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Articolo 2502 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Decisione in ordine alla fusione

Dispositivo dell'art. 2502 Codice Civile

La fusione è decisa da ciascuna delle società che vi partecipano mediante approvazione del relativo progetto. Se l'atto costitutivo o lo statuto non dispongono diversamente, tale approvazione avviene, nelle società di persone, con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili, salva la facoltà di recesso per il socio che non abbia consentito alla fusione e, nelle società di capitali, secondo le norme previste per la modificazione dell'atto costitutivo o statuto(1).

La decisione di fusione può apportare al progetto di cui all'articolo 2501 ter solo le modifiche che non incidono sui diritti dei soci o dei terzi.

Note

(1) Nelle società di capitali tale compito è riservato all'assemblea straordinaria delle società che vi partecipino, con le maggioranze previste.

Ratio Legis

La decisione di fusione rappresenta il secondo passaggio del procedimento di fusione.

Spiegazione dell'art. 2502 Codice Civile

La fusione è decisa, non deliberata, per cui si ritiene non sia necessaria l'approvazione del progetto in assemblea.
La legge richiede il consenso dei soci, quindi è indifferente la modalità di raccoglimento della loro volontà, se in assemblea o separatamente a seconda di quanto previsto dai patti sociali.
Relativamente alla diversa disposizione dell'atto costitutivo in deroga alla maggioranza:
  1. nelle società di persone è necessaria una clausola che preveda l'unanimità proprio nell'ipotesi specifica di fusione;
  2. per quanto riguarda le società di capitali: nelle s.r.l. lo statuto può prevedere un quorum minore, più elevato o l'unanimità; nelle s.p.a. non è possibile prevedere un quorum minore, è possibile prevederne uno più elevato, è discusso se sia possibile prevedere l'unanimità.
Il legislatore prevede tre forme di tutela della minoranza:
  1. la maggioranza qualificata (2369, 5° comma);
  2. il diritto di recesso (artt. 2437, 1° comma, lett. b); 2473, 1° comma);
  3. il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata (2500 sexies, 1° comma).
La maggioranza qualificata in seconda convocazione è prevista per le s.p.a. e s.a.p.a. che, a causa della fusione, cambino tipo sociale. Secondo la dottrina e il Consiglio notarile di Milano (massima n. 21) se la fusione comporta una ulteriore modificazione dello statuto, e per tale modificazione statutaria la legge o lo statuto richiedono la maggioranza qualificata, vale tale maggioranza.

Il recesso in caso di fusione è previsto per le società di persone e per le s.r.l. (2473), mentre non è previsto per le s.p.a. in cui il recesso è previsto solo per la trasformazione. Nella s.p.a. la fusione costituisce causa di recesso solo se comporta la trasformazione, oppure se comporta una ulteriore modificazione dello statuto per la quale, la legge o lo statuto stesso, prevedano il recesso.
Il recesso decorre dalla decisione di fusione.

La decisione può apportare modifiche al progetto di fusione purché non incidano sui diritti dei soci o dei terzi. In tale ipotesi tutte le società partecipanti alla fusione dovranno approvare il progetto modificato.
Se si vogliano apportare modifiche che incidano sui diritti dei soci o dei terzi, ad esempio modifica del rapporto di cambio, si dovrà ripercorrere l'intero procedimento di fusione a partire dalla redazione del progetto.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

14 DELLA FUSIONE E DELLA SCISSIONE Per quel che riguarda il tema delle fusioni, l'indicazione contenuta nella legge-delega di "semplificare e precisare il procedimento" doveva coniugarsi con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 78/855/CEE del 9.10.1978, cui – nel nostro Paese – è stata data attuazione in forza del d. lgs 16.1.1991, n. 22). Si è così ritenuto di operare su due piani: a) da un lato – per quanto riguarda le fusioni cui partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali si applicano le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) – sfruttando, al fine di "semplificare e precisare il procedimento", taluni margini consentiti dalla direttiva stessa e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991; b) da altro lato – per quanto riguarda le fusioni cui, invece, non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali non trovano applicazione le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) – derogando altresì, sempre al fine di "semplificare e precisare il procedimento", a talune indicazioni previste come tassative dalla direttiva stessa. Così: Dal primo punto di vista, si è utilizzato il margine di discrezionalità consentito agli Stati membri dall'art. 1, comma 3°, della direttiva per eliminare l'attuale previsione secondo cui "la partecipazione alla fusione non è consentita alle società sottoposte a procedure concorsuali" (art. 2501 del c.c., comma 2°); si è espressamente consentita una (seppure estremamente limitata) possibilità di modifica del progetto di fusione in sede di approvazione della fusione stessa (art. 2502 del c.c., comma 2°); si è cercato di trovare un miglior contemperamento tra l'esigenza di celerità del procedimento di fusione e quella di tutela dei creditori sociali (art. 2503 del c.c., commi 1°, 2° e 3°); si è sfruttato il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri dagli artt. 25 e 27 della direttiva per consentire, in ipotesi di fusione per incorporazione di una o più società in un'altra che possiede almeno il 90% di tutte le loro azioni o quote, che l'approvazione della fusione stessa venga effettuata dall'organo amministrativo (art. 2505 del c.c., comma 2°; art. 2505-bis, comma 2°), ecc.; Dal secondo punto di vista – con riferimento alle fusioni cui non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni – si è prevista (all'art. 2505 quater), proprio al fine di ulteriormente semplificare ed accelerare il procedimento di fusione, tutta una serie di deroghe al modello di derivazione comunitaria. Per quel che concerne le operazioni di leveraged buyout – relativamente alle quali la legge-delega (art. 7, comma 1°, lett. d) demandava al legislatore delegato di "prevedere che le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli articoli 2357 e 2357 quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile" – si sono indicate le condizioni cui dette fusioni devono sottostare (art. 2501-bis). Infine, si sono introdotte specifiche previsioni per dare attuazione, da un alto, all'indicazione della legge– delega (art. 7, comma 1, lett. c) che impone al legislatore delegato di "disciplinare i criteri di formazione del primo bilancio successive alle operazioni di fusione" (cfr. art. 2504-bis, comma 4°) e, da altro lato, a quelle (art. 7, comma 1, lett. b) di "disciplinare possibilità, condizioni e limiti delle (…) fusioni eterogenee" (cfr. art. 2502, comma 2°; art. 2504-bis, comma 5°). Anche per quel che riguarda le scissioni, è stato necessario contemperare le indicazioni contenute nella legge delega con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 82/891/CEE del 17.12.1982, cui – nel nostro Paese – è stata data attuazione in forza del d. lgs. 16.11.1991, n. 22). Si è così provveduto – come già in tema di fusione – a sfruttare taluni margini consentiti dalla direttiva e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991). Il che è stato fatto, da un lato, facendo ampio ricorso alla tecnica del rinvio alle nuove norme in tema di fusione e, da latro lato, a previsioni specifiche, quale quella (art. 2506 del c.c., comma 2°) che consente "un conguaglio in denaro, purché non superiore al dieci per cento del valore nominale della azioni o quote attribuite" ai soci della società scissa, ovvio quello (art. 2506, comma 2°) che consente "che, per consenso unanime, ad alcuni soci non vengano distribuite azioni di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni della società scissa"; o, ancora, quella (art. 2506-bis, comma 3°) che contempla che, per gli "elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto", "la responsabilità solidale è limitata all'attivo netto attribuito in ciascuna società beneficiaria", o, infine, quello (art. 2506-bis, comma 4°) che preveda che, "nell'ipotesi in cui le azioni delle società beneficiarie sono attribuite agli azionisti della società scissa non proporzionalmente ai loro diritti sul capitale di tale società, gli azionisti minoritari possono esercitare il diritto di far acquistare le proprie azioni al valore corrente concordemente determinato, ovvero a quello che, in mancanza di accordo, sarà determinato dal giudice". Da un punto di vista terminologico si è ritenuto opportuno in tema di scissione caratterizzare i suoi riflessi sui beni in termini di "assegnazione" e non di "trasferimento". Ciò anche la fine di chiarire, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata, che nell'ipotesi di scissione medesima non si applicano le regole peculiari dei trasferimenti dei singoli beni (ad esempio relative alla situazione edilizia degli immobili).

Massime relative all'art. 2502 Codice Civile

Cass. civ. n. 15599/2000

La fusione per incorporazione tra società di capitali, pur comportando effetti più pregnanti di una semplice modifica dell'atto costitutivo, deve essere deliberata dall'assemblea straordinaria delle società che vi partecipano, con le maggioranze all'uopo previste, e non all'unaminità, a nulla rilevando che (come nella specie) lo statuto della società incorporante preveda una clausola di destinazione di una parte degli utili in beneficienza, giacché tale clausola non incide sulla comunione di interessi creata col contratto sociale e non è idonea, in linea di principio, ad eludere lo scopo lucrativo perseguito dalla società.

Cass. civ. n. 3380/1995

Gli atti di fusione di società sono sottoposti alla pubblicità costitutiva dell'iscrizione sul registro delle imprese e non alla omologazione del tribunale, che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2502 e 2411 c.c., è invece, prescritta per le deliberazioni di fusione.

Cass. civ. n. 3121/1993

In forza dell'art. 2502 c.c. — nel testo vigente prima dell'entrata in vigore del D.L.vo n. 22 del 1991 (attuazione delle direttive CEE nn. 855/78 e 897/82) — e del richiamo in esso operato all'art. 2411, primo, secondo e terzo comma, c.c., la deliberazione di fusione deve essere iscritta nel registro delle imprese (da individuarsi in base alla sede della società che la ha adottata) previo giudizio di omologazione, indipendentemente dalla circostanza che dalla fusione risulti una società di capitali ovvero una società di persone, non essendo rilevante, rispetto al descritto contesto normativo, la diversa disciplina della pubblicità degli atti costitutivi dei due tipi di società.

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