La vicenda aveva avuto origine da un
incidente stradale incorso tra due autovetture. A seguito del tamponamento da parte di un’altra vettura, una donna, che viaggiava in qualità di
trasportata nell’automobile, aveva riportato lesioni personali ed aveva perciò proposto
domanda di risarcimento nei confronti della
società assicuratrice dell'automobile su cui viaggiava, ai sensi dell’art.
141 del D.Lgs. n. 209/2005.
Il
giudice di pace di Foggia aveva rigettato la domanda sulla scorta del fatto che la donna
non avesse allacciato le cinture di sicurezza. La decisione era stata poi confermata anche dal
tribunale di Foggia, in sede di
appello. Avverso quest’ultima pronuncia, la donna aveva proposto
ricorso in Cassazione.
La Corte di Cassazione si è pronunciata con l’
ordinanza n. 11095/2020, accogliendo il ricorso. La Suprema Corte ha innanzitutto ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, dal momento che
il conducente dell’auto ha sempre l'obbligo di controllare il rispetto delle normali norme di sicurezza e prudenza all’interno della vettura prima di partire, se non si oppone al fatto che il proprio veicolo circoli in una
condizione di insicurezza (e questa ipotesi si ha anche nel caso in cui il trasportato non allacci le cinture), può dirsi formato tra i due soggetti il
consenso alla circolazione,
“con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell'altro ed all’accettazione dei relativi rischi”.
Di conseguenza, viene a configurarsi un'ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell'azione produttiva dell'evento, da distinguersi da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell'evento.
In una situazione di questo tipo, oltre all'eventuale
responsabilità verso terzi, deve ritenersi
risarcibile, da parte del conducente del veicolo, ai sensi degli artt.
2043,
2056,
1227 c.c.,
“anche il pregiudizio all'integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell'incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell'ambito dell'indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale fra la condotta del conducente ed il danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili”.
Secondo la Cassazione, nel caso in esame il
giudice d'appello aveva disatteso questo principio, in quanto si era limitato a considerare il solo fatto che, dall'istruttoria espletata, fosse emersa l'incidenza, nella causazione dei danni, di un comportamento negligente della trasportata e che il consulente, dopo aver svolto i necessari accertamenti, avesse ravvisato l'esistenza di danni molto più lievi rispetto a quelli ipotizzati sulla base delle testimonianze, senza però considerare che,
“ove il conducente avesse ottemperato al proprio obbligo di far allacciare le cinture di sicurezza alla trasportata e non avesse accettato il rischio di una circolazione irregolare l'evento non sarebbe accaduto (quantomeno nelle modalità verificatesi)”.
Alla luce di questi motivi, la Suprema Corte ha
cassato la
sentenza impugnata e
rinviato il giudizio al tribunale per una nuova valutazione.