’art. 2505 del c.c., difforme da quella di cui al quesito, poiché concernente il caso di fusione per incorporazione di una società in un'altra che possiede tutte le azioni o le quote della prima.
Se è vero che, specie dopo la riforma del diritto societario, gli argomenti a sostegno di una interpretazione estensiva della norma e, di conseguenza, di una unanime rinunciabilità della relazione degli esperti, siano decisamente aumentati, va specificato che occorre identificare l’interesse qualificato dei detentori della quota di minoranza e dei terzi, che renderebbe indisponibile l’informazione ricavabile dalla relazione degli esperti.
E' altrettanto vero che parte della giurisprudenza di merito ha interpretato estensivamente l’art. 2505 del c.c., considerando sufficiente per l’applicazione delle semplificazioni di cui alla norma anche una partecipazione indiretta dell’incorporante nell’incorporata; tuttavia, non si rinvengono pronunce simili relative all’art. 2505 bis del c.c..

Si ritiene, pertanto, che non sia attualmente possibile accedere alle semplificazioni di cui all’art. 2505 bis del c.c. senza la detenzione da parte dell’incorporante diretta di almeno il 90% delle quote o azioni della società incorporanda.