Cass. civ. n. 8816/2023
In ambito di società di capitali, qualora consti sostituzione di una delibera invalida con altra successiva, l'art. 2377, comma 8, c.c. postula che, ai fini della declaratoria di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio, il giudice verifichi che la nuova delibera detti una disciplina sostanziale idonea a rimuovere la precedente causa di invalidità.
Cass. civ. n. 23579/2017
Il socio di una s.r.l. fallita, il cui amministratore abbia domandato il proprio fallimento, non è legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa, in quanto la delibera assembleare che ha autorizzato l'organo amministrativo alla presentazione dell'istanza ha efficacia vincolante, ex art. 2377, comma 1, c.c., per tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti, salvo che non sia stata impugnata e poi sospesa od annullata; a maggior ragione, dunque, un interesse a proporre reclamo non può essere riconosciuto al socio occulto, ossia a chi eserciti l'attività di direzione e coordinamento in modo illecito, approfittando ed abusando dei poteri di direzione, ed eludendo per fini propri i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale.
Cass. civ. n. 20071/2017
In tema di impugnazione delle delibere condominiali, ai sensi dell'art. 2377 c.c. - dettato in tema di società di capitali ma, per identità di "ratio", applicabile anche in materia di condominio - la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere.
Cass. civ. n. 2957/2017
Il socio di una società a responsabilità limitata fallita, il cui amministratore abbia domandato il proprio fallimento, non è legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa, in quanto la delibera assembleare che ha autorizzato l'organo amministrativo alla presentazione dell'istanza ha efficacia vincolante, ex art. 2377, comma 1, c.c., per tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti, salvo che non sia stata impugnata e poi sospesa od annullata; tale principio trova applicazione anche nel caso in cui il reclamo sia proposto da un socio a sua volta dichiarato fallito il quale, benché privo del diritto di voto e, dunque, rappresentato dal curatore nell'assemblea che ha autorizzato l'amministratore a presentare l'istanza di fallimento, sia comunque legittimato per legge all'impugnazione della relativa delibera.
Cass. civ. n. 1624/2015
La deliberazione assembleare di esclusione del socio da una società personale, assunta con il voto di una società partecipante rappresentata da un "falsus procurator", è viziata da annullabilità, in quanto il diritto di partecipare all'assemblea è tutelato dalla legge in funzione dell'interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un'ipotesi di mera annullabilità, in applicazione analogica dell'art. 2377 c.c.; il voto così espresso, invalido per vizio di rappresentanza, è peraltro suscettibile di ratifica, proveniente dalla medesima società legittimamente rappresentata, ai sensi dell'art. 1399 c.c., restando compito esclusivo del giudice del merito accertare l'integrazione della fattispecie sanante, su eccezione della parte interessata a farla valere.
Cass. civ. n. 21889/2013
Colui il quale abbia perso la qualità di socio non avendo sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale conserva la legittimazione ad esperire l'azione di accertamento della nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 c.c., in quanto, sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all'art. 24, primo comma, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'istante assume essere "contra legem" e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Cass. civ. n. 9680/2013
In materia di società, la minaccia del socio di far valere il proprio diritto di voto contro l'approvazione del bilancio in caso di mancata dismissione della partecipazione ad altro socio può essere causa di annullabilità della vendita delle azioni, conclusa fra i soci stessi, solo ove sia diretta a conseguire vantaggi ingiusti, dovendosi escludere che siano tali quelli meramente correlati all'interesse del venditore ad uscire dalla società, atteso che il diritto di voto è funzionale all'interesse individuale del socio ed incontra il limite dell'interesse sociale solo quando possa danneggiare la società, fermo restando che la prospettiva di poter vendere le azioni non costituisce un elemento estraneo, rispetto alle scelte relative all'esercizio del diritto di voto in assemblea.
Cass. civ. n. 4946/2013
L'annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 2378, terzo comma, cod. civ., non incide - ancorché ne possa derivare una modifica della composizione della maggioranza allorquando non sia stata seguita dall'integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci - sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza, poiché l'omessa adozione del provvedimento di sospensione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali.
Cass. civ. n. 22762/2012
In tema di società a responsabilità limitata, l'assemblea, nella sua autonomia, può revocare una deliberazione - ove non siano coinvolti diritti dei terzi o diritti acquisiti dei soci - e, così rimossa la prima, può adottarne una nuova, non coincidente con l'altra. In tale ipotesi, non si pone la questione della rinnovazione sanante con effetti retroattivi ai sensi dell'art. 2377 c.c., giacché, ove la società revochi la delibera impugnata (nella specie, approvazione del bilancio in forma abbreviata) e ne adotti un'altra non coincidente (nella specie, approvazione del bilancio in forma analitica), alla prima delibera non è più ricollegabile alcun effetto e gli effetti della seconda decorrono soltanto da quando essa è stata assunta.
Cass. civ. n. 17060/2012
L'art. 2377 c.c. (anche nel testo anteriore alle modifiche introdotte con il d.l.vo n. 6 del 2003) non annovera tra i soggetti legittimati all'impugnazione di una delibera assembleare la società dalla quale tale deliberazione promana, attribuendo tale norma la legittimazione, oltre che ai soci assenti o dissenzienti, agli amministratori o ai sindaci della società stessa. La società è legittimata passiva nel giudizio di impugnazione, proprio perché da essa promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell'impugnazione, e sarebbe quindi inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà. (Fattispecie in cui la società aveva convenuto in giudizio il socio titolare di una quota pari al 50% del capitale sociale, chiedendo accertarsi l'irrilevanza del voto del medesimo ai fini del raggiungimento del "quorum" deliberativo, in quanto espresso in conflitto d'interessi, oltre alla condanna al risarcimento del danno).
Cass. civ. n. 1361/2011
La deliberazione assembleare di una società per azioni, di cui si assuma la non corretta modalità di computo delle maggioranze all'uopo occorrenti ai fini del "quorum" deliberativo, è meramente annullabile e non inesistente; infatti, la sua difformità al modello legale, già nel contesto normativo anteriore alla riforma societaria di cui al d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6 ne lascia permanere i lineamenti essenziali, trattandosi di una decisione assunta dai soci con la proclamazione del risultato ed è un atto giuridico certamente venuto ad esistenza, laddove la conseguenza dell'inesistenza sarebbe contraria alle fondamentali esigenze di certezza e di affidamento che ispirano (ed ispiravano anche nel regime anteriore alla riforma societaria) la disciplina degli art. 2377 e seguenti c.c.
Cass. civ. n. 259/2010
La deliberazione dell'assemblea di una società di capitali, convocata su deliberazione del consiglio di amministrazione assunta all'esito di una riunione cui un suo componente non sia stato convocato, non è inesistente, nulla od annullabile, trattandosi di mera irregolarità, perché il vizio della deliberazione consiliare di convocazione dell'assemblea non può riflettersi, come causa d'inesistenza o d'invalidità, sulle deliberazioni dell'assemblea dei soci, quando essa sia stata convocata dagli amministratori, a norma dell'art. 2366 c.c., con atto per certo riferibile alla volontà dell'organo amministrativo collegiale, così che esista una convocazione dell'assemblea nel suo essenziale schema giuridico (atto ricettizio, con il quale il socio viene avvisato della data e del luogo della riunione), dovendo escludersi che sulle formalità della convocazione si riflettano, per proprietà transitiva, le eventuali irregolarità interne al distinto procedimento di deliberazione del consiglio di amministrazione. (Fattispecie anteriore al d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6).
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Nell'ipotesi in cui la deliberazione consiliare di convocazione dell'assemblea di una società di capitali sia stata assunta all'esito di una riunione, alla quale un suo componente non sia stato convocato, il medesimo può impugnare la deliberazione consiliare per la mancata convocazione nei suoi confronti, ma, in mancanza di tale impugnazione, la deliberazione assunta dall'assemblea in seguito convocata non può essere impugnata dall'amministratore che deduca il vizio di convocazione, in quanto egli è privo di legittimazione attiva al riguardo, posto che il potere di impugnare le deliberazioni assembleari che non siano state prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo, riconosciuto agli amministratori della società per azioni dall'art. 2377, secondo comma, c.c., spetta al consiglio di amministrazione e non agli amministratori individualmente considerati, salvo che il consigliere di amministrazione sia stato immediatamente leso in un suo diritto dalla deliberazione stessa. (Fattispecie anteriore al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6).
Cass. civ. n. 26842/2008
L'azione di annullamento delle delibere di una società per azioni, disciplinata dall'art. 2377 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell'attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. Ed infatti, qualora l'azione di annullamento della deliberazione sia diretta proprio al ripristino della qualità di socio dell'attore, sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all'art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Cass. civ. n. 19235/2008
Con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni, la dedotta carenza di informazione e discussione sull'argomento all'ordine del giorno - nella specie, l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori - costituisce, ove sia frutto di comportamento prevaricatore della maggioranza volto a realizzare il perseguimento di propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, ragione di mera annullabilità ex art. 2377 c.c., in quanto per le predette delibere si applica il principio per cui la previsione della nullità, ex art. 2379 c.c., è limitata ai soli casi di impossibilità o illiceità dell'oggetto, ricorrenti allorché il contenuto dell'atto contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali e dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società.
Cass. civ. n. 16017/2008
In tema di invalidità delle delibere di un'associazione non riconosciuta, trova applicazione la disciplina di cui all'art. 2377, ultimo comma, c.c., per cui l'annullamento non può essere pronunciato se vi è stata sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità alla legge e all'atto costitutivo ; ciò non comporta tuttavia alcuna cessazione automatica della materia del contendere, in quanto, da un lato, la sopravvenuta carenza di interesse che ne è alla base si avvera solo quando tutti i contendenti si diano reciprocamente atto della mutata situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi e, dall'altro, il giudice stesso è tenuto a verificare la avvenuta rimozione della precedente causa di invalidità, dovendo egli accertare ai limitati fini della ratifica-rinnovazione, se la deliberazione ratificante sia immune da vizi, anche se contro di essa non sia stata proposta autonoma impugnativa.
Cass. civ. n. 14554/2008
In materia di assemblee societarie, è annullabile la delibera con la quale si sia deciso di dar corso alle operazioni di voto, in pendenza della discussione, a nulla rilevando che l'intervento dei soci che non si erano ancora espressi prima dell'inizio della votazione fosse o no idoneo ad influire concretamente sulla decisione degli altri soci di votare in uno od in altro modo ; infatti, ai fini del rispetto del metodo assembleare, imposto dalla legge quale strumento di protezione delle minoranze, è rilevante non il fatto che il socio riesca ad influire sull'orientamento dell'assemblea, ma che egli abbia la possibilità di farlo.
Cass. civ. n. 3020/2008
Ai fini dell'esercizio dell'azione di annullamento del contratto concluso dal rappresentante legale in conflitto d'interessi con la società, non opera il termine di decadenza dell'art. 2377 c.c. attinente all'impugnativa, da proporre contro la società, della delibera sociale invalida bensì l'ordinario termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 1442 c.c., trattandosi di azione di annullamento ex art. 1395 c.c. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo ad un'azione, proposta dal curatore del fallimento della società venditrice, volta all'annullamento del contratto stipulato dalla medesima persona al tempo stesso legale rappresentante del venditore poi fallito e della società acquirente ).
Cass. civ. n. 16393/2007
In caso di impugnazione di delibera adottata con intervento di soci iscritti nel relativo libro ma non in regola con il deposito dei certificati azionari prescritto dall'art. 4 della legge n. 1745 del 1962, il relativo vizio può essere rilevato solo in conseguenza della prova, il cui onere incombe sulla parte impugnante, della concreta mancanza della qualità di socio in capo al soggetto che vi ha preso parte, poiché è solo quella qualità, e non il previo deposito delle azioni, che legittima ad intervenire all'assemblea.
Cass. civ. n. 16390/2007
Può essere impugnata e conseguentemente dichiarata invalida la delibera societaria inesistente quando vi sia un atto scrutinabile, ovvero quando possa valutarsi la palese difformità dal modello legale o l'assenza di requisiti essenziali ; diversamente, non può configurarsi alcun atto impugnabile nell'ipotesi in cui una richiesta del socio (nella specie, di proporre azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ) non venga presa in considerazione dal presidente dell'assemblea e conseguentemente né discussa né approvata.
Cass. civ. n. 8221/2007
In tema di invalidità delle deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni, si ha un'inversione dei criteri regolatori del diritto negoziale, in quanto per esse vige il principio in virtù del quale la regola generale è quella dell'annullabilità (art. 2377 c.c. ), mentre la previsione della nullità è limitata ai soli casi, disciplinati dall'art. 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell'oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l'interesse del singolo socio, dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società.
Cass. civ. n. 21816/2006
In tema di delibere assembleari delle società di capitali, la legittimazione ad impugnare le deliberazioni che non siano prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo spetta oltre che agli amministratori e ai sindaci, anche ai soci assenti e dissenzienti, intendendosi per dissenzienti i soci che abbiano negato, in qualsiasi forma manifestata in assemblea, il proprio contributo all'approvazione della delibera, attraverso il voto contrario o l'astensione, senza che rilevi la motivazione di tali comportamenti che può indifferentemente consistere in una diversa valutazione dell'atto rispetto alla maggioranza ovvero in una contestazione di vizi della procedura, in quanto l'art. 2377 c.c. non dà rilievo intrinseco ai motivi del dissenso, ma esclusivamente alla sua manifestazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittimato all'impugnazione il socio di una cooperativa il quale aveva partecipato all'assemblea senza però esprimere voto favorevole all'approvazione della delibera impugnata, avente ad oggetto la ripartizione di oneri economici tra i soci, ma riservandosi di sottoporre a verifica i conteggi a tal fine presentati dal presidente ).
Cass. civ. n. 27387/2005
Con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni, la doglianza che la maggioranza dei soci non abbia consentito alla minoranza ampia informazione e discussione su un argomento all'ordine del giorno attiene a disciplina etica e di merito e non a questione di legittimità sindacabile da parte del giudice e non può di per sé costituire ragione di invalidità della delibera, denunciabile con l'impugnazione prevista dall'art. 2377 c.c., a meno che non si deduca e dimostri che proprio l'indicato comportamento prevaricatore, frutto di un disegno della maggioranza di realizzare propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, abbia determinato in concreto scelte contrastanti con tale ultimo interesse.
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In applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata l'esecuzione del contratto di società, la cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno. L'abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere ) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. L'onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto di voto grava sul socio di minoranza che assume l'illegittimità della deliberazione ; nel concreto suo atteggiarsi, detta prova non deve ritenersi limitata ai «sintomi » dell'abuso della regola di maggioranza manifestatisi prima dell'adozione della delibera impugnata, potendo, viceversa, farsi leva su comportamenti o indizi cronologicamente successivi, in grado di rivelarne ex post la sussistenza.
Cass. civ. n. 7663/2005
In materia di impugnazione delle delibere dell'assemblea di una società di capitali, la distinzione tra vizi che ne cagionano la nullità, ovvero l'annullabilità, e l'errore nel quale sia incorso il giudice del merito nella qualificazione del vizio denunciato, possono essere fatti valere in sede di legittimità, purché il ricorrente alleghi e dimostri l'esistenza di un interesse concreto alla sua correzione, in quanto, anche se a detti vizi corrispondono azioni e decisioni di natura differente, dalle quali possono derivare effetti almeno in parte dissimili, esse sono accomunate dalla circostanza che sia la pronuncia di nullità, sia quella di annullamento rispondono all'interesse dell'attore di caducare la delibera impugnata. Pertanto, qualora il socio abbia esercitato entrambe le azioni e la società convenuta non abbia eccepito la decadenza dall'azione ex art. 2377, c.c., l'errore del giudice del merito nell'identificare la natura del vizio che inficia la delibera e la conseguente imprecisa formula adottata nella sentenza sono irrilevanti, nel caso in cui il ricorrente non abbia allegato l'interesse che dovrebbe fondare il ricorso, in quanto l'impugnazione della pronuncia non può essere giustificata dallo scopo meramente teorico di conseguire una pronuncia formulata in termini giuridicamente corretti.
Cass. civ. n. 9364/2003
In tema di validità delle deliberazioni assembleari delle società di capitali, la omessa convocazione (di tutti o di alcuni) dei soci, comportando la mancanza, in concreto, dì un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare, determina l'inesistenza giuridica di quest'ultima; invece la irregolarità, o il vizio, che infici la convocazione non determina la stessa conseguenza, ma la mera annullabilità della deliberazione ai sensi dell'art. 2377 c.c. giacché, per quanto viziato, quell'elemento essenziale comunque sussiste. Né comporta inesistenza della convocazione (e della conseguente deliberazione, che sarà quindi solo annullabile) l'assoluta carenza di legittimazione dell'autore di essa (nella specie il curatore del fallimento del socio amministratore di Srl, decaduto dalla carica), essendo in tal caso configurabile una convocazione nel suo essenziale schema giuridico (atto recettizio con cui il socio è avvisato della data e del luogo della riunione) e dovendosi, d'altro canto, considerare che, mentre è giustificabile una reazione radicale(quale l'inesistenza giuridica) dell'ordinamento avverso una delibera assembleare in cui ai soci (che «sono» l'assemblea) non sia stata data neppure l'opportunità di partecipare alla deliberazione, sì che quest'ultima non può essere in alcun modo ricondotta alla loro volontà, diversamente deve, invece, argomentarsi allorché tale opportunità sia stata in concreto offerta, giacché in tale ultimo caso appare certamente più adeguata una reazione più misurata, in equilibrio con le contrapposte esigenze di certezza e stabilità dei deliberati societari, sottostanti alla particolare disciplina delle loro patologie prevista dagli artt. 2377 e 2378 c.c.
Cass. civ. n. 9353/2003
Il vizio di una deliberazione assembleare (nella specie, di una Spa ) costituito dal cosiddetto eccesso di potere si verifica tutte le volte in cui la delibera stessa sia stata adottata ad esclusivo beneficio dei soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, essendo in tal caso applicabile l'art. 1375 c.c., in forza del quale il contratto deve essere eseguito in buona fede, atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti di esecuzione, dacché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale.
Cass. civ. n. 8992/2003
Il potere, riconosciuto agli amministratori della società per azioni dal secondo comma dell'art. 2377 c.c., d'impugnare le deliberazioni dell'assemblea della società che non siano state prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo, spetta al consiglio di amministrazione (ove statutariamente previsto ) e non agli amministratori stessi individualmente considerati, atteso che tale potere è attribuito agli “amministratori” per la tutela degli interessi sociali, e dunque richiede una deliberazione dell'organo incaricato di detta tutela, il quale, nella società retta da un consiglio di amministrazione, si identifica, appunto, nel consiglio, e non nei singoli componenti di esso.
Cass. civ. n. 11186/2001
La deliberazione assembleare di una società si configura come il momento conclusivo di un iter procedimentale che prende inizio dalla convocazione degli aventi diritto ed è destinato a concludersi con l'espressione della volontà assembleare, che sarà formalizzata come deliberazione, sicché il vizio che eventualmente inficia la convocazione, rappresentando impedimento a che l'adunanza dei partecipanti possa qualificarsi giuridicamente come assemblea, determina la giuridica inesistenza della deliberazione che da essa venga assunta, con conseguente esclusione dell'effetto sanante che l'art. 2378 (recte: 2377-N.d.R.) attribuisce alla deliberazione successiva avente valenza giuridica di ratifica-rinnovazione.
Cass. civ. n. 15592/2000
Non abusa del diritto di impugnativa il socio (nella specie, di una cooperativa a rl) che impugni la delibera assembleare di approvazione del bilancio dopo aver in precedenza approvato il progetto di bilancio in qualità di componente del consiglio di amministrazione, giacché, in mancanza di qualsiasi restrizione all'esercizio del diritto di impugnazione delle delibere difformi dalla legge e/o dall'atto costitutivo, per ipotizzare un abuso del suddetto diritto occorre provare la violazione dei principi di correttezza e buona fede intese come regola di comportamento e, a tali fini, non è sufficiente la semplice identità soggettiva tra chi prima abbia approvato il progetto di bilancio e poi impugnato la delibera di approvazione del bilancio medesimo, atteso che il medesimo soggetto nelle due occasioni ha esercitato funzioni e ruoli distinti (quello di amministratore e quello di socio), onde è ben possibile che abbia espresso due diverse valutazioni, senza che sia per ciò solo configurabile una violazione del divieto di venire
contra factum proprium.
Cass. civ. n. 3351/1997
Poiché tra i termini processuali per i quali l'art. 1 della legge n. 742 del 1969 prevede la sospensione nel periodo feriale vanno compresi non soltanto i termini inerenti alle fasi successive all'introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo deve essere instaurato, quando l'azione in giudizio rappresenta l'unico strumento a tutela dei diritti dell'attore, detta sospensione si applica anche con riferimento al termine di tre mesi previsto dall'art. 2377 c.c. per l'impugnazione della delibera dell'assemblea di una società per azioni.