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Articolo 2437 ter Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Criteri di determinazione del valore delle azioni

Dispositivo dell'art. 2437 ter Codice Civile

Il socio ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso.

Il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni.

Il valore di liquidazione delle azioni quotate in mercati regolamentati è determinato facendo [esclusivo](1) riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. Lo statuto della società con azioni quotate in mercati regolamentati può prevedere che il valore di liquidazione sia determinato secondo i criteri indicati dai commi 2 e 4 del presente articolo, fermo restando che in ogni caso tale valore non può essere inferiore al valore che sarebbe dovuto in applicazione del criterio indicato dal primo periodo del presente comma(2).

Lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.

I soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di cui al secondo comma del presente articolo nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l'assemblea; ciascun socio ha diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese.

In caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di liquidazione è determinato entro novanta giorni dall'esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell'articolo 1349.

Note

(1) La parola "esclusivo" è stata soppressa dall'art. 20, comma 3, D. L. 24 giugno 2014, n. 91.
(2) Periodo aggiunto dall'art. 20, comma 3, D. L. 24 giugno 2014, n. 91.

Ratio Legis

La norma è volta a tutelare l'interesse del recedente a vedersi liquidata la partecipazione secondo criteri tali da riflettere il valore reale ed attuale della stessa. La medesima disposizione, inoltre, attribuisce a tutti i soci il diritto di conoscere il valore di liquidazione delle proprie azioni con quindici giorni di anticipo rispetto allo svolgimento dell'assemblea convocata per l'assunzione di decisioni che legittimano l'esercizio del recesso.

Spiegazione dell'art. 2437 ter Codice Civile

L’esercizio del recesso da parte del socio dà avvio alla fase di liquidazione della quota, secondo i criteri delineati dalla norma in commento e secondo l’iter procedimentale dettato dall’art. 2437 quater.

In merito ai criteri di determinazione del valore di liquidazione delle azioni recedute la disposizione contempla anzitutto l’adozione di un criterio legale, in virtù del quale il valore di liquidazione deve essere determinato facendo riferimento alla consistenza patrimoniale delle società, alle sue prospettive reddituali e, laddove disponibile, al valore di mercato delle azioni.
Considerato pertanto che ai fini della valutazione è necessario disporre delle informazioni concernenti la situazione economico-patrimoniale della società, si ritiene che gli amministratori debbano redigere una situazione patrimoniale aggiornata.

Lo statuto può tuttavia indicare degli specifici criteri convenzionali atti ad integrare o rettificare il valore risultante dall’applicazione del criterio legale. La norma, in particolare, specifica che lo statuto può indicare le poste attive e passive del bilancio destinate ad essere rettificate, unitamente ai criteri di rettifica da impiegarsi, nonché gli altri elementi suscettibili di valutazione che possono essere presi in considerazione. Ciononostante, secondo l’opinione maggioritaria, la disposizione fornirebbe una mera esemplificazione delle tipologie di criteri convenzionali impiegabili.
Rimane tutt’ora discusso quali siano i limiti posti all’autonomia privata nella determinazione dei criteri di liquidazione diversi da quelli legali. Secondo una prima tesi, tali criteri dovrebbero in ogni caso consentire l’emersione del valore effettivo della partecipazione per la quale sia esercitato il recesso, mentre per altra parte degli interpreti tale limite varrebbe esclusivamente nel caso di recesso per cause inderogabili, essendo dunque ammissibile la previsione di “sconti di minoranza” o di “premi di maggioranza” negli altri casi.
Di recente la giurisprudenza ha tuttavia chiarito che anche nelle ipotesi convenzionali i criteri integrativi non potranno in alcun caso essere plasmati in maniera tale da condurre a valutazioni del tutto irrazionali ed incapaci di riflettere il valore effettivo della partecipazione.

Al fine di rendere il socio pienamente conscio dei rischi e dei benefici connessi al disinvestimento la norma prevede che gli amministratori, entro i quindici giorni antecedenti la delibera che legittima il recesso, debbano predisporre un’apposita relazione di stima del valore di liquidazione, rendendola accessibile ai soci.
La mancanza dell’informativa determina l'annullabilità della delibera eventualmente assunta.
Qualora il recesso sia legittimato da un fatto diverso da una delibera assembleare l’orientamento prevalente ritiene che gli amministratori debbano provvedere alla determinazione entro i quindici giorni successivi al fatto in discussione.

Al fine di risolvere i conflitti che possono insorgere tra recedente ed amministratori, la norma dispone che il socio possa impugnare le determinazioni degli amministratori unicamente mediante il procedimento di contestazione descritto al sesto comma. In tal caso, il recedente dovrà proporre contestazione in sede di recesso e, successivamente, richiedere al Tribunale la nomina di un esperto arbitratore, chiamato a determinare il valore delle partecipazioni secondo il proprio equo apprezzamento.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

9 La delega prevede che la disciplina del recesso sia rivista nel senso di consentire allo statuto di ampliare le cause di recesso, e di individuare criteri di determinazione del valore della partecipazione del recedente che contemperino i suoi interessi e l'esigenza di tutelare l'integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori, il tutto nel quadro di una concezione del recesso come estremo, ma efficace mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell'operazione cui partecipa. All'art. 2437 del c.c. le cause di recesso, aumentate come numero, vengono divise in tre categorie; a) cause di recesso necessarie, ineliminabili; aumentate rispetto all'attuale, anche in dipendenza della nuova disciplina complessiva; b) cause di recesso previste in principio, ma eliminabili in sede di statuto; c) altre cause di recesso determinabili dallo statuto; libertà questa limitata alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in considerazione della turbativa che in società con diffusa platea azionaria porterebbero facili, diffusi recessi. Posto che la nuova disciplina delle s.p.a. tende a porre al suo centro l'azione, piuttosto che la persona del socio, si è ritenuto di consentire il recesso per una parte della partecipazione, ritenendo coerente che, mutato il quadro dell'operazione, il socio voglia rischiare di meno, ma continuare ad essere socio. All'art. 2437 bis le modalità del recesso chiariscono i profili procedurali, senza indicare nulla di particolare. All'art. 2437 ter le modalità di determinazione del valore della quota del recedente, fortemente penalizzanti nell'attuale disciplina, costituiscono grave problema, trattandosi di conciliare un atto, ed un intento, liquidatorio, quale quello del socio, con i caratteri di una società, di un'impresa, in esercizio, e le due prospettive: liquidazione e continuità sono in contrasto. Per l'ipotesi che nulla lo statuto preveda si è fatto riferimento alla "consistenza patrimoniale", volendo così indicare la non vincolatività dei dati contabili, ed alle "prospettive reddituali", come elemento correttivo della situazione patrimoniale; il riferimento ad un valore di mercato è eventuale. Si è però previsto che lo statuto, allora a seconda il diverso assetto delle varie società, possa dare indicazioni analitiche di quali poste rettificare, e sui criteri di rettifica. In questo caso potrà tenersi conto, se statutariamente indicato, anche, ad esempio, dell'avviamento. All'art. 2437 quater il procedimento di liquidazione è stato arricchito di varie ipotesi graduate in successione, prevedendo l'opzione di altri soci, la vendita a terzi. Per la necessaria tutela dei creditori sociali s'è previsto che, dovendo ricorrere al rimborso diretto, soltanto in mancanza di riserve disponibili si possa diminuire il capitale, lasciando però in tal caso alla società facoltà di deliberare lo scioglimento. Alla deliberazione di diminuzione del capitale sociale si applica la disciplina della diminuzione volontaria, con la logica conseguenza che se l'opposizione dei soci è accolta la società si scioglie.

Massime relative all'art. 2437 ter Codice Civile

Cass. civ. n. 16168/2014

È valida la clausola statutaria che preveda che la consistenza patrimoniale della società, alla quale fa riferimento l'art. 2437 ter, secondo comma, cod. civ. ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso del socio (ovvero, in virtù del richiamo di cui all'art. 2355 bis, terzo comma, cod. civ., nell'ipotesi di prelazione nella circolazione "mortis causa"), venga valutata secondo un criterio che tenga conto dell'utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale (cosiddetto "going concern") atteso che, da un lato, la valutazione della consistenza patrimoniale può essere effettuata secondo una molteplicità di criteri, sicché la scelta statutaria del criterio del "going concern" non può ritenersi adottata in violazione di legge, mentre, dall'altro, tale criterio si mostra coerente con la condizione dei beni organizzati in azienda, il cui valore complessivo non si risolve nella somma del valore statico dei singoli beni, ma è inevitabilmente influenzato dalla prospettiva della continuazione dell'attività.

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