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Articolo 2471 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Espropriazione della partecipazione

Dispositivo dell'art. 2471 Codice Civile

La partecipazione può formare oggetto di espropriazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese(1).

L'ordinanza del giudice che dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del creditore.

Se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all'incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.

Le disposizioni del comma precedente si applicano anche in caso di fallimento di un socio.

Note

(1) Viene quindi seguita la procedura del pignoramento immobiliare.

Ratio Legis

Tale norma formalizza la tecnica del pignoramento già elaborata dalla giurisprudenza precedente alla riforma operata con il D. Lgs. 6/2003.

Spiegazione dell'art. 2471 Codice Civile

Dibattuta è la questione attinente alle modalità di pignoramento delle quote di una s.r.l. che prima della riforma del 2003 si rifaceva al procedimento di espropriazione presso terzi, ora l'orientamento prevalente propenderebbe per una procedura ad hoc che prevede:
- al pari della procedura presso terzi, la notifica al debitore ed alla società;
- l'udienza per la vendita all'incanto/assegnazione fissata solo a seguito della relativa istanza (al contrario del meccanismo previsto dall'articolo 543 che prevede la richiesta di assegnazione e/o vendita, proprio all'udienza per la dichiarazione del terzo);
- istanza per la vendita/assegnazione formulata - a pena di decadenza - entro 90 giorni dal perfezionamento del pignoramento;
- l'inesistenza della figura del custode.

L'opinione prevalente ritiene che sia espropriabile anche la quota intrasferibile e la quota munita di particolari diritti, ma questi ultimi cessano con l'aggiudicazione della partecipazione.
La quota è assoggettabile anche a sequestro penale.

Il diritto di voto spetta al socio debitore fino al momento della vendita della quota.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

Massime relative all'art. 2471 Codice Civile

Cass. civ. n. 5493/2008

In tema di espropriazione forzata di quote di società a responsabilità limitata non liberamente trasferibili, qualora, pur in presenza di una clausola statutaria di previsione della necessità del consenso del consiglio di amministrazione per il trasferimento delle quote, la facoltà di designare un altro acquirente in sostituzione dell'aggiudicatario sia stata esercitata dal presidente del consiglio di amministrazione, quale legale rappresentante della società, senza una conforme deliberazione di detto consiglio, la relativa questione non è deducibile con l'opposizione agli atti esecutivi da parte dell'aggiudicatario, neppure se questi sia socio della società (come nella specie), poiché, concernendo una violazione di norme attinenti alla formazione della volontà sociale, non integra una questione afferente alla validità della rappresentanza in giudizio della società ai fini della dichiarazione di designazione e, quindi, all'atto processuale di designazione.

L'art. 2480, terzo comma, c.c., nel testo previgente alla novella di cui al D.L.vo n. 6 del 2003, nel prevedere il diritto di presentazione di altro acquirente a favore della società a responsabilità limitata, nel caso di intrasferibilità della quota, trova applicazione anche nell'ipotesi in cui in sede di espropriazione l'aggiudicazione sia avvenuta a favore di un socio della società, a meno che la previsione statutaria di intrasferibilità non sia stata limitata al caso del trasferimento della quota ad un non socio.

Cass. civ. n. 691/2005

In tema di espropriazione forzata di quote di società a responsabilità limitata, le disposizioni dell'art. 2480, commi terzo (per il quale «se la quota non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all'incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo » ) e quarto (che estende le disposizioni del terzo alla vendita delle quote del socio fallito ) c.c., si applicano anche allorché la non libera trasferibilità delle quote derivi dall'esistenza di clausola statutaria di prelazione.

Cass. civ. n. 2909/2000

In sede espropriativa concorsuale della quota sociale, il curatore, a norma dell'art. 2480 c.c., non è vincolato da un prezzo determinato, ma, quale amministratore del patrimonio del fallito e nel contempo garante degli interessi della massa, deve pervenire ad un accordo con la società (che va, a sua volta, garantita dall'ingresso di terzi estranei), in mancanza del quale la vendita ha luogo all'incanto, con facoltà di presentazione di altro acquirente che, tuttavia, offra lo stesso prezzo di aggiudicazione provvisoria. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui una società ceda alcune quote di propria partecipazione in altra società a soci che quelle quote acquistano, in esercizio del loro diritto di prelazione, al prezzo determinato e pari al valore dell'ultimo bilancio approvato, l'atto di cessione è soggetto a revocatoria fallimentare, se si accerta che il valore delle quote è superiore a quello pagato, visto che lo eventus damni è verificabile nel fatto che il curatore non sarebbe stato vincolato a quel prezzo.

Cass. civ. n. 2926/1997

In materia di espropriazione presso terzi, al terzo pignorato, quale destinatario di attività del processo esecutivo e titolare di un interesse a che questo si svolga secondo legge, in relazione al pregiudizio che in ,situazioni particolari egli possa ricevere dall'esecuzione, va riconosciuto il potere di proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. contro il provvedimento che indirizza la sua prestazione in un modo anziché in un altro. Pertanto nel caso di espropriazione della quota di uno dei soci, la società a responsabilità limitata, è legittimata a proporre opposizione contro,il provvedimento di assegnazione della quota ad un soggetto ad essa estraneo, al fine di far valere il proprio diritto di presentare un altro acquirente a norma dell'art. 2480 c.c., applicabile anche nella indicata ipotesi, che realizza al pari della vendita coattiva una forma di trasferimento coattivo del diritto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2471 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. A. N. chiede
lunedì 10/04/2023
“Creditore pignorante quota di socio di srl trascritto regolarmente dopo 2 anni la srl è messa in liquidazione volontaria il debitore è deceduto tutti i legittimari hanno rinunciato. Vi è un'eredità giacente nessun altro creditore del socio posso chiedere sequestro conservativo sui beni della società che nel frattempo verranno venduti? Sono immobili. Il sequestro lo farò solo sulla quota proporzionale del mio debitore. Parrebbero non esserci debiti.”
Consulenza legale i 16/04/2023
Non è possibile portare avanti un sequestro conservativo sui beni della società, seppure limitatamente al valore proporzionale della quota spettante al socio debitore, in quanto colui che agisce si trova nella posizione di creditore particolare del socio e come tale non può vantare alcun diritto su beni che appartengono alla società, soggetto giuridico del tutto distinto e separato dal socio (neppure qualora si fosse trattato di società a responsabilità limitata unipersonale).
Infatti, fin quando non verrà chiuso il bilancio finale di liquidazione, i beni della società continueranno a fare parte del patrimonio della stessa e su di essi avranno diritto di soddisfarsi soltanto i creditori sociali.

Una conferma di quanto appena detto si ricava esplicitamente dal testo dell’[[ 2905cc]], norma che, inserita nel Libro VI del codice civile dedicato appunto alla “Tutela dei diritti”, attribuisce al creditore la facoltà di chiedere il sequestro conservativo sui beni del proprio debitore (tale non è, si ripete, la società) ed eventualmente anche nei confronti del terzo acquirente dei beni dello stesso debitore, a condizione che sia stata preventivamente proposta l’azione per far dichiarare l’inefficacia della vendita.

Il creditore particolare del socio, invece, ha soltanto il diritto di aggredire beni del debitore, tra i quali ovviamente rientra la partecipazione sociale, procedendo sia al pignoramento della stessa ex art. 2471 c.c. che, eventualmente, al suo sequestro ex art. 2471 bis del c.c..
Eseguito il pignoramento, espressamente disciplinato dall’art. 2471 c.c., il creditore pignorante avrà il diritto, in soddisfacimento del proprio credito, di riscuotere gli utili sociali (se ve ne sono) ovvero di chiedere al giudice dell’esecuzione che venga disposta la vendita all’incanto della medesima quota, nel rispetto delle condizioni previste dal terzo comma dello stesso art. 2471 c.c.

Qualora, poi, come accaduto nel caso di specie, la società dovesse essere messa in liquidazione, occorrerà rispettare quanto disposto dall’art. 2492 del c.c., ovvero il compimento (conclusione) della liquidazione e la redazione del bilancio finale di liquidazione, nel quale verrà indicata la parte spettante a ciascun socio nella divisione dell’attivo (è su tale parte del patrimonio sociale che il creditore pignorante potrà soddisfarsi).

Nella situazione in cui ci si trova, invece, sarebbe possibile avvalersi di un altro strumento giuridico messo a disposizione dal codice civile, ovvero quello della impugnazione della rinunzia all’eredità.
Trattasi di facoltà espressamente riconosciuta ai creditori del defunto ex art. 524 del c.c., per effetto della quale i creditori, se non sono trascorsi cinque anni dalla rinunzia, possono farsi autorizzare dal Tribunale del luogo di apertura della successione ad accettare l’eredità in nome ed in luogo dei rinunzianti, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.
In questo modo, dunque, il diritto di credito vantato potrebbe trovare soddisfacimento sull’intera eredità relitta dal de cuius, e non sulla sola partecipazione sociale già oggetto di pignoramento.

Stante la mera funzione strumentale dell'azione, diretta al soddisfacimento del credito, la giurisprudenza afferma che legittimati siano perfino i creditori i quali possano vantare una ragione di credito non ancora accertata nel suo preciso ammontare, non risultando necessario che il credito sia liquido ed esigibile.
Peraltro, non si deve temere che in questo modo i creditori possano acquisire la qualità di eredi, risultando ciò implicitamente escluso dallo stesso testo della norma ed essendosi espressa in tal senso anche la giurisprudenza, la quale ha tra l’altro rilevato che gli stessi creditori, non divenendo comproprietari dei beni ereditari, non sono legittimati a chiedere la divisione dei beni stessi, potendo soltanto promuovere l'espropriazione forzata ai sensi degli artt. 599-601 c.p.c.

I. Z. chiede
giovedì 23/03/2023 - Friuli-Venezia
“Il contribuente il quale in possesso di debiti personali, socio unico della società in forma giuridica srls, chiede:
1. i debiti personali possono portare al pignoramento del conto corrente della società o solamente delle quote societarie?
2. questo va determinato dal fatto che si tratti di un socio unico e sarebbe stato diverso se si trattase di 2 soci al posto di 1 solo?
3. se questo invece può portare al pignormaneto del conto corrente societario in qualsiasi di 2 ipotesi (società unipersonale o pluripersonale in forma srls) on quali passaggi e modalità avviene il meccanismo e le tempistiche del medesimo?”
Consulenza legale i 28/03/2023
Il creditore particolare del socio di una srl per soddisfare il proprio credito non può aggredire i beni della società, bensì soltanto gli utili da questi eventualmente percepiti e la propria quota di partecipazione.
L’art. 2471 del c.c., infatti, ammette proprio la possibilità di espropriazione della quota di partecipazione del socio/debitore, nonché la procedura che un eventuale creditore particolare del socio dovrà a tal fine seguire.
Il patrimonio del socio e della società, infatti, rimangono separati; ciò comporta che il creditore particolare del socio non possa soddisfarsi sui conti correnti della società.

Lo stesso dicasi per l’Agenzia delle Entrate Riscossione (AdER ex Equitalia), la quale non può pignorare i beni di una srl al fine di riscuotere coattivamente i crediti esattoriali insoddisfatti detenuti nei confronti di un socio o di un amministratore della stessa.

Tale regime prescinde dalla sussistenza di uno o più soci, pertanto i creditori particolari del socio potranno in entrambe le circostanze agire per il pignoramento degli utili e/o della partecipazione sociale del socio/debitore.
Si rileva, tuttavia, una particolarità nel caso di srl unipersonale: in tal caso, il pignoramento della quota sociale di proprietà del socio/debitore comporta la vendita coattiva di una partecipazione che corrisponde alla totalità delle quote, con la conseguenza che, in sede di vendita coattiva, l’acquirente diventa l’unico socio titolare della srl stessa, in quanto assegnatario dell’unica quota esistente.

Stefano chiede
giovedì 02/01/2020 - Trentino-Alto Adige
“Sto svolgendo una consulenza aziendale e mi è stato chiesto questo parere.

Un cliente ha avuto alle spalle un lungo periodo da imprenditore (ditta individuale): lui vuole trasformare la ditta individuale in una SRL per motivi aziendali, dove diventerà l'amministratore unico titolare al 100% delle quote, questa operazione permetterà di aumentare il giro di affari.

A questo punto, non avendo alcuna pendenza, debito o contenzioso tributario, il cliente vorrebbe tutelare la quota di SRL e ovviamente gli utili presenti in essa (non i dividendi distribuiti) dinanzi a
(A) eventuali alimenti da matrimonio (dovrebbe sposare una straniera il prossimo anno)
(B) pignoramento di quote da privati, o altro o al peggio Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) per pregresse posizioni.

A rigor di logica, se il suo stipendio è da amministratore della SRL, sarà quello e soltanto quello il reddito sulla quale il giudice stabilirà gli alimenti o eventuali pignoramenti da parte di terzi creditori del soggetto amministratore privato o da parte di pregresse posizioni tributarie verso egli stesso come privato OPPURE in qualche maniera anche le quote della società (e quindi utili non distribuiti) potrebbero rilevare ed essere considerati ai fini alimentari /pignoramento? Esiste consolidata giurisprudenza a questo proposito?

Per cortesia inviare il parere firmato con il nome dell’avvocato.”
Consulenza legale i 09/01/2020
La risposta al quesito seguirà l’ordine delle domande formulate.

Con riferimento all’incidenza della quota di partecipazione detenuta dall’amministratore sull’eventuale quantificazione dell’assegno di mantenimento, o alimentare, dovuto dal coniuge a seguito, ad esempio, dello scioglimento del vincolo del matrimonio con l’altro coniuge (caso a cui il quesito sembra riferirsi), pare opportuno richiamare l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, chiamata a decidere se e in quale misura eventuali quote di partecipazione possano concorrere al calcolo di detto assegno.

Ebbene, la Suprema Corte ha statuito che “il giudice di merito è tenuto a considerare tutte le risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilità monetarie gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività e capacità di spesa".

Continua la medesima Corte, affermando che debbano essere valutati “come componenti del patrimonio personale del B. le riserve disponibili detenute dalle due società di cui lo stesso è socio di maggioranza ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore della G. da porre a carico dello stesso, non perché abbia, come ritenuto dal ricorrente, operato un cumulo annuale delle riserve accantonate in un anno, costituenti cespite da considerare invece nella sua unicità, ma solo perché ha considerato tali riserve come parte della capacità reddituale del B., valutata in euro 400.00 annuali” (Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 130/2014).

Sostanzialmente, la Corte di Cassazione ritiene che le quote di partecipazione detenute dal coniuge obbligato debbano essere tenute in considerazione ai fini della quantificazione del medesimo assegno, atteso che le risorse disponibili della società di cui detiene le quote il coniuge sono una potenziale espressione di una “capacità reddituale” del medesimo coniuge.

Pertanto, e venendo alla risposta al quesito, la quota di partecipazione detenuta dal futuro socio unico potrà essere eventualmente tenuta in considerazione ai fini del calcolo dell’assegno.

In merito, invece, alla pignorabilità della quota di partecipazione, non vi sono dubbi che anch’essa potrà costituire oggetto di eventuali pignoramenti.

Posto, infatti, che il debitore risponde verso i creditori con tutto il suo patrimonio personale ex art. 2740 del c.c., e che il disposto di cui all’art. 2471 del medesimo codice stabilisce che “La partecipazione può formare oggetto di espropriazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese”, la garanzia patrimoniale dell’amministratore verso i suoi futuri debitori è certamente costituita anche dalla quota di partecipazione, che potrà essere oggetto di pignoramento.

Anonimo chiede
giovedì 11/10/2018 - Marche
“Buonasera, sono amministratore unico e socio unico di una srl, con capitale sociale di euro 10.000. In passato ho avuto dei problemi con una società poi fallita ed ora mi ritrovo con debiti da pagare alle banche a favore delle quali avevo rilasciato firma a garanzia per affidamenti bancari e con Agenzia delle entrate riscossioni.
Attualmente nella nuova società dove ora sono amministratore e socio unico le quote mi sono state pignorate da un terzo.
Se dovessi venire a mancare cosa succede a queste quote?
Andranno al terzo che le ha pignorate per poi essere vendute dal Tribunale all’asta?
Nella nuova società ho inserito tramite notaio un procuratore speciale con tutti i poteri, lo stesso procuratore può gestire quote se io venissi a mancare? Ad esempio venderle?
Se facessi un testamento per lasciare queste quote alle mie nipoti, queste ultime devono accettare l’eredità portandosi dietro anche tutti i miei debiti?
Spero di essere stato il più chiaro possibile.
Rimango a Vs disposizione per qualsiasi altro chiarimento.
Cordiali saluti

Consulenza legale i 24/10/2018
Due sono i temi principali che vanno qui affrontati:
  • il primo riguarda la sorte delle quote sociali pignorate
  • il secondo attiene agli effetti che si produrrebbero in capo agli eredi a seguito della trasmissione mortis causa di tali quote.

Del pignoramento delle quote di s.r.l. si occupa espressamente il codice civile all’art. 2471, norma che disciplina sia le modalità con cui procedere ad espropriazione della quota sia la fase successiva del processo esecutivo, fino a giungere alla vendita della stessa.

Un aspetto, intanto, si ritiene opportuno chiarire: il pignoramento non comporta una automatica attribuzione delle quote al creditore procedente, ma apre un processo esecutivo vero e proprio, al termine del quale si potrà giungere, come nel pignoramento di qualunque altro bene e/o diritto, alla vendita di esse ovvero alla assegnazione al creditore procedente in soddisfacimento del proprio credito.
Infatti, una volta avviata la procedura esecutiva con la notifica dell’atto di pignoramento e conseguente iscrizione a ruolo, il successivo passo che il creditore dovrà compiere sarà quello di presentare l’istanza di vendita o di assegnazione, in ordine alla quale il giudice dell’esecuzione sarà tenuto a provvedere con ordinanza.

Quindi, è errata l’idea secondo cui, nel caso il cui il debitore, titolare delle quote pignorate, dovesse venire nel frattempo a mancare, quelle quote si trasferiranno automaticamente al terzo creditore per conto del quale è stato eseguito il pignoramento.
Il terzo ne potrà divenire titolare solo se, a mezzo del suo legale, ne chiederà l’assegnazione e questa venga successivamente disposta con ordinanza dal Giudice dell’esecuzione; in mancanza di ciò, si darà luogo alla vendita forzata delle quote.

Nel frattempo, ossia durante la pendenza della procedura esecutiva, il creditore procedente avrà invece diritto a riscuotere gli utili da esse prodotti (ovviamente fino alla concorrenza della somma di cui è creditore), e ciò per effetto di quanto previsto dall’art. 2912 del c.c. e dall’art. 492 del c.p.c., norme dalle quali discende che il pignoramento comprende anche i frutti della cosa pignorata (da un punto di vista tecnico, la ripartizione degli utili conseguirà alla annuale delibera di approvazione delbilancio sociale).

Nel caso di specie, poi, troverà applicazione anche il terzo comma dell’art. 2471 c.c., in quanto, come richiesto da tale norma, si è in presenza di quote non liberamente trasferibili, ciò che si desume chiaramente da quanto previsto all’art. 9 dello Statuto sociale.
Questo comporta che la vendita delle quote potrà essere frutto di un accordo tra la società, il creditore ed il debitore, e solo in mancanza di un accordo si dovrà procederà secondo le forme della vendita con incanto.

Va a questo punto precisato che, nel raggiungimento del suddetto accordo, ogni decisione relativa alla società si ritiene che possa essere validamente assunta dalla persona a cui è stata conferita procura, potendosi certamente tale attività far rientrare nei poteri gestori che gli sono stati assegnati.
Lo stesso procuratore, invece, non può avere alcun potere rappresentativo per la vendita delle quote in nome e per conto di colui che ne è titolare, in quanto si tratta del compimento di un atto che incide sul patrimonio del socio (di cui non ha rappresentanza) e non su quello della società (la sola che rappresenta).

Passiamo adesso ad esaminare il secondo tema di questo caso, ossia quello legato all’aspetto successorio.
Quanto si chiede trova una inequivoca risposta nelle norme dettate in materia di successione, ed in particolare all’art. 752 del c.c. ed all’art. 756 del c.c..

Dalla lettura di tali norme si desume che, mentre l’erede, accettando l’eredità, e soprattutto non avvalendosi del beneficio d’inventario, si ritroverà ad essere gravato di tutti i debiti ed i pesi che il defunto ha lasciato, lo stesso non vale per il legatario, il quale non soltanto conseguirà quanto il testatore ha voluto attribuirgli senza necessità di effettuare alcun atto di accettazione, ma per espressa disposizione dell’art. 756 c.c. non sarà tenuto a pagare i debiti ereditari.

Ciò significa che, qualora ci si decidesse a lasciare alle proprie nipoti le quote di cui si è titolari nella s.r.l, tale attribuzione avrebbe natura di legato (si tratta della assegnazione di un bene determinato) e le nipoti legatarie verrebbero ad acquisire le quote automaticamente al momento dell’apertura della successione, senza assumere la qualità di eredi e senza trovarsi costretti a rispondere dei debiti di cui era gravato l’intero patrimonio del de cuius.

Tale trasmissione ereditaria, di contro, non potrà valere a liberare le quote dal pignoramento già eseguito su di esse, in quanto il creditore avrà tutto il diritto di continuare la procedura esecutiva già intrapresa; si consideri, infatti, che qualunque operazione sulle quote va iscritta al registro delle imprese, e dunque, le partecipazioni sociali di cui i legatari diventeranno titolari risulteranno già gravate da un pegno iscritto in tale registro anteriormente all’apertura della successione.

Nessun ostacolo invece può porsi al loro trasferimento mortis causa, in quanto l’art. 9 dello Statuto sociale ne prevede una limitazione (con l’introduzione della c.d. clausola di prelazione) solo per il caso di trasferimento per atto inter vivos, sia che esso avvenga a titolo oneroso che gratuito.
In mancanza di espressa previsione per il caso di decesso del titolare, dunque, si ritiene che debba trovare applicazione l’art. 2469 del c.c., il quale prevede come regola generale la liberà trasmissibilità mortis causa della partecipazione sociale, la quale può realizzarsi sia a titolo di legato (come si vuol fare in questo caso) che a titolo di erede (legittimo o testamentario).

Si aggiunga, infine, che a garantire la posizione dei legatari contribuisce anche la disciplina della società a responsabilità limitata, in quanto, anche se la società dovesse risultare gravemente indebitata, i legatari non potrebbero mai essere costretti a risponderne con il proprio patrimonio, e ciò per effetto di quella autonomia patrimoniale perfetta di cui godono le società di capitali, che scinde del tutto il patrimonio della società da quello dei singoli soci, con la conseguenza che dei debiti sociali ne risponderà solamente la società con il proprio patrimonio.

ANNAMARIA A. chiede
giovedì 11/11/2010
“A un dipendente atipico (cioè senza certezza di continuità di lavoro) può essere pignorato il quinto di stipendio?”
Consulenza legale i 13/11/2010

Il testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni (decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180) dispone alcune eccezioni all'insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti.

L'art. 2 stabilisce: "Gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti [...] sono soggetti a sequestro ed a pignoramento nei seguenti limiti:
1) fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto di ritenute, per causa di alimenti dovuti per legge;
2) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per debiti verso lo Stato e verso gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d’impiego o di lavoro;
3) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, all’impiegato o salariato".

La legge finanziaria 2005 (l. 311/2004) ha equiparato le disposizioni relative alla pignorabilità degli stipendi privati e di quelli pubblici.

Alcune precisazioni sul pignoramento degli stipendi privati: la quota oggetto di pignoramento per crediti alimentari è decisa dal presidente del Tribunale o da un giudice da questi delegato; sono pignorabili fino ad un quinto per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni e nella stessa misura per ogni altro credito; quando concorrono due o più cause suddette la quota pignorabile non può estendersi oltre la metà.

Se la sua situazione rientra in una delle fattispecie descritte dalla norma (in particolare, contratto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato), il suo stipendio sarà pignorabile nel limite di un quinto.


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