Sul punto a) è superfluo soffermarsi, infatti si sa che l' inesistenza di un'obbligazione determina un indebito oggettivo e a colui che ha eseguito un pagamento non dovuto attribuisce il diritto di ripetere ciò che ha pagato oltre i frutti e gli interessi dal giorno del pagamento, se l
' accipiens era in mala fede, dal giorno della domanda giudiziale, se in buona fede (
art. 2033 del c.c.).
Sul punto b) si rimette all'analisi dell'articolo
1197, qui per completezza basterà accennare al fatto che il creditore ha diritto di ricevere ed il debitore diritto di prestare quello che è l'oggetto della prestazione, salvo che, essi d'accordo, non intendano a questo sostituirne un altro (
datio in solutum).
Soggetti legittimati a ricevere
Sul punto c) occorre soffermarsi, poiché il principio che vi si enuncia costituisce l'argomento degli articoli in esame.
La prestazione deve essere effettuata alla persona legittimata a riceverla e, anzitutto, al
creditore, la parte a cui favore fu costituito il rapporto obbligatorio. Il creditore deve essere capace di ricevere la prestazione: su questo requisito della capacità si ritornerà a breve, per ora è necessario porre in rilievo che la sua mancanza non libera il debitore dall'obbligo di dover pagare per la seconda volta. Ciò in linea generale e, può dirsi, anche empirica, in particolare occorre distinguere tra oggetto ed oggetto della prestazione. Salta subito agli occhi la diversità tra il pagamento di frutti naturali o civili e il pagamento di somme capitali: considerati entrambi
a parte creditoris, mentre per l'efficacia liberatoria del primo, quale atto di amministrazione, è sufficiente nell'
accipiens soltanto la qualità di creditore non minore, nè interdetto, nè fallito, il secondo, invece, che costituisce atto di disposizione, richiede per la stessa efficacia liberatoria o la piena capacità dell'
accipiens o, se questa manca, l'osservanza delle forme abilitative stabilite dalla legge.
Con il termine creditore, poi, s'intende ricompreso non solo il creditore originario ma
anche chi a costui è succeduto a titolo universale o particolare. In ogni caso il creditore deve legittimare tale sua qualità e i1 debitore, ove a ciò egli non provveda, è autorizzato a non effettuare la prestazione senza che, perciò, possa cadere in mora.
La regola che la prestazione, per liberare il debitore, deve essere corrisposta al creditore non è sempre assoluta, poiché anche se fatta a costui
può non essere valida: ciò si verifica nelle ipotesi di un creditore o di suo incapace di ricevere o se effettuata senza l'osservanza delle forme abilitative, a meno che non si provi l'
utilis in rem versio di una prestazione effettuata nonostante l' atto di opposizione.
La prestazione può essere effettuata anche a
persona diversa dal creditore, come ad un suo rappresentante sia legale, sia giudiziale che convenzionale. Sarà il primo (ad es. il genitore per i figli sottoposti alla sua potestà, il tutore per il pupillo e l'interdetto) a poter riscuotere pagamenti e ricevere prestazioni che, però, non costituiscono negozi di disposizione nel senso dinanzi chiarito, poiché in tal caso si rende per entrambi necessaria la preventiva autorizzazione del giudice tutelare: cosi vanno interpretati l'art. [[n320cc] (per il genitore) e l'articolo
374 (per il tutore), i quali condizionano la riscossione di capitali (che, è intuitivo, non esaurisce l'oggetto del pagamento) alla preventiva autorizzazione del giudice tutelare. Rappresentante giudiziale sarà chiunque sia stato nominato tale con sentenza, così ad es. il curatore dello scomparso (
art. 48 del c.c.), il tutore provvisorio all'interdicendo ed il curatore provvisorio all'inabilitando (art.
419 ult. comma), il curatore dell'eredita giacente (
art. 528 del c.c.), il curatore del fallito (art. 31 r. d. 16 marzo 1942, n. 267).
Rappresentante convenzionale, infine, è chiunque derivi tale sua qualità da un
negozio delegatorio di volontà: accanto a lui va ricordato il mandatario che dal contratto di mandato trae titolo per la sua attività negoziale. La rappresentanza non può essere conferita che in modo espresso, mediante procura (
art. 1392 del c.c.), il mandato può, invece, essere conferito in forma espressa e tacita come nelle ipotesi di chi chieda la prestazione esibendo il titolo quietanzato dal creditore (
art. 2213 del c.c.) e sia quella che questo possono essere generali (ad negotia) o speciali (ad exigendum). In entrambe queste figure condizione essenziale per l'efficacia liberatoria della solutio è che il debitore paghi al rappresentante vero: la prestazione effettuata a chi non ha mai rivestito o ha perduto tale qualità è nulla nella prima ipotesi, e nell'altra può essere efficace solo se il mandatario ha ricevuto il pagamento prima di conoscere l'estinzione del mandato (
art. 1729 del c.c.). Circa la capacita del rappresentante convenzionale e del mandatario a ricevere la prestazione si rilevi che il primo è sufficiente abbia la capacita di intendere e di volere (capacità naturale), avuto riguardo alla natura ed al contenuto del contratto (
art. 1389 del c.c.), il secondo, all'opposto, deve possedere la capacità legale, tale diversità di trattamento per uno stesso requisito tra il rappresentante convenzionale ed il mandatario si spiega considerando che l'attività negoziale dell'uno ha come titolo la dichiarazione di volontà (contenuta nella procura) del rappresentato del quale, perciò, si richiede la capacità legale, l'attività negoziale dell'altro, invece, si fonda sulla volontà sua propria, che fa ripercuotere (al contrario della rappresentanza) gli effetti dei negozi sul suo patrimonio: è necessario, quindi, che il mandatario abbia la capacità d'agire.
In tutti i casi innanzi considerati nei quali la prestazione è fatta a una persona diversa dal creditore non si ha una deroga al
principio della individualità del pagamento, poiché il rappresentante ed il mandatario non sono una persona diversa dal creditore in quanto essi rispettivamente agiscono nel nome e nell'interesse o nell'interesse solo del creditore: lo stesso gestore, quando (e solo quando) sia intervenuta la ratifica del
dominus va considerato quale mandatario. Una
deroga, invece, a quel principio si verifica nel caso in cui il pagamento venga effettuato dal debitore ad un terzo o autorizzato dalla legge o dal giudice (creditore assegnatario in virtù di sentenza) a riceverlo, oppure a tal fine indicato ed espressamente (con parole o con fatti concludenti: possesso della quietanza) dal creditore.
Quest'ultimo può rivestire ora la figura dell'
adiectus solutionis causa, ora la figura dell' assegnatario,
sostanzialmente diverse l'una dall'altra. La funzione dell'
adiectus, in piena aderenza al concetto che ne aveva il diritto romano, è meramente materiale e strumentale nella ricezione del pagamento: l'
adiectus
altro non è che un esattore del creditore (
aut mihi aut Titio) designato a ricevere sia nell'atto di costituzione del rapporto obbligatorio sia posteriormente. Per tale sua attribuzione non si richiede nell'
adiectus la capacità di obbligarsi, per lo stesso motivo, sull'efficacia liberatoria della prestazione effettuata all'
adiectus non influisce sul rapporto interno tra questi ed il creditore. Ancora per la stessa sua funzione, infine, l'
adiectus non può né convenire in giudizio il debitore, nè rimettergli il debito, nè concludere novazione, nè trasmettere ad altri il mandato a riscuotere, né compiere, in sostanza, attività diversa da quella pura e semplice della riscossione.
Se ora dall'
adiectus si passa all'
assegnatario, si nota subito e facilmente che questi, quale creditore dell'assegnato, ha diritto alla prestazione, diversamente dall'
adiectus, cui il debitore ha non il dovere ma il diritto di pagare, nel senso che può anche non prestare nelle mani del creditore, il quale, indicando al debitore
adiectus, gli ha concesso la facoltà di prestare o a lui o all'
adiectus.
Creditore apparente
L'efficacia liberatoria della prestazione si manifesta anche se questa viene eseguita a chi non è il vero creditore, quando a) sia dall'avente diritto ratificata o confermata; b) torni a profitto del creditore vero; c) sia effettuata in buona fede al c. d. creditore apparente; d) il vero creditore sia succeduto a chi ha ricevuto la prestazione. Delle ipotesi di cui ai punti a) , b) e c) si occupa il codice negli articoli
1188 cpv. e [[n1189cc], sull'ultima non contemplata positivamente è superfluo soffermarsi poiché il sfondamento va ricercato nell'effetto della successione.
a) La ratifica del creditore vero, che convalida la prestazione soggettivamente irregolare, può essere espressa
aut verbis aut factis, comunque essa deve provenire non solo dal vero creditore ma dal creditore capace, perciò sarebbe invalida se fosse fatta da costui mentre e ancora minore o non è assistito nelle forme abilitative.
b) L'
utilis versio, il profitto cioè indebitamente conseguito da chi ha ricevuto la prestazione, giustifica la validità della
solutio, la quale libera il debitore in tutto o in parte a seconda che la prestazione sia integrale o parziale e lo libera anche se il vantaggio per il creditore non sussista più al momento della domanda giudiziale.
c) La liberazione del debitore che presti, in buona fede, a chi, in base a circostanze univoche, appare legittimato a ricevere la prestazione, era regolata anche dall'art. 1242 del codice del 1865, ma notevoli si rivelano le modifiche formali e sostanziali a questo apportate. L'art. 1242, per indicare lo stato di creditore apparente, parlava di «
pagamento fatto in buona fede a chi si trova nel possesso del credito », formula senza dubbio equivoca anche se, in definitiva, intendeva indicare colui il quale, per essere in possesso, a qualunque titolo, del documento del credito, era dal
solvens ritenuto l'effettivo creditore. L'art. 1189, pur mantenendo fermo in sostanza lo stesso concetto, che del resto costituisce il presupposto della validità della prestazione nell'ipotesi
de qua, considera, con una definizione migliore dal punto di vista sostanziale e formale, creditore apparente chi si trova in una situazione di fatto implicante, in base a circostanze univoche — circostanze, cioè, che non presentano incertezza di valutazione — la legittimazione sua all'esercizio effettivo del diritto di credito sì da suscitare un affidamento circa la reale appartenenza. del diritto stesso.
Sullo stato del
solvens il nuovo codice mantiene il criterio accolto da quello anteriore, poiché non si è ritenuto necessario (come era stato proposto nel progetto ministeriale all' art. 84) equiparare alla mala fede la colpa del debitore, addossandogli, quindi, l'obbligo di un nuovo adempimento se non riesce a dimostrare di aver adoperato la normale diligenza per conoscere l'appartenenza ad altri dell'effettiva titolarità del credito. Si avrebbe qui, in sostanza, un'applicazione (e non la sola) della
teoria dell'apparenza giuridica che, affermata in linea generale come fonte di legittimazione di fatto all'esercizio di un diritto, risponde, in effetti, ad esigenze politiche e sociali ad un tempo, le quali richiedono la tutela di situazioni che si presentano, di fronte alla generalità, fornite di tutti quegli elementi costituenti il presupposto della loro giuridicità. Ai fini dell'accertamento di quello status è sufficiente dire che colui il quale ha prestato (e può essere lo stesso debitore o un terzo per lui) a chi non era l'effettivo creditore riesca a dimostrare (ricadendo su di lui tale onere) di aver ignorato che il diritto di credito apparteneva, in realtà, a persona diversa da quella alla quale egli pagava e di averlo ignorato in buona fede, sulla base, cioè, non di apprezzamenti soggettivi, vale a dire apprezzamenti suoi propri che lo hanno potuto indurre a ritenere creditore chi tale non era, ma di circostanze oggettive ed univoche che, fondate sulla normale accortezza e determinate, ad es., dal comportamento tenuto o dall'attività svolta dall'
accipiens, facevano attribuire a costui la titolarità del credito.
Fornita la prova della sua buona fede e dell'apparente legittimazione dell'
accipiens a ricevere la prestazione, il debitore resta liberato qualunque sia, poi, per essere la sorte del pagamento, di ciò non ci sembra possa dubitarsi anche se l'art. 1189 non menziona — perché manifestamente inutile — l'ipotesi dell'evizione subita dal creditore apparente. L'efficacia liberatoria, che nelle cennate ipotesi ha la prestazione effettuata al creditore apparente, mentre estingue ogni vincolo tra debitore e creditore vero, può dar vita a rapporti tra questi e l'
accipiens, il vecchio codice non li aveva considerati: il nuovo, invece, li disciplina con l'opportuno richiamo, nel cpv. dell'art. 1189, delle ordinarie norme sulla ripetizione d'indebito.
L'art. 1189, pur indicando il debitore come colui che paga al creditore apparente, è certo che si riferisce anche al rappresentante, legale o convenzionale, al mandatario, al coobbligato, al fideiussore del debitore, ecc.; ma nella sfera della sua efficacia può essere ricondotto pure il
terzo (non condebitore, si intende) al quale, come si è visto, si riconosce la facoltà di effettuare la prestazione. All'interrogativo già sotto il codice del 1865 da alcuni fu risposto affermativamente sul rilievo che, non precisando la legge, anzi adoperando essa un termine ampio e comprensivo di chiunque avesse potuto adempiere l'obbligazione, non si poteva giustificare l' inapplicabilità a favore del terzo della norma dell'art. 1242, corrispondente, oggi, all' art. 1189. Altri, invece, premesso come scopo dell'art. 1242 fosse di tutelare il debitore che, costretto ad adempiere, avesse eseguito la prestazione a chi era non il vero ma solo l' apparente creditore, negarono l' applicabilità della disposizione al terzo che, se adempieva — si diceva —, adempieva solo volontariamente e non coattivamente come il debitore. Le considerazioni addotte a sostegno della tesi negativa se anche possono impressionare, non si rivelano, però, tali da far ritenere che il termine debitore dell'art.1189 sia riferibile soltanto al debitore, ai suoi discendenti ed aventi causa e non, invece, anche a qualsiasi persona che legittimata, effettui la prestazione, estinguendo cosi l'obbligo del debitore.
L'esame degli articoli che si occupano del destinatario della prestazione deve essere completato con quello del cpv. dell'art.
2906, in cui si prevede e si disciplina una ipotesi che avrebbe avuto più appropriata sistemazione subito dopo gli articoli in commento. Si stabilisce nell'anzidetto capoverso « non ha parimenti effetto in pregiudizio del creditore opponente, il pagamento eseguito dal debitore, qualora l'opposizione sia stata proposta nei casi e con le forme stabilite dalla legge ». Si regola, qui, sebbene non in materia proprio attinente al sequestro, l'istituto — che, però, a questo può considerarsi analogo nei suoi effetti di provvedimento cautelare dell'opposizione al pagamento che un creditore in taluni casi stabiliti dalla legge (v. ad es. artt.
495,
498,
530, [[n2742]] comma 2, [[n2825]] comma 5, può fare a chi è debitore del proprio debitore affinché si astenga dal prestare a quest'ultimo.
Ora, se il terzo, debitore opposto, esegue la prestazione a favore del proprio creditore, nonostante l'opposizione notificatagli dal debitore di questi, il suo adempimento è inefficace nei riguardi del creditore opponente: vale a dire, mentre il terzo opposto ha bene adempiuto nei confronti del proprio creditore, estinguendo così il suo obbligo, l'opponente, invece, potrà costringere il terzo stesso a prestare di nuovo nelle sue mani, salvo restando, s'intende a favore del
solvens, il diritto di regresso verso il creditore (debitore dell'opponente).