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Articolo 1109 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Impugnazione delle deliberazioni

Dispositivo dell'art. 1109 Codice Civile

Ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente può impugnare davanti all'autorità giudiziaria le deliberazioni della maggioranza:

  1. 1) nel caso previsto dal secondo comma dell'articolo 1105, se la deliberazione è gravemente pregiudizievole alla cosa comune(1);
  2. 2) se non è stata osservata la disposizione del terzo comma dell'articolo 1105(2);
  3. 3) se la deliberazione relativa a innovazioni o ad altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione è in contrasto con le norme del primo e del secondo comma dell'articolo 1108(3).

L'impugnazione deve essere proposta, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni dalla deliberazione. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. In pendenza del giudizio, l'autorità giudiziariapuò ordinare la sospensione del provvedimento deliberato(4).

Note

(1) L'autorità giudiziaria non può indagare circa la convenienza o l'opportunità della delibera - aspetti che competono esclusivamente all'assemblea dei condomini - a meno che la decisione sia viziata da eccesso di potere che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune.
(2) La deliberazione su materia non contenuta nell'ordine del giorno rende la deliberazione impugnabile da ciascun dissenziente; se uno solo dei partecipanti non fu messo a conoscenza dell'o.d.g., solo quest'ultimo potrà adire l'autorità giudiziaria.
(3) Riguarda sia ipotesi di invalidità di natura formale (es. convocazione assemblea) sia ipotesi di invalidità di natura sostanziale (es. la decisione non mira al miglioramento della cosa).
(4) Dopo che è stata impugnata, la delibera continua a produrre effetti, perché il vizio che ne compromette la validità implica che essa sia annullabile e non radicalmente nulla.
Ciò si evince dalla circostanza per cui la disposizione permette che, confrontandosi davanti all'autorità giudiziaria in ordine richiesta di annullamento della delibera, questa può essere sospesa e, pertanto, perdere la sua efficacia.
Si reputa che il provvedimento di sospensione, anche senza un'espressa previsione, non possa essere approvato se non si riscontri un pericolo di grave danno per il comunista che ne faccia richiesta.

Ratio Legis

La disposizione permette a chi dissenta dalla delibera assunta dalla maggioranza dei partecipanti alla comunione di impugnare la medesima; ciò sia nel caso di adozione a maggioranza semplice (1105), n. 1 e 2 del primo comma, sia nel caso in quello di adozione a maggioranza qualificata (1108), di cui al n. 3 del primo comma.
L'articolo in commento non ricomprende le ipotesi di nullità.

Spiegazione dell'art. 1109 Codice Civile

Casi in cui è ammesso il ricorso all'autorità giudiziaria avverso le deliberazioni della maggioranza

Alla possibilità di impugnare le deliberazioni della maggioranza ed agli estremi di tali impugnative si è già accennato nel commento degli articoli precedenti. In linea contenziosa, ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente o l'assente può ricorrere all' Autorità giudiziaria:

a) trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione, di cui al secondo comma dell' art. 1105 del c.c., se la deliberazione è gravemente pregiudizievole alla cosa comune. La formula è identica a quella usata nel vecchio art. 678 e denota con il gravemente che non qualsiasi pregiudizio, anche autorizza la impugnazione, ma che questo dev'essere rilevante. Era l' esigenza di evitare frequenti impugnazioni nel campo dell'ordinaria amministrazione ed il danno limitato, per il ristretto campo di estensione dell'ordinaria amministrazione, derivante dalla dichiarazione di irrilevanza di un pregiudizio non grave, il legislatore ha ritenuto prevalente la prima;

b) seppur trattandosi di atti di ordinaria amministrazione, tutti i partecipanti non sono stati preventivamente informati dell'oggetto della deliberazione. Ha ben rilevato la Cassazione del Regno che « il principio della subordinazione della minoranza non sarebbe giustificato se i poteri della maggioranza si esplicassero senza controllo e senza alcuna considerazione della esistenza degli altri interessati, i quali potrebbero dare utili suggerimenti e con le loro critiche e rimostranze avere la virtù di fare adottare una diversa risoluzione ». Perchè l' impugnazione sia accolta per questo capo, non occorrerà una valutazione di merito della deliberazione, essendo sufficiente l' inosservanza della prescrizione di cui al terzo comma dell' art. 1105 del c.c.;

c) se la deliberazione relativa ad innovazioni o ad altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione viola le norme del primo e del secondo comma dell' art. 1108 del c.c., di cui si è già detto sopra.

Come nell' art. 1107 del c.c. per l' impugnazione del regolamento, il termine per la proposizione del ricorso è, sotto pena di decadenza, di trenta giorni, dalla deliberazione per chi ha partecipato alla riunione e dalla sua comunicazione per l'assente. Nelle more del giudizio, l'autorità giudiziaria ha facoltà di ordinare la sospensione del provvedimento impugnato, se tale sospensione dovesse esserle richiesta.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

520 I poteri della maggioranza sono disciplinati dagli articoli 1105, 1106 e 1108. La maggioranza non solo delibera sugli atti di ordinaria amministrazione, ma può anche disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento, purché non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa. Dal conferimento di tale potere alla maggioranza l'istituto deriva elasticità di disciplina: a differenza delle modificazioni che può apportare il singolo partecipante, le quali trovano un limite nel rispetto della destinazione della cosa, le innovazioni deliberate dalla maggioranza, salvo il concorso delle condizioni dianzi indicate, possono importare anche un mutamento di destinazione. Per gli atti compresi nell'ambito della prima categoria, e cioè per gli atti non eccedenti l'ordinaria amministrazione, basta la semplice maggioranza, calcolata secondo il valore delle quote; per le innovazioni si richiede, invece una maggioranza qualificata, che rappresenti cioè almeno i due terzi del valore complessivo della cosa comune. Tale maggioranza qualificata è pure richiesta per gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, i quali possono essere disposti sempre che non risultino pregiudizievoli all'interesse di alcuno dei partecipanti. E' necessario però il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni ultranovennali. Si fa eccezione soltanto per l'ipoteca costituita a garanzia di mutui destinati al miglioramento o alla ricostruzione della cosa comune, ammettendosi, in considerazione della speciale finalità, che essa sia consentita dall'anzidetta maggioranza qualificata. Per evitare eventuali abusi, si esige per la validità delle deliberazioni della maggioranza che tutti i partecipanti siano previamente informati dell'oggetto della deliberazione (art. 1105 del c.c., terzo comma). Nell'art. 1109 del c.c. vengono determinati i casi in cui le deliberazioni della maggioranza possono essere impugnate dinanzi all'autorità giudiziaria da ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente. Per l'impugnazione è però stabilito un breve termine (trenta giorni), il quale, per coloro che sono intervenuti all'adunanza, decorre dalla data della deliberazione e, per gli assenti, dal giorno in cui la deliberazione fu loro comunicata. L'impugnazione non ha effetto sospensivo, ma l'autorità giudiziaria può sospendere l'esecuzione del provvedimento deliberato. Prevedendo il caso che non si prendano i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza, o che la deliberazione adottata non sia eseguita, l'art. 1105, ultimo comma, consente a ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria, la quale provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore. Ho ritenuto inopportuno stabilire per queste ipotesi che sia proposta istanza in sede contenziosa, poiché è profondamente diversa la portata dei provvedimenti che l'autorità giudiziaria è chiamata ad emettere nei casi previsti dall'articolo 1109 e in quelli previsti dall'ultimo comma dell'art. 1105. Nei primi vi è una deliberazione di maggioranza (positiva o negativa) impugnabile dalla minoranza dissenziente, onde sorge una controversia che non può altrimenti essere decisa che nelle forme contenziose; nei secondi si ha invece inerzia nell'amministrazione per non essersi presi o attuati i provvedimenti necessari per la conservazione della cosa comune e s'invoca l'autorità giudiziaria perché supplisca a tale inerzia: il provvedimento che il giudice emette ha carattere essenzialmente amministrativo. In conformità del sistema largamente attuato in tema di condomini edilizi, è conferito alla maggioranza anche il potere di stabilire un regolamento per l'ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune, nonché il potere di delegare l'amministrazione a uno dei partecipanti o anche a un estraneo (art. 1106 del c.c.). I partecipanti dissenzienti possono, nel termine di trenta giorni, reclamare all'autorità giudiziaria contro la deliberazione che approva il regolamento della comunione. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui la deliberazione fu loro comunicata. Trascorso il termine senza che alcun reclamo sia stato proposto, il regolamento acquista efficacia, oltre che per i partecipanti, per i loro eredi e aventi causa (art. 1107 del c.c.).

Massime relative all'art. 1109 Codice Civile

Cass. civ. n. 2299/2022

In tema di comunione "pro indiviso" di beni immobili, sono irrilevanti i principi elaborati in materia di assemblea condominiale, sia in ragione della diversità delle regole afferenti alla convocazione e allo svolgimento dell'assemblea, sia della facoltà, concessa ai comunisti, di risolvere ogni questione attraverso l'esercizio del diritto potestativo di richiesta di divisione del bene, sicché le deliberazioni adottate dall'assemblea dei comunisti non possono essere impugnate per il vizio di eccesso di potere assembleare o per conflitto di interesse, ma esclusivamente per le ragioni indicate dall'art. 1109 c.c.

Cass. civ. n. 2636/2021

L'assemblea del condominio ha il potere di decidere le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, nonché di modificare quelle in atto, anche revocando una o precedenti delibere, benché non impugnate da alcuno dei partecipanti e stabilendone liberamente gli effetti, sulla base di una rivalutazione - il cui sindacato è precluso al giudice di merito, se non nei limiti dell'eccesso di potere - dei dati ed apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell'amministrazione, non producendosi alcun autonomo diritto acquisito in capo ai condomini, ovvero ai terzi, soltanto per effetto ed in sede di esecuzione della precedente delibera. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto illegittima la revoca di precedenti delibere autorizzative all'installazione di un ascensore, per il sol fatto di essere quelle divenute inoppugnabili, senza verificare, al contrario, se la revoca fosse conforme a legge o al regolamento, per non esser stati rispettati i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c. quanto all'installazione dell'impianto).

Cass. civ. n. 5061/2020

In tema di condominio negli edifici, il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari è limitato ad un riscontro di legittimità della decisione, avuto riguardo all'osservanza delle norme di legge o del regolamento condominiale ovvero all'eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l'assemblea medesima dispone, non potendosi invece estendere al merito ed al controllo della discrezionalità di cui tale organo sovrano è investito; ne consegue che ragioni attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio possono essere valutate soltanto in caso di delibera che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune, ai sensi dell'art. 1109, comma 1, c.c.. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 30/01/2018).

Cass. civ. n. 25128/2008

Il potere d'impugnazione delle delibere condominiali, per effetto del rinvio ex art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione ed in particolare all'art. 1109 c.c., si estende anche alla decisione approvata dalla maggioranza che rechi grave pregiudizio alla cosa comune ed ai servizi che ne costituiscono parte integrante, potendo solo entro questo limite essere valutato il merito, sotto il profilo dell'eccesso di potere, della decisione dell'assemblea condominiale. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza della corte territoriale per avere questa rigettato, sull'assunto della non sindacabilità per eccesso di potere delle delibere condominiali, l'impugnazione della delibera con cui un condominio aveva respinto la proposta di licenziamento del custode perché assente nell'orario di lavoro in quanto impegnato in servizi a pagamento a condomini richiedenti).

Cass. civ. n. 10611/1990

L'annullabilità in sede giudiziaria di una delibera dell'assemblea dei condomini per ragioni di merito attinenti all'opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio è configurabile soltanto nel caso di decisione viziata da eccesso di potere che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune (art. 1109 c.c.). Il riscontro esercitato dall'autorità giudiziaria sotto l'anzidetto profilo non può mai riguardare il contenuto di convenienza ed opportunità della delibera, in quanto il giudice deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato di un legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell'assemblea.

Cass. civ. n. 1507/1974

La comunicazione della delibera assembleare di una comunione è atto preordinato a dare notizia agli assenti del contenuto della delibera stessa, ai fini della decorrenza del termine per impugnarla (art. 1109, ultimo comma c.c.), ma è del tutto estranea al procedimento formativo della volontà collegiale. I suoi eventuali vizi, pertanto, possono avere rilevanza ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, ma non per derivarne l'invalidità della delibera.

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Francesco C. chiede
giovedì 22/04/2021 - Estero
“Buonasera. Il quesito e' il seguente.
Tizio e' in una comunione ereditaria; il bene in comunione è uno stabile adibito ad hotel; Tizio possiede circa il 20% dello stabile, mentre il resto delle quote sono dei suoi cugini, Caio e sorella con il 40%, Sempronio con il 20%, Properzio il 10% ed altri con piccole quote a conclusione della parte restante. L'immobile è dato in locazione con un contratto a scadenza 30/4/2025 (già il secondo novennio).
Ora, Caio e sorella vorrebbero fare un nuovo contratto al conduttore barcollante (insolvente, incapace, insolvibile), in arretrato di una mensilità (e che già ha ricevuto forte sconto sulla precedente annualità) dandogli anni di sconto in cambio di un futuro aumento; tutti gli altri vorrebbero vendere la proprietà. Nel caso Caio e sorella convincessero gli altri a rifare un nuovo contratto, come potrebbe Tizio opporsi da solo? Grazie”
Consulenza legale i 28/04/2021
La soluzione al caso posto si rinviene nelle norme che il codice civile detta in tema di comunione in generale (applicabili alla comunione ereditaria) e di divisione ereditaria.

Principio generale su cui occorre innanzitutto ragionare è quello espresso al primo comma dell’art. 1103 del c.c., in cui è detto che ciascun partecipante può cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota.
Tale principio, tuttavia, non può intendersi nel senso che qui ci si auspicherebbe, ossia nel senso che la volontà contraria di uno solo dei partecipanti alla comunione potrebbe impedire agli altri comunisti di concedere a terzi il godimento del bene comune, così da sfruttarlo economicamente, farne propri i frutti civili e trarne un vantaggio economico (sostenere questo significherebbe ledere, nei confronti degli altri comproprietari, il contenuto essenziale del diritto di proprietà, quale si trova espresso all’art. 832 del c.c.).

E’ per tale ragione, infatti, che il predetto art. 1103 c.c. va necessariamente coordinato con i successivi artt. 1105, 1108 e 1109 c.c., i quali si occupano di disciplinare con quali maggioranze vanno prese le deliberazioni riguardanti il compimento di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione ed in quali casi alla minoranza dissenziente va riconosciuto il diritto di impugnare una deliberazione.
Il terzo comma dell’art. 1108 c.c. qualifica come atti di straordinaria amministrazione, per il cui compimento si richiede il consenso unanime di tutti i partecipanti, gli atti di alienazione, costituzione di diritti reali e le locazioni di durata superiore ai nove anni.
Già dalla lettura di questa norma è possibile trarre le prime risposte a quanto osservato nel quesito:
  1. lo stabile in comunione ereditaria può essere alienato solo con il consenso unanime di tutti i comproprietari;
  2. il contratto di locazione che Caio e la sorella vorrebbero rinnovare a colui che già conduce in locazione l’immobile non avrebbe durata superiore a nove anni, il che comporta che tale atto non possa farsi rientrare tra quelli di straordinaria amministrazione, per il cui compimento è richiesta la c.d. maggioranza rafforzata o qualificata, ossia la maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune.

Non rientrando il contratto in discussione tra gli atti di straordinaria amministrazione, norma applicabile rimane l’art. 1105 c.c., il cui secondo comma dispone che per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione è sufficiente la c.d. maggioranza semplice, ovvero la maggioranza dei partecipanti alla comunione calcolata secondo il valore delle loro quote (il raggiungimento di detta maggioranza rende la delibera obbligatoria nei confronti della minoranza dissenziente).

La minoranza dissenziente, tuttavia, non viene lasciata priva di tutela, in quanto l’art. 1109 c.c. riconosce a coloro che sono rimasti in minoranza e che, pertanto, non hanno avuto possibilità di far valere le proprie ragioni, il diritto di impugnare la delibera, ma nei limitati casi e per le specifiche ragioni ivi previste.
Tra questi, quello che meglio potrebbe adattarsi al caso di specie è l’ipotesi prevista al n. 1 di tale norma, riguardante l’adozione di una delibera che risulti gravemente pregiudizievole alla cosa comune.
La sua natura pregiudizievole potrebbe farsi discendere da quella che nel quesito si definisce come “barcollante” capacità economica del conduttore, ma non si può fare a meno di evidenziare che si tratterebbe di un motivo di impugnazione massimamente aleatorio, in quanto il giudice, investito della potenziale controversia, non potrebbe non tener conto, nell’adottare la sua decisione, che si tratta di conduttore con cui già intercorre un rapporto contrattuale e, per giunta, per un secondo novennio.

Dovendosi, dunque, consigliare di accantonare l’idea di impugnare una eventuale delibera della maggioranza con cui si andrà a decidere di rinnovare il contratto di locazione, rimane una sola alternativa, ossia quella di avvalersi del diritto che l’art. 1111 del c.c., in materia di comunione in generale, nonché l’art. 713 del c.c., in materia di comunione ereditaria, riconosce come innegabile ed esercitabile in qualsiasi momento, ossia quello, riconosciuto a ciascun comunista, a prescindere dal valore e dalla misura della sua quota, di chiedere lo scioglimento della comunione.

Qualora la propria richiesta di divisione non dovesse essere accolta dagli altri coeredi (ossia in difetto di una divisione consensuale), l’ordinamento giuridico riconosce il diritto di ottenere giudizialmente lo scioglimento di quella comunione ereditaria, tenendosi presente che gli altri coeredi non potrebbero cercare di trarre profitto da una eventuale situazione di indivisibilità del bene, ad esempio asserendo che, trattandosi di immobile destinato ad albergo, la sua divisione ne farebbe perdere l’attuale destinazione economica.
Per tali ipotesi, infatti, può invocarsi il disposto di cui all’art. 720 del c.c., il quale prevede la possibilità che l’immobile venga compreso per intero nella porzione del coerede avente diritto alla quota maggiore o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione.
In mancanza di tale richiesta, il giudice autorizzerà la vendita all’incanto dell’intero immobile.