(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina
delle societą di capitali e societą cooperative, in attuazione della legge 3
ottobre 2001, n. 366.")
3 Per quanto concerne la possibilità di cui all'ultimo periodo della lettera a), quinto comma, art. 4 della legge delega, per i soci di "regolare l'incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali", si è provveduto, nel quarto comma dell'art. 2346 a precisare che il principio di proporzionalità tra valore dei conferimenti e numero delle azioni assegnate al socio è derogabile con scelta statutaria. Naturalmente si è dovuto coordinare questa soluzione con il principio, peraltro riaffermato nella stessa disposizione della legge di delega, della effettiva formazione del capitale sociale. A tal fine si è perciò precisato, con il quinto comma dell'art. 2346, che il valore dei conferimenti non può in nessun caso essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale. In sostanza, la tutela del capitale sociale non è più ricercata ponendo un rigido rapporto tra valore del conferimento del singolo socio e valore nominale delle azioni che gli sono assegnate, bensì sulla base di una considerazione globale sia dei conferimenti sia del capitale stesso: il che appunto rende possibile che nei rapporti tra i soci l'assegnazione delle azioni avvenga sulla base di scelte contrattuali e quindi anche di considerazioni diverse da quella del valore del conferimento del singolo. Vi è anche da notare che a seguito di questa soluzione si è reso necessario modificare la disciplina penale dell'
art. 2632 del c.c.. La nuova regolamentazione sopra richiamata supera infatti la prospettiva che vuole tutelare il capitale sociale mediante un divieto di emissione "sotto la pari" riferito alle singole azioni; essa richiede invece, anche dal punto di vista penalistico, che il divieto sia riferito all'ipotesi in cui complessivamente siano attribuite azioni o quote in misura superiore all'ammontare globale del capitale sociale.
3 Deve inoltre segnalarsi che con la soluzione appena richiamata s'individua pure una delle possibili strade tecniche per consentire, come vuole la prima parte della lettera a) del quinto comma della legge di delega, "l'acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell'attività sociale". È agevole infatti prevedere che una delle ipotesi in cui potrà risultare economicamente giustificata una ripartizione delle azioni tra i soci in misura diversa da quella che risulterebbe sulla base di un criterio di proporzionalità con il valore dei loro conferimenti sarà quella in cui un socio apporta alla società elementi utili per la sua attività, ma non corrispondenti ai requisiti richiesti per la loro imputazione al capitale. In questo caso, tramite appunto una ripartizione non proporzionale delle azioni, anche di tali elementi diviene possibile tener conto e pure in considerazione di essi definire i rapporti reciproci tra i soci. Del resto, non pare dubbio che ciò che in effetti interessa al fine di quella acquisizione e la possibilità di considerarla non tanto per il suo valore assoluto, quanto sul piano di tali rapporti reciproci. In realtà ciò che in concreto interessa non è il valore nominale delle azioni attribuite al singolo socio, bensì l'equilibrio che ne deriva nei suoi rapporti con altri: le azioni, cioè, non valgono di per sé, ma per i diritti che conferiscono; ed essi contano su un piano di proporzionalità con il totale delle azioni emesse.
3 Quest'ultimo punto si spiega anche considerando che, in applicazione di quanto disposto dalla lettera a), sesto comma, art. 4 della legge di delega, viene ora ammessa l'emissione di azioni senza valore nominale: così nel n. 5 dell'
art. 2328 del c.c. e nel terzo comma dell'
art. 2348 del c.c.. In tal modo diviene definitivamente chiaro che quello che conta sia ai fini della posizione dei soci sia ai fini della tutela del capitale sociale non è la cifra individuata come valore nominale delle azioni, ma il numero di quelle emesse e quindi la percentuale che ciascuna rappresenta rispetto al totale. Deve a questo proposito anche segnalarsi che, seguendo una strada già adottata dalla maggior parte degli ordinamenti europei, ne risulta una sostanziale equivalenza tra le due tecniche delle azioni con valore nominale e senza valore nominale, il cui significato economico viene sostanzialmente a coincidere. Perciò è sembrato opportuno, al fine di evitare problemi applicativi che l'esperienza di altri ordinamenti dimostra di non agevole soluzione, espressamente disporre che la scelta statutaria dell'una o dell'altra tecnica è esclusiva. In questo senso il secondo comma dell'art. 2346 stabilisce che, se alle azioni è attribuito un valore nominale, ciò deve avvenire per tutte quelle emesse dalla società, che in sostanza, quindi, non è possibile per la stessa società la compresenza di azioni con e senza valore nominale.
3 D'altra parte, sempre perseguendo l'obiettivo politico di ampliare la possibilità di acquisizione di elementi utili per il proficuo svolgimento dell'attività sociale, ma con soluzione necessariamente coerente con i vincoli posti dalla seconda direttiva comunitaria che imperativamente vieta il conferimento di opere e servizi, si è espressamente ammessa la possibilità che in tal caso, fermo rimanendo il divieto di loro imputazione a capitale, siano emessi strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o partecipativi: così nell'ultimo comma dell'
art. 2346 del c.c.. Ovviamente si apre così un ampio spazio per l'autonomia statutaria per definire i diritti spettanti ai possessori dei suddetti strumenti finanziari, i quali potranno essere i più vari e comprendere pertanto anche il diritto di conversione in altri strumenti finanziari o in partecipazioni azionarie. In tal modo si è ricercato un punto di equilibrio tra il divieto imposto dall'ordinamento comunitario e l'esigenza di consentire pure l'acquisizione alla società di valori a volte di notevole rilievo; senza però pervenire alla soluzione, che in altri ordinamenti è stata fonte di insuperabili difficoltà applicative e sistematiche, di ammettere l'emissione di "azioni di industria". La soluzione adottata è in effetti economicamente equivalente a quest'ultima, ma ne supera gli specifici problemi tecnici ed appare perciò di maggiore praticabilità. D'altra parte, al fine nuovamente di evitare problemi applicativi di non agevole soluzione, si è precisato che gli strumenti finanziari in questione possono conferire tutti i diritti partecipativi escluso quello del diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti. Ciò appare necessario in quanto. data la particolarità di tali strumenti finanziari, ne potrebbero derivare molteplici incertezze e conseguenti ragioni di instabilità per il funzionamento dell'assemblea; e ne potrebbero derivare ragioni di incertezza sistematica, fonti di imprevedibili esiti interpretativi, in merito alla stessa nozione di partecipazione azionaria. Mentre l'esplicita previsione che tra i diritti da essi conferiti può essere pure quello di nominare in assemblea separata un componente degli organi di amministrazione e/o di controllo della società (così l'ultimo comma dell'
art. 2351 del c.c.) sembra in effetti, piuttosto che diminuire, accrescere la loro appetibilità per gli operatori economici che intendano utilizzarli. Ciò spiega anche perché si è ritenuto, con un nuovo secondo comma dell'
art. 2349 del c.c., di estendere la possibilità di utilizzare analoghi strumenti finanziari anche a favore dei dipendenti della società o di società controllate. Anche qui perseguendo l'obiettivo di creare un nuovo strumento giuridico in grado di adeguarsi, senza non necessarie alterazioni della struttura organizzativa della società, ad esigenze che, in questo caso sul piano delle relazioni industriali, l'autonomia statutaria potrebbe nel caso concreto individuare. Uno strumento flessibile, che per esempio potrebbe essere utilizzato al fine della strategia da molte aziende perseguita di "fidelizzazione" dei propri dipendenti.
4 Si è in primo luogo prevista la possibilità di emettere azioni senza valore nominale e, adottando la soluzione più diffusa negli ordinamenti europei, si è precisato, con il terzo comma dell'art. 2346, che esse si caratterizzano in quanto il loro valore non è determinato con riferimento alla frazione del capitale sociale che rappresentano, bensì al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse. Esse, cioè, non esprimono un valore assoluto, ma una percentuale. Ne risulta che la differenza tra azioni con e senza valore nominale si riduce essenzialmente ad un diverso metodo, ma in un ultima analisi equivalente, per il calcolo necessario al fine della determinazione quantitativa dei diritti dei soci. Il che consente, come avviene appunto con il terzo comma dell'art. 2346, di superare l'esigenza di una complessa e difficile disciplina e disciplinare con formula generale entrambe le ipotesi rimesse alla scelta statutaria.
4 Per quanto concerne l'attuazione della lettera b), comma sesto, art. 4 della legge di delega, le nuove disposizioni sono ispirate ad un criterio che corrisponde alla tradizione del codice: quello cioè secondo cui esso definisce le linee generali e la cornice del sistema, rimanendo salva la funzione della legislazione speciale nel dettare i dettagli applicativi. In tal senso debbono essere segnalati i seguenti aspetti di maggior rilievo: 3.1. Si è precisato, nel primo comma dell'
art. 2346 del c.c., che il socio ha diritto al rilascio di titoli azionari corrispondenti alla sua partecipazione: diritto che può peraltro essere escluso dallo statuto oppure da leggi speciali, come soprattutto avviene per le società sottoposte al regime di dematerializzazione obbligatoria degli strumenti finanziari da esse emessi. 3.2. Si è confermata la regola per cui, salvo diversa disposizione dello statuto o di leggi speciali, il socio ha un diritto di scelta tra titoli nominativi e al portatore (
art. 2354 del c.c., primo comma) e, con un nuovo ultimo comma dell'art. 2354, si è confermata la regola già presente nella legislazione speciale secondo cui anche le società che non emettono strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati possono volontariamente assoggettarsi alla disciplina per essi prevista, in concreto al regime di dematerializzazione. 3.3. Si è chiarito, con il primo comma dell'
art. 2355 del c.c., che nel caso di mancata emissione dei titoli azionari il trasferimento dell'azione diviene efficace nei confronti della società con la sua annotazione nel libro dei soci, precisando quindi in tal modo la diversità di piani tra il trasferimento inter partes e la sua rilevanza per l'organizzazione sociale, in concreto quindi per l'esercizio dei diritti sociali. 3.4. Sulla base dello stesso criterio da ultimo segnalato, il terzo comma dell'art. 2355 regola i rapporti tra girata del titolo nominativo e iscrizione nel libro dei soci e chiarisce che a seguito della prima il trasferimento è perfetto tra le parti, mentre dalla seconda consegue la sua efficacia nei confronti della società. A quest'ultimo proposito deve anche segnalarsi che, nuovamente al fine di realizzare un coordinamento tra la vigente legislazione speciale e le disposizioni del codice, l'
art. 2370 del c.c. conferma nel suo terzo comma l'obbligo della società di procedere all'iscrizione nel libro dei soci di coloro che hanno depositato i titoli od hanno comunque partecipato all'assemblea. Deve infatti osservarsi che la regola contenuta nell'art. 4, legge 1745/1962, secondo cui i titoli debbono essere depositati almeno cinque giorni prima per la partecipazione all'assemblea rappresenta un costo non indifferente per gli investitori, e soprattutto quelli istituzionali, che si vedono costretti ad un'immobilizzazione e a non poter operare sul mercato. Perciò si è ritenuto opportuno rendere facoltativo tale obbligo di preventivo deposito e, in tal modo abrogando la diversa norma della legge 1745/1962, il divieto di ritiro dei titoli prima dell'assemblea; e si è considerato che le finalità previste dalla legge speciale fossero ugualmente realizzate con l'obbligo di annotazione sul libro dei soci cui si è fatto appena cenno. 3.5. Per quanto concerne poi le ipotesi di dematerializzazione, obbligatoria oppure facoltativa, l'ultimo comma dell'art. 2355 chiarisce che il trasferimento delle azioni avviene mediante scritturazione in conto e, chiarendo il ruolo che anche per esse svolge la distinzione tra azioni nominative e al portatore, precisa che la distinzione tra le due ipotesi si caratterizza per il ruolo riconosciuto nelle prime al libro dei soci, alla circostanza quindi in definitiva che lo statuto oppure la legge speciale nel caso applicabile impedisce che il possessore dell'azione sia anonimo rispetto alla società ed agli altri soci. 3.6. La disciplina dell'art. 2355 bis, in tema di limitazioni al trasferimento delle azioni, prevede interventi particolarmente incisivi, volti da un lato ad ampliare lo spazio per l'autonomia statutaria, dell'altro a fornire le necessarie garanzie ai soci ed ai terzi. Per il secondo aspetto sono di particolare significato il secondo ed il terzo comma della nuova disposizione. L'una, al fine di chiarire il possibile ruolo di clausole di mero gradimento, risolve un delicato problema interpretativo e ne ammette l'efficacia quando prevedono un obbligo della società o degli altri soci di acquistare le azioni del socio che intende trasferirle; il quale socio, pertanto, non può essere prigioniero del suo titoli ed è così in grado di realizzare quell'interesse all'agevole disinvestimento che costituisce uno dei motivi essenziali della scelta della società per azioni e della sua diffusione. L'altro, al fine di prevenire il pericolo di pregiudizio per l'affidamento degli acquirenti, risolve una questione ampiamente discussa in sede interpretativa e dispone che le limitazioni al trasferimento risultino dai titoli.