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Articolo 2377 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Annullabilità delle deliberazioni

Dispositivo dell'art. 2377 Codice Civile

Le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità della legge e dell'atto sostitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti.

Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate [2351, 2606] dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale.

L'impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo requisito. Per l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste percentuali sono riferite al capitale rappresentato dalle azioni della categoria.

I soci che non rappresentano la parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto.

La deliberazione non può essere annullata:

  1. 1) per la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell'assemblea a norma degli articoli 2368 e 2369;
  2. 2) per l'invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta;
  3. 3) per l'incompletezza o l'inesattezza del verbale, salvo che impediscano l'accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione.

L'impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro novanta giorni dall'iscrizione [23, 25, 1109, 1445, 2391] o, se è soggetta solo a deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, entro novanta giorni dalla data di questo.

L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione [23, 2964].

L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto(1). In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno.

Restano salvi i diritti acquisiti dai terzi sulla base della deliberazione sostituita.

Note

(1) In tale ipotesi il giudice dichiara la cessazione della materia del contendere soltanto ove accerti che: (i) la delibera adottata in sostituzione di quella impugnata è conforme alla legge e allo statuto; (ii) le parti diano atto dell'intervenuto mutamento e formulino conclusioni conformi.

Ratio Legis

Il legislatore delinea le cause di annullabilità delle delibere assembleari, secondo principi differenti da quelli che informano la disciplina dell'invalidità dei contratti: l'annullabilità, infatti, è elevata a categoria generale d'invalidità delle deliberazioni assembleari.

Spiegazione dell'art. 2377 Codice Civile

Il regime d’invalidità delle deliberazioni assembleari segue principi diversi rispetto a quelli sui quali si fonda la disciplina contrattuale. Ed infatti, mentre la nullità è categoria generale d’invalidità dei contratti (art. 1418), in ambito societario essa diviene categoria residuale, la cui applicazione è limitata ai soli casi indicati dal legislatore all’art. 2379.
Qualora la deliberazione presenti vizi, di natura sostanziale o procedimentale, che la rendano non conforme alla legge o allo statuto, la regola generale sarà quella dell’annullabilità.

Ciò in virtù dell’esigenza di garantire un apprezzabile grado di certezza ai traffici giuridici, in un settore – quello commerciale – nel quale tale esigenza è particolarmente avvertita.

Sebbene l’annullamento presupponga generalmente la violazione di norme di fonte legale o statutaria, va evidenziato che anche una deliberazione formalmente legittima potrà essere annullata laddove si provi che il comportamento della maggioranza si sia posto in violazione dell’obbligo di buona fede e abbia determinato una deviazione rispetto al perseguimento dell’interesse sociale (abuso di maggioranza).

Di contro, anche talune tipologie di deliberazioni, seppur formalmente illegittime, potranno sottrarsi all’annullamento. Il quinto comma, infatti, prevede che:
  • qualora alla votazione abbiano partecipato soggetti privi della legittimazione, la delibera potrà essere impugnata soltanto laddove si provi che il voto del soggetto non legittimato sia stato determinante (prova di resistenza)
  • qualora si faccia valere l’invalidità del singolo voto o il loro errato conteggio, bisognerà provare allo stesso modo la decisività del voto invalido o che sia stato conteggiato in maniera errata
  • in caso di incompletezza del verbale assembleare, la delibera assunta risulterà annullabile previa dimostrazione dell’impossibilità di risalire, tramite il verbale, ai suoi contenuti o di accertarne gli effetti e la validità
Il termine di 90 giorni per l'impugnazione decorre dalla delibera o dall'iscrizione o deposito nel registro delle imprese e si tratta di un termine di decadenza.

La legittimazione attiva spetta agli amministratori, ai sindaci e a tanti soci dissenzienti, assenti o astenuti che rappresentino:
- Nelle società aperte, almeno l’un per mille del capitale sociale
- Nelle società chiuse, almeno il cinque per cento del capitale sociale
Resta in ogni caso ferma la possibilità per lo statuto di ridurre simili limiti, mentre sarà da considerarsi inefficace qualsiasi clausola tesa ad innalzare tali soglie.

La dichiarazione giudiziale di annullamento ha natura costitutiva ed efficacia ex tunc, al pari della sentenza di annullamento del contratto. Essa non ha effetto, tuttavia, nei confronti dei terzi che abbiano in buona fede assunto diritti in attuazione della delibera.

La norma prevede una forma di rinnovazione della deliberazione, non riconducibile alla convalida, che preclude l’annullamento, anche nel caso in cui la relativa azione sia già stata promossa, laddove la delibera invalida sia stata sostituita con una delibera conforme alla legge o allo statuto.

Massime relative all'art. 2377 Codice Civile

Cass. civ. n. 8816/2023

In ambito di società di capitali, qualora consti sostituzione di una delibera invalida con altra successiva, l'art. 2377, comma 8, c.c. postula che, ai fini della declaratoria di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio, il giudice verifichi che la nuova delibera detti una disciplina sostanziale idonea a rimuovere la precedente causa di invalidità.

Cass. civ. n. 23579/2017

Il socio di una s.r.l. fallita, il cui amministratore abbia domandato il proprio fallimento, non è legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa, in quanto la delibera assembleare che ha autorizzato l'organo amministrativo alla presentazione dell'istanza ha efficacia vincolante, ex art. 2377, comma 1, c.c., per tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti, salvo che non sia stata impugnata e poi sospesa od annullata; a maggior ragione, dunque, un interesse a proporre reclamo non può essere riconosciuto al socio occulto, ossia a chi eserciti l'attività di direzione e coordinamento in modo illecito, approfittando ed abusando dei poteri di direzione, ed eludendo per fini propri i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale.

Cass. civ. n. 20071/2017

In tema di impugnazione delle delibere condominiali, ai sensi dell'art. 2377 c.c. - dettato in tema di società di capitali ma, per identità di "ratio", applicabile anche in materia di condominio - la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere.

Cass. civ. n. 2957/2017

Il socio di una società a responsabilità limitata fallita, il cui amministratore abbia domandato il proprio fallimento, non è legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa, in quanto la delibera assembleare che ha autorizzato l'organo amministrativo alla presentazione dell'istanza ha efficacia vincolante, ex art. 2377, comma 1, c.c., per tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti, salvo che non sia stata impugnata e poi sospesa od annullata; tale principio trova applicazione anche nel caso in cui il reclamo sia proposto da un socio a sua volta dichiarato fallito il quale, benché privo del diritto di voto e, dunque, rappresentato dal curatore nell'assemblea che ha autorizzato l'amministratore a presentare l'istanza di fallimento, sia comunque legittimato per legge all'impugnazione della relativa delibera.

Cass. civ. n. 1624/2015

La deliberazione assembleare di esclusione del socio da una società personale, assunta con il voto di una società partecipante rappresentata da un "falsus procurator", è viziata da annullabilità, in quanto il diritto di partecipare all'assemblea è tutelato dalla legge in funzione dell'interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un'ipotesi di mera annullabilità, in applicazione analogica dell'art. 2377 c.c.; il voto così espresso, invalido per vizio di rappresentanza, è peraltro suscettibile di ratifica, proveniente dalla medesima società legittimamente rappresentata, ai sensi dell'art. 1399 c.c., restando compito esclusivo del giudice del merito accertare l'integrazione della fattispecie sanante, su eccezione della parte interessata a farla valere.

Cass. civ. n. 21889/2013

Colui il quale abbia perso la qualità di socio non avendo sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale conserva la legittimazione ad esperire l'azione di accertamento della nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 c.c., in quanto, sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all'art. 24, primo comma, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'istante assume essere "contra legem" e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

Cass. civ. n. 9680/2013

In materia di società, la minaccia del socio di far valere il proprio diritto di voto contro l'approvazione del bilancio in caso di mancata dismissione della partecipazione ad altro socio può essere causa di annullabilità della vendita delle azioni, conclusa fra i soci stessi, solo ove sia diretta a conseguire vantaggi ingiusti, dovendosi escludere che siano tali quelli meramente correlati all'interesse del venditore ad uscire dalla società, atteso che il diritto di voto è funzionale all'interesse individuale del socio ed incontra il limite dell'interesse sociale solo quando possa danneggiare la società, fermo restando che la prospettiva di poter vendere le azioni non costituisce un elemento estraneo, rispetto alle scelte relative all'esercizio del diritto di voto in assemblea.

Cass. civ. n. 4946/2013

L'annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 2378, terzo comma, cod. civ., non incide - ancorché ne possa derivare una modifica della composizione della maggioranza allorquando non sia stata seguita dall'integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci - sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza, poiché l'omessa adozione del provvedimento di sospensione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali.

Cass. civ. n. 22762/2012

In tema di società a responsabilità limitata, l'assemblea, nella sua autonomia, può revocare una deliberazione - ove non siano coinvolti diritti dei terzi o diritti acquisiti dei soci - e, così rimossa la prima, può adottarne una nuova, non coincidente con l'altra. In tale ipotesi, non si pone la questione della rinnovazione sanante con effetti retroattivi ai sensi dell'art. 2377 c.c., giacché, ove la società revochi la delibera impugnata (nella specie, approvazione del bilancio in forma abbreviata) e ne adotti un'altra non coincidente (nella specie, approvazione del bilancio in forma analitica), alla prima delibera non è più ricollegabile alcun effetto e gli effetti della seconda decorrono soltanto da quando essa è stata assunta.

Cass. civ. n. 17060/2012

L'art. 2377 c.c. (anche nel testo anteriore alle modifiche introdotte con il d.l.vo n. 6 del 2003) non annovera tra i soggetti legittimati all'impugnazione di una delibera assembleare la società dalla quale tale deliberazione promana, attribuendo tale norma la legittimazione, oltre che ai soci assenti o dissenzienti, agli amministratori o ai sindaci della società stessa. La società è legittimata passiva nel giudizio di impugnazione, proprio perché da essa promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell'impugnazione, e sarebbe quindi inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà. (Fattispecie in cui la società aveva convenuto in giudizio il socio titolare di una quota pari al 50% del capitale sociale, chiedendo accertarsi l'irrilevanza del voto del medesimo ai fini del raggiungimento del "quorum" deliberativo, in quanto espresso in conflitto d'interessi, oltre alla condanna al risarcimento del danno).

Cass. civ. n. 1361/2011

La deliberazione assembleare di una società per azioni, di cui si assuma la non corretta modalità di computo delle maggioranze all'uopo occorrenti ai fini del "quorum" deliberativo, è meramente annullabile e non inesistente; infatti, la sua difformità al modello legale, già nel contesto normativo anteriore alla riforma societaria di cui al d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6 ne lascia permanere i lineamenti essenziali, trattandosi di una decisione assunta dai soci con la proclamazione del risultato ed è un atto giuridico certamente venuto ad esistenza, laddove la conseguenza dell'inesistenza sarebbe contraria alle fondamentali esigenze di certezza e di affidamento che ispirano (ed ispiravano anche nel regime anteriore alla riforma societaria) la disciplina degli art. 2377 e seguenti c.c.

Cass. civ. n. 259/2010

La deliberazione dell'assemblea di una società di capitali, convocata su deliberazione del consiglio di amministrazione assunta all'esito di una riunione cui un suo componente non sia stato convocato, non è inesistente, nulla od annullabile, trattandosi di mera irregolarità, perché il vizio della deliberazione consiliare di convocazione dell'assemblea non può riflettersi, come causa d'inesistenza o d'invalidità, sulle deliberazioni dell'assemblea dei soci, quando essa sia stata convocata dagli amministratori, a norma dell'art. 2366 c.c., con atto per certo riferibile alla volontà dell'organo amministrativo collegiale, così che esista una convocazione dell'assemblea nel suo essenziale schema giuridico (atto ricettizio, con il quale il socio viene avvisato della data e del luogo della riunione), dovendo escludersi che sulle formalità della convocazione si riflettano, per proprietà transitiva, le eventuali irregolarità interne al distinto procedimento di deliberazione del consiglio di amministrazione. (Fattispecie anteriore al d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6).

Nell'ipotesi in cui la deliberazione consiliare di convocazione dell'assemblea di una società di capitali sia stata assunta all'esito di una riunione, alla quale un suo componente non sia stato convocato, il medesimo può impugnare la deliberazione consiliare per la mancata convocazione nei suoi confronti, ma, in mancanza di tale impugnazione, la deliberazione assunta dall'assemblea in seguito convocata non può essere impugnata dall'amministratore che deduca il vizio di convocazione, in quanto egli è privo di legittimazione attiva al riguardo, posto che il potere di impugnare le deliberazioni assembleari che non siano state prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo, riconosciuto agli amministratori della società per azioni dall'art. 2377, secondo comma, c.c., spetta al consiglio di amministrazione e non agli amministratori individualmente considerati, salvo che il consigliere di amministrazione sia stato immediatamente leso in un suo diritto dalla deliberazione stessa. (Fattispecie anteriore al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6).

Cass. civ. n. 26842/2008

L'azione di annullamento delle delibere di una società per azioni, disciplinata dall'art. 2377 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell'attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. Ed infatti, qualora l'azione di annullamento della deliberazione sia diretta proprio al ripristino della qualità di socio dell'attore, sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all'art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

Cass. civ. n. 19235/2008

Con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni, la dedotta carenza di informazione e discussione sull'argomento all'ordine del giorno - nella specie, l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori - costituisce, ove sia frutto di comportamento prevaricatore della maggioranza volto a realizzare il perseguimento di propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, ragione di mera annullabilità ex art. 2377 c.c., in quanto per le predette delibere si applica il principio per cui la previsione della nullità, ex art. 2379 c.c., è limitata ai soli casi di impossibilità o illiceità dell'oggetto, ricorrenti allorché il contenuto dell'atto contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali e dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società.

Cass. civ. n. 16017/2008

In tema di invalidità delle delibere di un'associazione non riconosciuta, trova applicazione la disciplina di cui all'art. 2377, ultimo comma, c.c., per cui l'annullamento non può essere pronunciato se vi è stata sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità alla legge e all'atto costitutivo ; ciò non comporta tuttavia alcuna cessazione automatica della materia del contendere, in quanto, da un lato, la sopravvenuta carenza di interesse che ne è alla base si avvera solo quando tutti i contendenti si diano reciprocamente atto della mutata situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi e, dall'altro, il giudice stesso è tenuto a verificare la avvenuta rimozione della precedente causa di invalidità, dovendo egli accertare ai limitati fini della ratifica-rinnovazione, se la deliberazione ratificante sia immune da vizi, anche se contro di essa non sia stata proposta autonoma impugnativa.

Cass. civ. n. 14554/2008

In materia di assemblee societarie, è annullabile la delibera con la quale si sia deciso di dar corso alle operazioni di voto, in pendenza della discussione, a nulla rilevando che l'intervento dei soci che non si erano ancora espressi prima dell'inizio della votazione fosse o no idoneo ad influire concretamente sulla decisione degli altri soci di votare in uno od in altro modo ; infatti, ai fini del rispetto del metodo assembleare, imposto dalla legge quale strumento di protezione delle minoranze, è rilevante non il fatto che il socio riesca ad influire sull'orientamento dell'assemblea, ma che egli abbia la possibilità di farlo.

Cass. civ. n. 3020/2008

Ai fini dell'esercizio dell'azione di annullamento del contratto concluso dal rappresentante legale in conflitto d'interessi con la società, non opera il termine di decadenza dell'art. 2377 c.c. attinente all'impugnativa, da proporre contro la società, della delibera sociale invalida bensì l'ordinario termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 1442 c.c., trattandosi di azione di annullamento ex art. 1395 c.c. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo ad un'azione, proposta dal curatore del fallimento della società venditrice, volta all'annullamento del contratto stipulato dalla medesima persona al tempo stesso legale rappresentante del venditore poi fallito e della società acquirente ).

Cass. civ. n. 16393/2007

In caso di impugnazione di delibera adottata con intervento di soci iscritti nel relativo libro ma non in regola con il deposito dei certificati azionari prescritto dall'art. 4 della legge n. 1745 del 1962, il relativo vizio può essere rilevato solo in conseguenza della prova, il cui onere incombe sulla parte impugnante, della concreta mancanza della qualità di socio in capo al soggetto che vi ha preso parte, poiché è solo quella qualità, e non il previo deposito delle azioni, che legittima ad intervenire all'assemblea.

Cass. civ. n. 16390/2007

Può essere impugnata e conseguentemente dichiarata invalida la delibera societaria inesistente quando vi sia un atto scrutinabile, ovvero quando possa valutarsi la palese difformità dal modello legale o l'assenza di requisiti essenziali ; diversamente, non può configurarsi alcun atto impugnabile nell'ipotesi in cui una richiesta del socio (nella specie, di proporre azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ) non venga presa in considerazione dal presidente dell'assemblea e conseguentemente né discussa né approvata.

Cass. civ. n. 8221/2007

In tema di invalidità delle deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni, si ha un'inversione dei criteri regolatori del diritto negoziale, in quanto per esse vige il principio in virtù del quale la regola generale è quella dell'annullabilità (art. 2377 c.c. ), mentre la previsione della nullità è limitata ai soli casi, disciplinati dall'art. 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell'oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l'interesse del singolo socio, dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società.

Cass. civ. n. 21816/2006

In tema di delibere assembleari delle società di capitali, la legittimazione ad impugnare le deliberazioni che non siano prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo spetta oltre che agli amministratori e ai sindaci, anche ai soci assenti e dissenzienti, intendendosi per dissenzienti i soci che abbiano negato, in qualsiasi forma manifestata in assemblea, il proprio contributo all'approvazione della delibera, attraverso il voto contrario o l'astensione, senza che rilevi la motivazione di tali comportamenti che può indifferentemente consistere in una diversa valutazione dell'atto rispetto alla maggioranza ovvero in una contestazione di vizi della procedura, in quanto l'art. 2377 c.c. non dà rilievo intrinseco ai motivi del dissenso, ma esclusivamente alla sua manifestazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittimato all'impugnazione il socio di una cooperativa il quale aveva partecipato all'assemblea senza però esprimere voto favorevole all'approvazione della delibera impugnata, avente ad oggetto la ripartizione di oneri economici tra i soci, ma riservandosi di sottoporre a verifica i conteggi a tal fine presentati dal presidente ).

Cass. civ. n. 27387/2005

Con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni, la doglianza che la maggioranza dei soci non abbia consentito alla minoranza ampia informazione e discussione su un argomento all'ordine del giorno attiene a disciplina etica e di merito e non a questione di legittimità sindacabile da parte del giudice e non può di per sé costituire ragione di invalidità della delibera, denunciabile con l'impugnazione prevista dall'art. 2377 c.c., a meno che non si deduca e dimostri che proprio l'indicato comportamento prevaricatore, frutto di un disegno della maggioranza di realizzare propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, abbia determinato in concreto scelte contrastanti con tale ultimo interesse.

In applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata l'esecuzione del contratto di società, la cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno. L'abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere ) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. L'onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto di voto grava sul socio di minoranza che assume l'illegittimità della deliberazione ; nel concreto suo atteggiarsi, detta prova non deve ritenersi limitata ai «sintomi » dell'abuso della regola di maggioranza manifestatisi prima dell'adozione della delibera impugnata, potendo, viceversa, farsi leva su comportamenti o indizi cronologicamente successivi, in grado di rivelarne ex post la sussistenza.

Cass. civ. n. 7663/2005

In materia di impugnazione delle delibere dell'assemblea di una società di capitali, la distinzione tra vizi che ne cagionano la nullità, ovvero l'annullabilità, e l'errore nel quale sia incorso il giudice del merito nella qualificazione del vizio denunciato, possono essere fatti valere in sede di legittimità, purché il ricorrente alleghi e dimostri l'esistenza di un interesse concreto alla sua correzione, in quanto, anche se a detti vizi corrispondono azioni e decisioni di natura differente, dalle quali possono derivare effetti almeno in parte dissimili, esse sono accomunate dalla circostanza che sia la pronuncia di nullità, sia quella di annullamento rispondono all'interesse dell'attore di caducare la delibera impugnata. Pertanto, qualora il socio abbia esercitato entrambe le azioni e la società convenuta non abbia eccepito la decadenza dall'azione ex art. 2377, c.c., l'errore del giudice del merito nell'identificare la natura del vizio che inficia la delibera e la conseguente imprecisa formula adottata nella sentenza sono irrilevanti, nel caso in cui il ricorrente non abbia allegato l'interesse che dovrebbe fondare il ricorso, in quanto l'impugnazione della pronuncia non può essere giustificata dallo scopo meramente teorico di conseguire una pronuncia formulata in termini giuridicamente corretti.

Cass. civ. n. 9364/2003

In tema di validità delle deliberazioni assembleari delle società di capitali, la omessa convocazione (di tutti o di alcuni) dei soci, comportando la mancanza, in concreto, dì un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare, determina l'inesistenza giuridica di quest'ultima; invece la irregolarità, o il vizio, che infici la convocazione non determina la stessa conseguenza, ma la mera annullabilità della deliberazione ai sensi dell'art. 2377 c.c. giacché, per quanto viziato, quell'elemento essenziale comunque sussiste. Né comporta inesistenza della convocazione (e della conseguente deliberazione, che sarà quindi solo annullabile) l'assoluta carenza di legittimazione dell'autore di essa (nella specie il curatore del fallimento del socio amministratore di Srl, decaduto dalla carica), essendo in tal caso configurabile una convocazione nel suo essenziale schema giuridico (atto recettizio con cui il socio è avvisato della data e del luogo della riunione) e dovendosi, d'altro canto, considerare che, mentre è giustificabile una reazione radicale(quale l'inesistenza giuridica) dell'ordinamento avverso una delibera assembleare in cui ai soci (che «sono» l'assemblea) non sia stata data neppure l'opportunità di partecipare alla deliberazione, sì che quest'ultima non può essere in alcun modo ricondotta alla loro volontà, diversamente deve, invece, argomentarsi allorché tale opportunità sia stata in concreto offerta, giacché in tale ultimo caso appare certamente più adeguata una reazione più misurata, in equilibrio con le contrapposte esigenze di certezza e stabilità dei deliberati societari, sottostanti alla particolare disciplina delle loro patologie prevista dagli artt. 2377 e 2378 c.c.

Cass. civ. n. 9353/2003

Il vizio di una deliberazione assembleare (nella specie, di una Spa ) costituito dal cosiddetto eccesso di potere si verifica tutte le volte in cui la delibera stessa sia stata adottata ad esclusivo beneficio dei soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, essendo in tal caso applicabile l'art. 1375 c.c., in forza del quale il contratto deve essere eseguito in buona fede, atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti di esecuzione, dacché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale.

Cass. civ. n. 8992/2003

Il potere, riconosciuto agli amministratori della società per azioni dal secondo comma dell'art. 2377 c.c., d'impugnare le deliberazioni dell'assemblea della società che non siano state prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo, spetta al consiglio di amministrazione (ove statutariamente previsto ) e non agli amministratori stessi individualmente considerati, atteso che tale potere è attribuito agli “amministratori” per la tutela degli interessi sociali, e dunque richiede una deliberazione dell'organo incaricato di detta tutela, il quale, nella società retta da un consiglio di amministrazione, si identifica, appunto, nel consiglio, e non nei singoli componenti di esso.

Cass. civ. n. 11186/2001

La deliberazione assembleare di una società si configura come il momento conclusivo di un iter procedimentale che prende inizio dalla convocazione degli aventi diritto ed è destinato a concludersi con l'espressione della volontà assembleare, che sarà formalizzata come deliberazione, sicché il vizio che eventualmente inficia la convocazione, rappresentando impedimento a che l'adunanza dei partecipanti possa qualificarsi giuridicamente come assemblea, determina la giuridica inesistenza della deliberazione che da essa venga assunta, con conseguente esclusione dell'effetto sanante che l'art. 2378 (recte: 2377-N.d.R.) attribuisce alla deliberazione successiva avente valenza giuridica di ratifica-rinnovazione.

Cass. civ. n. 15592/2000

Non abusa del diritto di impugnativa il socio (nella specie, di una cooperativa a rl) che impugni la delibera assembleare di approvazione del bilancio dopo aver in precedenza approvato il progetto di bilancio in qualità di componente del consiglio di amministrazione, giacché, in mancanza di qualsiasi restrizione all'esercizio del diritto di impugnazione delle delibere difformi dalla legge e/o dall'atto costitutivo, per ipotizzare un abuso del suddetto diritto occorre provare la violazione dei principi di correttezza e buona fede intese come regola di comportamento e, a tali fini, non è sufficiente la semplice identità soggettiva tra chi prima abbia approvato il progetto di bilancio e poi impugnato la delibera di approvazione del bilancio medesimo, atteso che il medesimo soggetto nelle due occasioni ha esercitato funzioni e ruoli distinti (quello di amministratore e quello di socio), onde è ben possibile che abbia espresso due diverse valutazioni, senza che sia per ciò solo configurabile una violazione del divieto di venire contra factum proprium.

Cass. civ. n. 3351/1997

Poiché tra i termini processuali per i quali l'art. 1 della legge n. 742 del 1969 prevede la sospensione nel periodo feriale vanno compresi non soltanto i termini inerenti alle fasi successive all'introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo deve essere instaurato, quando l'azione in giudizio rappresenta l'unico strumento a tutela dei diritti dell'attore, detta sospensione si applica anche con riferimento al termine di tre mesi previsto dall'art. 2377 c.c. per l'impugnazione della delibera dell'assemblea di una società per azioni.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2377 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Pietro D. chiede
domenica 28/11/2021 - Friuli-Venezia
“Assemblea straordinaria cooperativa agricola con notaio per modifica statutaria. Assemblea opta per votazione con scheda nominativa. Quorum deliberativo a 105 voti.
Voti a favore 105; da una verifica delle deleghe si evidenzia che una non risponde ai dettami dello statuto (le società socie possono farsi rappresentare da un altro socio ma non da un famigliare, cosa che invece è accaduta). Il delegato ha dichiarato il suo grado di parentela al momento della verifica della delega ed ha ricevuto la scheda di votazione che è stata conseguentemente votata e ora è determinante per ratificare la proposta di modifica.
Domanda: considerato che la verifica non ha segnalato alcuna anomalia e visto che comunque la volontà del delegante è chiara poiché manifestata sulla scheda con il suo nome e cognome, può essere convalidata pur non rispondendo ai dettami dello statuto sociale? C'è una normativa sul voto che sovrasta un singolo statuto sociale?”
Consulenza legale i 02/12/2021
In forza dell’art. 2519 c.c., alla società cooperativa si applicano, ove compatibili, le norme previste per le società per azioni.

Dal richiamo dell’art. 2519 c.c. alle norme sulle s.p.a. deriva l’applicabilità di quanto previsto dall’art. 2377 c.c. in tema di annullabilità delle deliberazioni assunte dall’assemblea.

In particolare, detta disposizione prevede, al sesto comma, che le delibere debbano essere impugnate entro il “termine di novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro novanta giorni dall'iscrizione o, se è soggetta solo a deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, entro novanta giorni dalla data di questo”.

Venendo al quesito formulato, si può sostenere che, se non venga impugnata entro quel termine fissato dalla norma, la delibera debba ritenersi non più soggetta ad impugnazione e quindi a contestazione da parte dei soggetti interessati, così da regolarizzare la medesima delibera.

Altra possibilità è rappresentata da quanto disposto dall’ottavo comma della disposizione sopra citata, in forza della quale “L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto”. Pertanto, sarebbe sempre possibile provvedere alla sostituzione della delibera con un’altra che sia conforme a quanto previsto dallo statuto.

Tali norme sono quelle previste in materia di votazione che, comunque, devono essere conciliate con quanto previsto nello statuto, atto fondamentale per la regolazione della vita della società.

M. C. chiede
mercoledì 27/01/2021 - Abruzzo
“Nella spiegazione dell'art. 2377 C.C. effettuata da Brocardi.it tra le singole ipotesi di annullabilità è inserita quella "del socio che sia stato illegittimamente escluso dalla riunione" pur non essendo espressamente prevista.
Si chiede se ciò vale anche per la ipotesi del socio illegittimamente escluso dal voto e se in questo caso è prevista la prova di resistenza.
Esiste giurisprudenza in tal senso?
Grazie
Dott.Carlo M.”
Consulenza legale i 02/02/2021
L’annullabilità di una delibera assembleare si fonda, come stabilito dall’art. 2377 c.c., sul presupposto che la medesima non sia stata assunta in conformità alle disposizioni di legge o dello statuto della società.

Al pari dell’ipotesi del socio illegittimamente escluso dalla assemblea, l’ipotesi del medesimo escluso illegittimamente dalle votazioni è motivo di annullabilità della delibera. Ciò in quanto l’esclusione infondata del socio dalla votazione è da ritenersi una violazione del metodo assembleare, imposto dalla legge quale strumento di protezione delle minoranze (cfr. Cass. Civ., sentenza n. 14554/2008).

Pertanto, la delibera così assunta deve ritenersi presa non in conformità alle disposizioni di legge che impongono il corretto utilizzo del metodo assembleare per l’assunzione delle decisioni da parte dei soci.

Sembra utile richiamare sul punto la sentenza del 18 febbraio 2016 pronunciata dal Tribunale di Milano, in cui si verteva in un caso di impugnazione di una delibera di revoca dell’amministratore unico. Nel caso sottoposto all’esame del Tribunale meneghino, l’amministratore unico, nonché socio, era stato escluso dal quorum deliberativo richiesto dalla statuto per l’approvazione della delibera, in quanto in conflitto di interessi. Ciò ha permesso di raggiungere il quorum deliberativo richiesto per approvare la delibera di revoca.

Il Tribunale, rilevando come “la delibera impugnata non aveva ad oggetto la responsabilità dell’amministratore, ma invece solo la sua revoca” e, pertanto, “non essendo le due fattispecie tra loro assimilabili – non foss’altro perché le rispettive conseguenze patrimoniali per l’amministratore sono nettamente diversee trattandosi di una disposizione che, prevedendo il divieto di voto, non può essere applicata estensivamente”, ha concluso nel senso di riconoscere in capo al socio-amministratore “il diritto di votare sulla sua revoca dalla carica di amministratore”.

Dopo aver svolte tali considerazioni sulla fondatezza nel merito dell’impugnazione della delibera approvata senza tenere conto, nel quorum deliberativo richiesto dallo statuto, del diritto di voto dell’amministratore, il Tribunale passa al vaglio la prova di resistenza, con ciò implicitamente ribadendo come tale prova è sempre richiesta anche nella fattispecie di socio escluso illegittimamente dalla votazione assembleare: “Ciò posto, non si può che constatare che, ai fini della proclamazione ed adozione di tale delibera di revoca, il voto di … non è stato determinante. Invero, nonostante la stessa abbia votato contro la proposta di revoca e nonostante lo statuto preveda un quorum del 53 % del capitale sociale, nondimeno la delibera di revoca dell’amministratore è stata proclamata come approvata e, con ciò, adottata e imputata alla società. Orbene, è evidente che la proclamazione è stata erronea, poiché, a favore della revoca, contrariamente a quanto stabilito dallo statuto, ha votato solo il 52% del capitale sociale, ma è altrettanto evidente che, proprio per effetto di quell’errore, il voto contrario di Annamaria, è risultato non determinante ai fini della proclamazione ed adozione della delibera (di revoca) effettivamente proclamata ed adottata”.

Dall’orientamento giurisprudenziale sopra indicato appare dunque chiaro come, da una parte, è ammessa l’impugnazione di una delibera assembleare in caso di esclusione illegittima di un socio dalla votazione assembleare e, dall’altra parte, la necessità, al fine dell’accoglimento dell’impugnazione, di fornire la prova di resistenza.