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Articolo 2046 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Imputabilità del fatto dannoso

Dispositivo dell'art. 2046 Codice Civile

Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere(1) al momento in cui lo ha commesso(2), a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa [2047; 87 c.p.](3).

Note

(1) La norma contempla la c.d. capacità delittuale che, a differenza dei quella negoziale, non presuppone la capacità di agire (2 c.c.). A sua volta la capacità naturale (428 c.c.) indica quella possibilità, minima, di comprendere che la propria condotta sarebbe illecita e di scegliere consapevolmente come comportarsi.
(2) L'accertamento della capacità in questione spetta al giudice e deve essere effettuato caso per caso. Diversamente da ciò, esigenze di tassatività (2 c.p.; 25 Cost.) fanno si che nel diritto penale il codice elenchi le cause che possono comportare incapacità naturale (86 ss. c.p.).
(3) L'ultimo periodo della norma prevede le c.d. actiones liberae in causa. Pur se l'evento è stato determinato da una condotta non libera, questa situazione è stata creata dal soggetto stesso (si pensi a chi, dopo aver assunto sostanze stupefacenti, si ponga alla guida del proprio veicolo causando un sinistro e distruggendo la vetrina di un negozio).

Ratio Legis

La norma è dettata a protezione degli incapaci. Tuttavia, se è lo stesso soggetto ad aver causato la situazione di incapacità, la sua protezione perde giustificazione.

Spiegazione dell'art. 2046 Codice Civile

I due principii sanciti nella norma

Si è già detto che nel nostro sistema la responsabilità è fondata sulla imputabilità, la quale si concreta nella capacità d' intendere e di vo­lere, il che vale in una volontà cosciente, consapevole, cioè, degli atti che pone in essere, e scevra di agenti patologici interni, e, pertanto, capace d'ini­birsi. Si è adottata dal codice civile la formula dell' art. 85 del c.p. evidentemente per le medesime ragioni che ispirarono il legislatore penale. Possono sembrare identiche le locuzioni « coscienza e volere », « capacità d' intendere e di volere », ma in effetti quando si voglia indicare generica­mente l'elemento psicologico è sufficiente dire « coscienza e volontà dell' a­zione o dell' omissione »; quando si tratta invece di determinare il presup­posto della responsabilità, cioè la capacità di essere soggetti di un rapporto giuridico, va adoperata formula atta a designare la concreta volontà che dà origine a quel rapporto per cui la legge pone a carico di un determinato soggetto imputabile la conseguenza della sua azione od omissione (responsabilità).

L'articolo in esame adopera locuzione negativa, ma enuncia due prin­cipi assoluti, di natura positiva, che completano la nozione del fatto ille­cito, dal punto di vista soggettivo. È necessario che l'autore del fatto dan­noso abbia capacità d' intendere e di volere; se si trovi di non avere tale capacità è responsabile ugualmente quando tale stato derivi da sua colpa.


Cause dalle quali pub derivare la incapacità d'intendere e di volere. Minori, folli, ebbri. Ebbrezza colposa. Applicazione del principio delle « actiones liberas in causa»

La capacità d' intendere e di volere può mancare per età, o, per vizio di mente causato da infermità permanente o transitoria (folli), o da ingestione di sostanze alcoliche, e simili.

Per quanto si attiene al minore (difetto di età) la legge civile non fissa, come la penale, limiti al disotto dei quali ricorra presunzione assoluta di non imputabilità; che anzi, nel codice del '65 espressamente era detto che il minore è paragonato al maggiorenne per le obbligazioni nascenti da delitto e quasi delitto (art. 1306). È una valutazione quindi di fatto se il minore abbia agito avendo capacità d' intendere e di volere, e la valutazione dovrà farsi con riferimento al caso speciale.

Anche per il folle l'accertamento della incapacità d' intendere e di volere deve praticarsi direttamente, nè può farsi derivare dallo stato d'interdizione in cui eventualmente si trovi, perché la interdizione è provvedimento che riguarda chi sia incapace di provvedere ai propri interessi (art. 414 del c.c.) mentre perché nasca obbligazione per fatto illecito non è necessaria la piena capacità richiesta pei contratti, bastando quel tanto d' integrità mentale che permetta una conveniente valutazione dell'atto che si vuol compiere, e consenta relativa libertà di determinazione: un interdetto potrà dichia­rarsi responsabile per fatto illecito. La scienza, inoltre, riconosce nei dementi ammissibili i lucidi intervalli, ed un fatto illecito posto in essere in uno di tali momenti genera responsabilità civile, precisando l'articolo in esame che la incapacità d'intendere e di volere deve verificarsi «nel momento» in cui il fatto sia commesso perché ne derivi irresponsabilità.

La ingestione di sostanze alcoliche provoca l'ebbrezza: che anzi, l'alcool (e, come esso, la morfina, la cocaina, e simili sostanze) entrato nell'orga­nismo a mezzo la circolazione sanguigna, produce alterazioni sul sistema nervoso, che, per l'uso continuato, assumono carattere permanente, costi­tuendo vere e proprie forme morbose.

Lo stato di ebbrezza per bevande alcoliche, o, comunque, le alterate condizioni di salute per assorbimento di stupefacenti possono cagionare in­capacità d' intendere e di volere, e l'agente non risponderà del suo operato.

L'art. 2046, tuttavia, pone una limitazione che per quanto espressa generi­camente si riferisce proprio alla incapacità d' intendere e di volere per abuso di bevande o di sostanze perturbatrici dello stato psichico: si risponde quando tale stato derivi da colpa. «Da colpa», non da dolo, da semplice imprudenza, come se non si valutino le conseguenze dell'uso della sostanza; non volontà deter­minata di abuso sino ad averne ottenebrata la coscienza. Solamente il caso fortuito o la forza maggiore discriminano; se l'uso sia stato moderato, ma le sostanze per adulterazione, ignota a chi l'adoperi, o per altra causa, pro­dussero conseguenze superiori alle ordinarie, può dirsi che ricorra il fortuito.

Si ha, dunque, un atto doloso o colposo cui può ricondursi l'evento, benché questo, in via diretta e immediata, derivi da un processo causale non più regolato dalla volontà libera e cosciente dell'agente. È il principio delle actiones liberae in causa che qui trova applicazione. Per esso la indagine sulla capacità d' intendere e di volere si pratica non con limitato riferimento al momento in cui si commette il fatto, ma risalendosi a momento anteriore al fatto stesso.

Già in passato si ritenne, in applicazione del principio generico in terna di colpa, che quando il fatto sia la conseguenza diretta ed immediata dello stato di ebbrezza, poiché questa si deve attribuire alla volontaria od imprudente condotta di colui che se la è procurata, non possa negarsi, agli effetti civili, la responsabilità. Non era peraltro facile determinare se esistesse un vero e proprio rapporto di causa ad effetto tra stato di ebbrezza e fatto dannoso. Oggi, con l'affermazione del principio delle actiones liberae in causa, basta che sussista rapporto di causa ad effetto tra il comportamento doloso o colposo dell'agente circa l'uso delle sostanze che produssero il suo stato d' incapacità, e questo, se il fatto dannoso venga posto in essere durante il detto stato.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2046 Codice Civile

Cass. civ. n. 16661/2017

In caso di azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale proposta allegando l'imputabilità dell'evento lesivo alla condotta dell'autore dell'illecito, qualificata da dolo o colpa, grava sul danneggiante l'onere di allegare e provare l'esistenza, al momento del fatto illecito, dello stato di incapacità di intendere e di volere previsto dall'art. 2046 c.c., in quanto la imputabilità non integra un elemento costituivo della fattispecie di responsabilità aquiliana ma si pone come condizione soggettiva esimente della stessa.

Cass. civ. n. 4332/1994

Quando un soggetto incapace di intendere e di volere, per minore età o per altra causa, subisca un evento di danno, in conseguenza del fatto illecito altrui in concorso causale con il proprio fatto colposo, l'indagine deve essere limitata all'esistenza della causa concorrente alla produzione dell'evento dannoso, prescindendo dall'imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo, ed il risarcimento al danneggiato incapace è dovuto dal terzo danneggiante solo nella misura in cui l'evento possa farsi risalire a colpa di lui, con l'esclusione della parte di danno ascrivibile al comportamento dello stesso danneggiato.

Cass. civ. n. 5024/1993

L'art. 2046 c.c. esclude la responsabilità civile del soggetto che ha contribuito a causare il fatto dannoso in condizione di incapacità di intendere e di volere (e, perciò, senza colpa) ma non priva di rilevanza giuridica il contributo causale della condotta del predetto soggetto nella produzione dell'evento con la conseguenza che se, trattandosi di incidente stradale, il fatto è imputabile ad entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti nello scontro, la prova della incapacità di intendere e di volere di uno dei due conducenti esclude solo la responsabilità di questo ma non anche la comparazione della valenza causale delle rispettive condotte di entrambi i conducenti, comportando la proporzionale riduzione del risarcimento, in ragione dell'entità percentuale del contributo causale del comportamento, del conducente incapace, (art. 1226 c.c.), dovuto dall'altro conducente che risponde solo nei limiti dell'incidenza causale della sua condotta, sia nel caso in cui la colpa di questo sia stata in concreto accertata, sia in quello in cui la colpa debba essere, invece, presunta perché è mancata la prova liberatoria richiesta dall'art. 2054 c.c.

Cass. civ. n. 11163/1990

In tema di imputabilità del fatto dannoso opera un sistema autonomo rispetto a quello previsto dal legislatore in tema di imputabilità del reato. In campo penale, infatti, è la legge stessa che fissa le cause che escludono l'imputabilità, mentre, in campo civile, a norma dell'art. 2046 c.c., compete sempre al giudice accertare se, in base al vizio di mente, all'età immatura o altra causa, esuli in concreto la capacità di intendere e di volere. Tale accertamento, se correttamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.

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