I requisiti per la compensazione. A quale specie si riferiscono
Il primo comma dell'art.
1243 corrisponde all'art. 1287 del codice abrogato e pone le condizioni cui è subordinato il funzionamento della compensazione legale contemplata nei due articoli precedenti. Tale è qualificata esplicitamente nell’ intitolazione dell'articolo, ed è inoltre contrapposta alla compensazione giudiziale regolata nel secondo comma, disposizione del tutto nuova. A queste due specie di compensazione, già conosciute ed elaborate dalla dottrina fin dalla nascita del vecchio codice, il nuovo codice ne aggiunge una terza nell'art.
1252, cioè la compensazione volontaria, della quale si dirà a suo tempo. Qui giova solo notare che la triplice distinzione ha importanza soprattutto per identificare il momento operativo di ciascuna, poiché è alla sola compensazione legale che la legge attribuisce gli effetti estintivi automatici contemplati negli articoli
1241 e
1242, e sono i requisiti di tale compensazione quelli cui allude il cennato primo comma dell'art.
1243. Essi rimangono ancora quelli tradizionali della omogeneità, della liquidità e della esigibilità dei due crediti.
L’ omogeneità. Concetto e limiti nel vecchio e nel nuovo codice
Pet quanto riguarda il primo requisito, l'art. 1287 del vecchio codice parlava di «
debiti che hanno ugualmente per oggetto una somma di denaro od una determinata quantità di cose della stessa specie, le quali possono nei pagamenti tener luogo le une delle altre ». Il progetto del 1936, riprendendo la già abbandonata locuzione del codice francese (art. 1297) parlava di «
cose fungibili della stessa specie ». Lo stesso requisito della fungibilità mantiene il testo definitivo dell'art. 1243 sostituendovi la formula più ampia e più precisa di «
cose fungibili dello stesso genere ». Il concetto, peraltro, rimane sempre quello di escludere dalla compensabilità le prestazioni che abbiano per oggetto una cosa certa e determinata ovvero cose di genere diverso. Il fenomeno giuridico della fungibilità è anche qui prevalentemente
soggettivo, dovendosi soprattutto aver riguardo al modo in cui le cose sono state dedotte nelle due obbligazioni tra le quali dovrà poi operare la compensazione. Quanto ai debiti pecuniari, la compensazione ha luogo fra ogni specie di moneta a corso legale: se si tratta di moneta fuori corso nello Stato e senza indicazione del ragguaglio, questo si farà in base ai liberi corsi della borsa ed ai saggi legali. Per le merci diverse dalla moneta il criterio direttivo è sempre quello della convenzionale o legale sostituibilità nei pagamenti.
La nuova dizione dell'art.
1243, come si accennava, è più precisa di quella vecchia: il «
genere » è infatti il totale delle cose che hanno note e caratteri comuni, e si può avere un genere più o meno ampio a seconda della maggiore o minore comunanza; la specie, nel linguaggio tecnico-giuridico, sta invece ad indicare la cosa considerata in sè, individualmente, il
corpus certum. Pertanto
la compensabilità, nel più preciso concetto del nuovo codice, si ha quando si tratta di cose che si individuano pesandole, misurandole o numerandole, e che appartengono
allo stesso genere più o meno ampio: quindi, farina con farina, sia pure di diversa qualità (salvo il ragguaglio del prezzo); vino con vino, etc.
Nella nuova formulazione dell'art.
1243 non è stata riprodotta la norma dell'art. 1287, secondo comma, che consentiva espressamente la
compensabilità fra derrate con prezzo di mercato e somme di denaro. La soppressione di per sè non porterebbe necessariamente ad una soluzione contraria, perciò la vecchia norma potrebbe sopravvivere nell'ampia formulazione del primo comma. Ed anzi, anche i titoli di credito al portatore, con prezzo di borsa, potrebbero rientrare, con tale più ampia formula, nella categoria delle cose compensabili tra loro o con il denaro.
La liquidità ed il suo triplice aspetto. Nozione generica e specifica nel nuovo codice
Il secondo requisito, rimasto immutato anch’ esso nel progetto del 1936 e nel testo definitivo, è quello della liquidità. Tale requisito, secondo la più diffusa dottrina, comprende la
certezza sulla esistenza, sull'oggetto e sull'ammontare dei crediti (
certum an, quid, quantum debeatur). La mancanza di uno solo di questi tre elementi renderebbe illiquido il credito e quindi non suscettibile di compensazione legale, automatica ed originaria. Il
primo elemento riguarderebbe, secondo alcuni, l’ esistenza materiale di fatto, non di diritto: ma questa distinzione non convince abbastanza, poiché l’esistenza materiale può anche dipendere da una complicata e discutibile posizione di diritto che dia luogo ad incertezza sulla esistenza fino al più o meno lungo accertamento giudiziale.
Il
secondo elemento (
quid debeatur) riguarda l'oggetto del credito. Anche qui i concetti non sono assai precisi in dottrina, poiché si suol dire che l’ incertezza si presenta quando sorge il dubbio sulla sincerità del documento o si muovono questioni sui vizi della volontà negoziale o sulla sua simulazione. In verità il
quid dovrebbe attenere alla identificazione della dovuta prestazione quando non si discuta nè sulla esistenza nè sull'ammontare del credito, come se, ad esempio, si disputi soltanto sulla efficacia e portata di una obbligazione alternativa, facoltativa o generica.
Il
terzo elemento (
quantum debeatur) riguarda la sola misura del credito. Non si dubita della sussistenza generica (risarcimento per colpa, prezzo indeterminato di opera prestata) ed occorre invece l’ attività diretta del giudice per determinarne l'ammontare. In sostanza questo sarebbe l'elemento che incide precisamente ed innegabilmente sul requisito della liquidità, poiché è dalla sentenza costitutiva del magistrato che deriva e si identifica la misura del credito: prima manca la quantità compensabile e non si ha che una pura e semplice possibilità di compensare. Invece, l'
an ed il
quid debeatur possono diventare incerti per una qualsiasi contestazione, anche maliziosa, del debitore interessato ad evitare gli effetti automatici e retrospettivi della compensazione legale ed a tramutare questa in compensazione giudiziale per solo effetto della artificiosa eccezione. E così fino alla sentenza che respinge tali sorta di eccezioni e dichiara liquido (cioè certo) il credito contrapposto, l'attore di mala fede lucra i maggiori interessi e consegue le sanzioni del ritardo. Di ciò si discorrerà di qui a poco a proposito del secondo comma dell'articolo in esame.
L’ esigibilità. I suoi presupposti e l'applicazione particolare dell'art. 1245
L’ esigibilità, quale
il terzo requisito richiesto nel primo comma, consiste nell’
assenza di ogni ostacolo all'esercizio libero ed immediato dell'azione. Deve quindi trattarsi, anzitutto, di una
obbligazione civile perfetta e munita di azione, non già di una obbligazione naturale secondo il concetto del vecchio codice o, meglio ancora, secondo quello più ampio del nuovo, poiché la compensazione implicherebbe un' indiretta coercizione che è assolutamente incompatibile con la limitatissima efficacia dell’ obbligazione naturale (negata ripetizione del vero e proprio pagamento). Infine, la obbligazione deve essere
scaduta e non soggetta a condizione, poiché nell'uno e nell'altro caso, essa non è suscettibile di adempimento immediato.
A proposito, anzi, dell’ obbligazione a termine, il nuovo codice, riproducendo quasi in modo identico il vecchio art. 1288, dispone che
« la dilazione concessa gratuitamente dal creditore non è di ostacolo alla compensazione ». sempre che, dunque, non si tratti di un termine vero e proprio, già scontato nella economia del contratto, ma di una dilazione concessa per semplice favore dal creditore (è questo il significato preciso dell'avverbio «
gratuitamente »), non vi può essere l'ostacolo della inesigibilità, poiché sarebbe eccessivo ed iniquo che una pura liberalità del creditore si converta poi in un suo danno, quale sarebbe quello di pagare ciò che non deve.
Sotto il requisito della esigibilità si è soliti e si può ricondurre la norma dell'
art. 1245 del c.c., corrispondente al vecchio art. 1292, per cui, quando i due debiti non sono pagabili nello stesso luogo, devono computarsi in favore del creditore interessato le spese di trasporto al luogo del pagamento. Il semplice fatto di tale diversità di esecuzione non fa venir meno dunque, il requisito della esigibilità, ma impone soltanto di detrarre quella che è una indiretta differenza in meno del credito dedotto in compensazione.
La reciprocità come requisito implicito
A questi tre requisiti, espressamente designati dal vecchio e dal nuovo codice, va aggiunto quello della reciprocità: il presupposto qui è definito dalla stessa disposizione dell'art. 1241. Deve trattarsi, cioè, di
rapporti correnti tra le medesime persone fisiche o giuridiche. Di questo principio si ha una prima e duplice applicazione particolare per quanto riguarda i fideiussori nell'art.
1247 (ex art. 1290), ed i cessionari nell'art.
1248 (ex art. 1291, primo comma), al cui rispettivo commento si rimanda. Altra applicazione se ne ha, in tema di obbligazioni solidali, nell'art.
1302 (ex art. 1291, 2 comma), per cui è la sola porzione del concreditore o del condebitore solidale che determina la misura dell'effetto compensativo. Ancora un'applicazione simile si ha in tema di obbligazioni sociali, ma ciò che qui importa considerare è che la reciprocità, pur inesistente nell’ origine, può verificarsi in seguito per successione universale quando il creditore o il debitore del defunto abbiano rapporti di debito o di credito con l'erede.
La compensazione giudiziale sotto il vecchio codice
Nella ricorrenza integrale dei suddetti requisiti si ha dunque la compensazione legale automatica, contemplata dall'esaminato primo comma dell'art.
1243, ed i cui effetti sono stati già esaminati. A questa, che era la sola disciplinata dal vecchio codice, il secondo comma dell'art.
1243 e la stessa intitolazione di tutto l'articolo contrappongono la cosiddetta compensazione giudiziale, quella, cioè, che
opera soltanto nel corso del processo, ove il giudice accerti qualcuno dei requisiti mancanti e renda così compensabile un credito insuscettibile di compensazione automatica: naturalmente, deve trattarsi di un ostacolo anzitutto rimuovibile con la necessaria e sufficiente attività dello stesso giudice. Se da un lato manca l’ esigibilità perché il credito è a termine o condizionale, ovvero se manca la reciprocità o l’ omogeneità delle contrapposte obbligazioni, nulla da fare, nè per opera del convenuto, nè da parte del giudice: l'ostacolo non è rimuovibile e l'eccezione di compensazione non può essere che definitivamente respinta. Rimangono, pertanto, le due ipotesi cui si è sopra accennato nell'illustrare i necessari requisiti della compensazione: quella, cioè, in cui non sia ancora assodata la misura del credito già accertato genericamente (
liquidità in senso stretto), e quella di cui, per le opponibili ed opposte
eccezioni del debitore, manchi la prova immediata e sicura della sussistenza del credito (
liquidità in senso lato e generico).
In ambedue tali ipotesi la legislazione abrogata non offriva all'interprete che la sola norma induttiva dell'art. 102, terzo comma, codice di procedura civile in tema di
competenza per connessione. Poiché tale norma attribuiva ai conciliatori ed ai pretori la potestà discrezionale di separare l’ eccezione di compensazione dall' azione principale e di rimandarla da sola al giudice superiore competente qualora la seconda fosse già documentata in una certa misura, e pronunciando intanto, con cauzione o senza, la condanna del convenuto, se ne ricavò un principio generale per cui, a prescindere dalla questione di competenza, ogni giudice di merito averse questa facoltà separativa sempre che si verificasse una analoga situazione processuale. Pertanto la dottrina e la giurisprudenza consolidatesi ne ricavarono non tanto che la potestà di separare e rimandare l’ eccezione compensativa di lunga indagine, quanto quella, più importante e correlativa, che il giudice potesse sospendere la condanna per la domanda già liquida e provata, offrendo al convenuto il modo ed il tempo di provare o liquidare anche il proprio credito e di far sorgere così la non ancora esistente condizione per la compensazione legale. Era appunto questa potestà sospensiva che non trovava riscontro nè in una norma qualsiasi del diritto sostanziale, nè in una norma diretta del diritto processuale. Non mancarono, peraltro, autorevoli dissensi sulla norma induttiva e sul concetto medesimo della compensazione giudiziale.
Contenuto e coordinamento processuale della nuova norma espressa
Nel momento in cui si ebbe il testo definitivo del comma in questione c'erano già le pubblicate norme degli articoli
34,
35 e
36 del codice di procedura civile, per cui:
a) se il credito dell'attore è « incontroverso o facilmente accertabile » mentre quello dedotto in compensazione è contestato ed eccede la competenza adita, il giudice può separare l’ eccezione di compensazione e rimandarla al giudice competente condannando intanto il convenuto, con o senza cauzione; altrimenti (cioè, se non ricorrono le dette condizioni, o se non si crede di attuare la potestà separativa), si applica il regolamento degli accertamenti incidentali (
art. 34 del c.p.c.);
b) in questa seconda ipotesi la
causa è rimessa tutta al giudice superiore (
art. 34 del c.p.c.);
c) in tema di domanda riconvenzionale sorge la competenza per connessione se ricorrono le stesse condizioni del vecchio art. 100, n. 3; mentre se la competenza esorbita, avviene il rinvio integrale suaccennato (
art. 36 del c.p.c.).
Tali norme, e specialmente quelle degli articoli
34 e
35, servono ad
integrare la nuova disposizione sostanziale del comma in esame, nel senso che a prescindere dalla questione di competenza la potestà sospensiva della condanna trova ormai un preciso precetto nella legge sostanziale; e così il giudice pronuncerà o no la condanna immediata per il credito già liquido dell'attore, a seconda che non gli sembri oppure gli sembri facilmente e prontamente accertabile il credito opposto in compensazione. Naturalmente, come è anche disposto in modo espresso, egli potrà anche pronunciare la compensazione parziale se il debito opposto è solo parzialmente accertato.
È necessario evidenziare una
duplice differenza che qui si riscontra di fronte alla norma processuale di competenza: anzitutto, non si menziona la condanna mediante eventuale cauzione. Pertanto, se non ricorre l’ ipotesi dell’
art. 35 del c.p.c., cioè la disparità di competenza, il giudice potrà differire o no la condanna, ma non sottoporla a cauzione. Tale differenza di trattamento è giusta, poiché davanti a se stesso il giudice potrà provvedere in ogni momento, a scopo conservativo, se la parte interessata lo chiede. Se non lo chiede, nessuna ragione insorge a favore di una simile cautela. Se, invece, il giudice tiene per sè la domanda di facile accertamento (ed è il solo punto su cui incide la sua potestà deliberativa), rimanda al giudice superiore la decisione sull'eccezione, se il credito opposto venga contestato. Si spiega, pertanto, la
potestà cautelativa d’ ufficio.
Altra apparente differenza si riscontra circa la
qualità del credito opposto in compensazione. Mentre il comma in esame parla di debito non liquido ma di facile e pronta liquidazione, la legge processuale parla di «
titolo non controverso o facilmente accertabile ». Si potrebbe, a prima vista, pensare che la legge sostanziale si riferisca alla vera e propria liquidità in senso stretto già sopra spiegata e che quella processuale comprenda ogni specie di incertezza (sull'
an e sul
quantum). In fondo, però, sembra più esatto ritenere che l'una e l'altra norma si riferiscano all’ incertezza in senso ampio, tale da comprendere tanto la illiquidità quanto la mancanza di prove immediate e sicure sulla sussistenza: ciò viene poi confermato dal fatto che, alla fine, lo stesso comma parla genericamente di accertamento e non più di liquidazione del credito opposto in compensazione. Così, secondo la comune opinione, dalla quale il nuovo codice non ha mostrato di discostarsi, si resta in tema di compensazione giudiziale sempre che il giudice ritenga di poter differire la condanna in attesa del qualsiasi accertamento giudiziale che renda attuabile la compensazione, sia che esso tenda all’ identificazione della misura (liquidazione di danni o di prezzo dell'opera, pur incontestati genericamente), sia alla prova del fatto-base (mutuo, prezzo pattuito, etc.). Se si ritenesse altrimenti, infatti, mancherebbe la potestà sospensiva cautelare per i casi più evidenti in cui sono già acquisite le - pur non decisive - presunzioni in base alle quali l'attore neghi artificiosamente il debito al fine di eludere la compensazione.