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Articolo 194 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Divisione dei beni della comunione

Dispositivo dell'art. 194 Codice Civile

(1)La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti eguali l'attivo e il passivo [210 c.c., 784 ss. c.p.c.](2).

Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all'affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro coniuge [38](3).

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 73 della L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) La divisione si effettua in parti eguali senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all'acquisto del bene in comunione (diversamente quindi dalla presunzione semplice valevole per la comunione ordinaria di cui all'art. 1101 del c.c.).
(3) Il conguaglio posto a carico di uno dei condividenti inerisce alle operazioni divisionali e non costituisce capo autonomo della sentenza dichiarativa della divisione. Per quanto concerne l'usufrutto invece (si veda l'art.978), esso potrà essere costituito anche prima della divisione.

Ratio Legis

La ratio della norma è quella di offrire una divisione attuabile su iniziativa dei coniugi, per i beni comuni, garantendo una sostanziale equità nella redistribuzione di attivo e passivo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 194 Codice Civile

Cass. civ. n. 38861/2022

E' valida la clausola con la quale i coniugi, in sede di separazione consensuale, si accordino per vendere in futuro l'abitazione coniugale che sia stata assegnata al coniuge affidatario di figlio minore, in quanto autonoma rispetto alla concordata assegnazione e con essa non incompatibile.

Cass. civ. n. 18641/2022

In tema di scioglimento della comunione legale, in caso di attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che non era assegnatario dello stesso quale casa coniugale, né affidatario della prole, si realizza una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell'intero, sicché, posto che continua a sussistere il diritto di godimento in capo all'altro coniuge, il coniuge non assegnatario diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all'assegnazione dell'immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso, con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.

In tema di scioglimento della comunione legale, l'attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che ne era già assegnatario, comportando la concentrazione, in capo a quest'ultimo, del diritto personale di godimento scaturito dall'assegnazione giudiziale e di quello dominicale sull'intero immobile, che permane privo di vincoli, configura una causa automatica di estinzione del primo, che, pertanto, non potrà avere alcuna incidenza sulla valutazione economica del bene in comunione a fini divisori, o sulla determinazione del conguaglio dovuto al coniuge comproprietario non assegnatario, dovendosi conferire all'immobile un valore economico pieno, corrispondente a quello venale di mercato; né, a tal fine, rileva che nell'immobile stesso continuino a vivere i figli minori, o non ancora autosufficienti, affidati al coniuge divenutone proprietario esclusivo, rientrando tale aspetto nell'ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole, da regolamentare nella sede propria, anche con la eventuale modificazione dell'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 34861/2021

E' valida la clausola con la quale i coniugi, in sede di separazione consensuale, si accordino per vendere in futuro l'abitazione coniugale che sia stata assegnata al coniuge affidatario di figlio minore, in quanto autonoma rispetto alla concordata assegnazione e con essa non incompatibile.

Cass. civ. n. 28258/2019

La costruzione realizzata in costanza di matrimonio e in regime di comunione legale sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno dei coniugi è di proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione. Spetta al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all'onere della costruzione, previo assolvimento dell'onere della prova d'aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese a tal fine.

Cass. civ. n. 19129/2015

Ai fini dell'azione revocatoria ordinaria, è lesivo del credito anteriore anche l'atto che sia collegato ad uno o più atti successivi ove risulti che essi, per il breve periodo di tempo in cui sono stati compiuti o per altre circostanze, siano tutti convergenti al medesimo risultato lesivo, sicché è revocabile, sebbene privo di efficacia dispositiva, l'atto di scioglimento della comunione legale tra i coniugi compiuto contestualmente al trasferimento, da un coniuge all'altro, di una quota del 50 per cento dell'unico bene immobile al primo intestato.

Cass. civ. n. 9845/2012

In tema di divisione della comunione legale tra coniugi, da effettuarsi secondo i criteri di cui agli art. 192 e 194 c.c., la determinazione del periodo per il quale spetta il corrispettivo dovuto con riguardo al mancato godimento della quota di pertinenza del bene immobile fruttifero decorre, ai sensi dell'art. 1148 c.c., dalla data di proposizione della domanda di divisione, quale momento d'insorgenza del debito di restituzione ("pro quota") in capo al possessore di buona fede in senso oggettivo e non dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di separazione.

Cass. civ. n. 13009/2006

In tema di divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, il conguaglio posto a carico di uno dei condividenti inerisce alle operazioni divisionali e non costituisce un capo autonomo della sentenza dichiarativa della divisione. Ne consegue che l'importo del conguaglio diventa definitivo soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza e, pertanto, qualora quello fra i coniugi che ne sia onerato ne offra il pagamento all'altro e questi lo rifiuti, si debbano ritenere insussistenti i presupposti di un'offerta valida agli effetti dell'art. 1206 c.c., in quanto difetta la certezza della somma dovuta. (Sulla base di tale principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito d'appello che aveva confermato quella di primo grado, la quale aveva ritenuto valida l'offerta — nella specie eseguita in forma reale —, ed ha deciso nel merito rigettando la domanda di convalida dell'offerta).

Cass. civ. n. 11467/2003

La divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, conseguente allo scioglimento di essa, con effetto ex nunc, per annullamento del matrimonio o per una delle altre cause indicate nell'art. 191 c.c., si effettua in parti eguali, secondo il disposto del successivo art. 194, senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all'acquisto del bene in comunione, non essendo applicabile la disciplina della comunione ordinaria, nella quale l'eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice (art. 1101 c.c.), superabile mediante prova del contrario.

Cass. civ. n. 14791/2000

Il progetto divisionale di un bene immobile predisposto e voluto dalle parti e dichiarato esecutivo con ordinanza dal giudice istruttore, all'esito di un subprocedimento nel corso di un giudizio di separazione, ha natura di negozio, alla cui validità non osta il fatto che il bene ricada in comunione legale tra i coniugi, essendo rimessi alla discrezionalità e comune volontà di questi gli atti dispositivi sui beni in comunione e l'esistenza della comunione stessa; tale atto divisionale, che non presuppone la stipula di una convenzione matrimoniale, costituisce titolo per la trascrizione, unico requisito previsto essendo la forma scritta ai sensi dell'art. 1350 n. 11 c.c.

Cass. civ. n. 3350/1994

Il provvedimento col quale la Corte d'appello decide sul reclamo proposto avverso decisione del Tribunale per i minorenni, di costituzione, ai sensi dell'art. 194, secondo comma c.c., a favore di uno dei coniugi e in relazione alle necessità della prole ed all'affidamento di essa, dell'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro coniuge, avendo carattere definitivo e natura sostanziale di sentenza — in quanto diretto ad incidere sui diritti soggettivi, a seguito di un procedimento che, sebbene soggetto al rito camerale, ha struttura sostanzialmente contenziosa — è impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione.

La disposizione dell'art. 194, secondo comma c.c. — che attribuisce al tribunale per i minorenni il potere di costituire a favore di uno dei coniugi, in relazione alle necessità della prole ed all'affidamento di essa, l'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro coniuge —, pur nella genericità dell'indicazione dell'oggetto di siffatto vincolo, che può, quindi, legittimamente imporsi anche sulla quota di comproprietà della casa familiare, ha carattere eccezionale (con conseguente inapplicabilità fuori del caso espressamente considerato), in quanto si aggiunge ad un compiuto sistema di tutela approntato per i figli in presenza di crisi del vincolo matrimoniale fra i genitori, ed è destinata ad assicurare protezione esclusivamente alla prole minore, non nel contesto dell'adempimento dell'obbligo di mantenimento, ma per soddisfazione di esigenze, anche soltanto morali, che caratterizzano la posizione del soggetto protetto rispetto al bene considerato e che sarebbero compromesse dalla divisione dei beni della comunione legale. Il detto provvedimento giudiziale costitutivo dell'usufrutto ha, pertanto, efficacia limitata nel tempo, non potendo essa eccedere la data di compimento della maggiore età dei figli per la cui tutela siffatto vincolo reale è stato costituito.

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Consulenze legali
relative all'articolo 194 Codice Civile

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Anonimo chiede
lunedì 09/10/2023
“Buongiorno
Nel gennaio 2009 ho sciolto la comunione dei beni con la mia ex moglie con l’omologa della separazione consensuale. Nel 2003 però io avevo contratto mutuo per la nuda proprietà di un appartamento (non casa coniugale) dove anche la mia ex moglie aveva rilasciato la fideiussione con ipoteca sulla sua nuda proprietà. Io ho continuato a pagare il mutuo finché ho potuto da solo fino al 2015.
Vorrei sapere se la mia ex moglie debba pagare il mutuo a metà visto che, anche se sono solo io il firmatario e lei garante con ipoteca contraendo il debito in comunione dei beni con lei consenziente, lei debba pagarlo perché ricaduto il debito nella comunione dei beni e/o magari si profila un ingiusto arricchimento in quanto dal gennaio 2009 si è sciolta la comunione dei beni e quindi anche il debito grava a quell’epoca su tutti i proprietari dell’immobile.
Grazie”
Consulenza legale i 31/10/2023
Per rispondere al suo quesito innanzitutto occorre fare una premessa. In caso di comunione legale dei coniugi, i beni acquistati dopo il matrimonio cadono in comunione e sono considerati di proprietà comune dei coniugi, eccetto alcuni indicati dalla legge (art. 179 c.c.). Nel caso di specie, l’immobile acquistato in regime di comunione dei beni è rientrato nel patrimonio indiviso dei coniugi.
La separazione personale è una delle cause di scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi previste dall’art. 191 c.c.. In caso di contitolarità di beni acquistati prima della separazione, si procede ai sensi dell’ art. 194 c.c. alla divisione dei beni della comunione, che si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo (ossia, debiti e crediti). Da notare che, quando all’atto del matrimonio una coppia decide di adottare il regime comunione dei beni, i debiti pregressi gravano sui coniugi anche dopo la separazione e il divorzio.
Difatti, l'espressione «ripartendo... il passivo» dell’art. 194 c.c. va intesa nel senso che l'accollo di debiti ad uno dei coniugi o la ripartizione pro quota non possono che avere efficacia interna (ossia, nei rapporti tra i coniugi), in quanto verso i terzi la disciplina della responsabilità di cui agli artt. 186 ss. conserva efficacia.
Infatti, secondo l’art. 186 c.c., titolato “Obblighi gravanti sui beni della comunione”, «I beni della comunione rispondono: a) di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell'acquisto».
Difatti, le vicende personali dei coniugi (separazione-divorzio) non incidono sul regime di responsabilità (art. 186 c.c.) con riguardo ai debiti sorti prima dello scioglimento della comunione. Anche in queste circostanze, la separazione e il divorzio non modificano le vicende: sia il marito, sia la moglie continuano ad essere responsabili solidali del debito contratto in comunione.

Ciò premesso come regola generale, veniamo al caso specifico.
La vicenda personale della separazione coniugale e del successivo scioglimento della comunione legale del 2009 non incide sul contratto di mutuo con garanzia ipotecaria stipulato nel 2003 (che vede Lei come mutuatario e datore d’ipoteca e la sua ex moglie come terza datrice di ipoteca). Infatti, lo scioglimento della comunione legale non muta le circostanze del contratto di mutuo, né tantomeno lo rende invalido o inefficace.
Il mutuo ipotecario è un mutuo (art. 1813 c.c.) che viene erogato a favore di un soggetto (mutuatario), il quale non solo deve impegnarsi a effettuare la restituzione a rate della somma che gli viene prestata, ma deve concedere favore della banca un’ipoteca su un immobile di sua proprietà.
L’ipoteca costituisce una garanzia ulteriore rispetto a quella costituita dal patrimonio del mutuatario, reale del mutuo. L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale l’ipoteca è costituita, e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione (art. 2808 c.c.). L’ipoteca presenta il carattere dell’indivisibilità (art. 2809 c.c.): ossia, viene iscritta sull’intero immobile e non su una quota di esso, ad esempio il 50% appartenente a ciascuno dei due coniugi.
Il coniuge contraente del relativo contratto di mutuo rimane vincolato agli obblighi di pagamento nascenti dal mutuo. In parole povere, la regola è la seguente: il debito con la banca resta in capo a chi ha firmato il contratto di mutuo.
Pertanto, per quanto riguarda il primo quesito sottoposto, essendo Lei l’unico intestatario del contratto di mutuo, dovrà continuare a pagare le rate del finanziamento alla banca, così come da contratto di mutuo da Lei sottoscritto nel 2003.
Per l’istituto di credito, le vicende della coppia non incidono in quanto il contratto di mutuo rimane valido.

Stesso discorso è valido per la posizione dell’ex coniuge che risulta da contratto di mutuo come terzo datore di ipoteca.
Questo termine indica, in caso di mutuo ipotecario, la persona che dispone della proprietà dell’immobile e accetta che, su di essa, venga iscritta ipoteca, a garanzia di un debito altrui e a favore del mutuatario. Insomma, si fa garante del mutuo.
Tuttavia, il rischio, che si assume, è molto alto e consiste nel poter subire il pignoramento o l'espropriazione dell'immobile di cui è proprietario, nel caso in cui il mutuatario non dovesse rimborsare regolarmente il debito assunto.
Da notare che la figura giuridica del terzo datore d'ipoteca è diversa da quella del fideiussore (art. 1936 c.c.). Difatti, se sia il terzo datore che il fideiussore garantiscono il debito altrui; però, il fideiussore risponde di detto debito con tutti i propri beni (quindi vi è responsabilità personale), il terzo datore solo con il bene su cui è costituita l’ipoteca (l’immobile in comproprietà nel caso di specie).
Quindi, per tornare al fatto in concreto, in caso di mancato pagamento del mutuatario il terzo datore risponderà solo con il bene ipotecato e non con il suo patrimonio personale.

Infine, sulla base di quanto detto, con riferimento all’ulteriore quesito da Lei formulato, non si profila nessun indebito arricchimento per il periodo dal 2009 al 2015 (cioè, dallo scioglimento della comunione legale al 2015) per l’ex coniuge in quanto non essendo cointestataria del mutuo non ha mai assunto l’onere del pagamento. Ciò era valido in costanza di matrimonio e rimane tale anche dopo la separazione.

ROCCO G. T. chiede
giovedì 23/02/2017 - Puglia
“Comunione dei beni con mia moglie. Anno 2000 viene dichiarata incapace di intendere e di volere per sindrome apallica.
2005 costituisco srl uninominale cap. sociale 10.000,00 euro. 2007 sentenza separazione dei beni.
2014 mia moglie muore. La srl va divisa con gli eredi? e quale parte?”
Consulenza legale i 01/03/2017
Ai sensi dell’art. 193 c.c., la separazione giudiziale dei beni può essere richiesta, tra l’altro, in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi e l’effetto dichiarativo di scioglimento della comunione retroagisce fino al momento della domanda.
In altre parole, la separazione dei beni si intenderà pienamente efficace non a far data dalla pronuncia della sentenza, bensì a far data dal deposito della domanda in cancelleria.

Ai sensi del successivo art. 194 c.c., la divisione dei beni della comunione si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo.
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che, una volta sciolta la comunione legale, si sia instaurata tra i coniugi la comunione ordinaria ex artt. 1100 ss. c.c., nella quale l’eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice (art. 1101 c.c.), superabile mediante prova del contrario (così C. Cass., sez. I, 24/7/2003 n. 11467).

Nel caso di specie, abbiamo una società di capitali unipersonale in cui unico socio risulta essere il coniuge superstite. Le quote della società a responsabilità limitata, essendo di esclusiva titolarità Sua e non di Sua moglie, non rientrano tra i beni della comunione – e pertanto non saranno oggetto di divisione ereditaria – proprio per il motivo sopra esposto: Lei ne è titolare esclusivo – sebbene sia stata creata dopo il matrimonio – e pertanto Sua moglie non era contitolare della Sua quota, che non è caduta in comunione. Si sottolinea inoltre come – laddove la SRL fosse stata costituita in epoca successiva al deposito della domanda di separazione giudiziale dei beni – tale società sarebbe comunque di Sua esclusiva proprietà, non essendo caduta in comunione legale, posto che l’art. 193 c.c. dispone che la separazione giudiziale ha efficacia ex tunc, dal deposito della domanda (come visto sopra).