Cass. civ. n. 7657/2019
Nell'impiego pubblico contrattualizzato, la sospensione facoltativa del dipendente sottoposto a procedimento penale, in quanto misura cautelare e interinale, diviene priva di titolo qualora all'esito del procedimento penale quello disciplinare non venga attivato. Il diritto del dipendente alla "restitutio in integrum", che ha natura retributiva e non risarcitoria, sorge ogni qualvolta la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tali da non giustificare la sospensione sofferta. L'onere di attivarsi per consentire la tempestiva ripresa del procedimento disciplinare, una volta definito quello penale, grava sull'amministrazione e non sul dipendente pubblico, sicché non rileva, né può far escludere il diritto al pagamento delle retribuzioni non corrisposte durante il periodo di sospensione facoltativa, la circostanza che l'incolpato non abbia tempestivamente comunicato al datore di lavoro la sentenza passata in giudicato di definizione del processo penale pregiudicante.
Cons. Stato n. 2916/2011
Di regola, la decorrenza del provvedimento disciplinare di destituzione dal pubblico impiego va fissata al momento dell'inizio della sospensione cautelare. Tale principio si fonda sulla lettera e sulla ratio degli artt. 85, 91 e 92 del T.U. n. 3/1957, poiché la ricostruzione della carriera è prevista per i casi previsti dagli articoli 91 e 92 del testo unico e non ha luogo nel ben diverso caso in cui il procedimento disciplinare vi sia e si concluda col provvedimento di destituzione, poiché opera il principio di non contraddizione, per il quale non spettano certo emolumenti arretrati al dipendente che legittimamente sia stato dapprima sospeso e poi destituito dal servizio; il provvedimento di sospensione dal servizio (per la sua natura cautelare e non sanzionatone) produce effetti provvisori destinati ad essere rimossi e sostituiti dal provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, sicché vi è la naturale retrodatazione della cessazione del rapporto, in caso di destituzione.
Cons. Stato n. 1505/2011
Nel rapporto di pubblico impiego la sospensione cautelare del dipendente, quale ne sia il tipo, debba essere sempre sostituita da un diverso titolo giuridico costituito dal provvedimento disciplinare; sicché la sorte del provvedimento cautelare è rimessa alla iniziativa dell'amministrazione, cui spetta il potere di valutare, anche ai fini della eventuale destituzione, il comportamento del dipendente, onde regolare in maniera definitiva l'assetto degli interessi provvisoriamente determinati dalla sospensione cautelare, ben potendo retroagire gli effetti della destituzione al momento della sospensione, anche dopo le dimissioni o il collocamento in quiescenza del dipendente, per evitare pericolose richieste di restituito in integrum.
Cass. civ. n. 23627/2010
In tema di pubblico impiego privatizzato e con riferimento alla sospensione cautelare di personale docente del Ministero della Pubblica Istruzione, le regole da applicare in forza della disciplina transitoria di cui all'art. 69, comma 1, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (alla data del 4 settembre 2000), sono quelle dettate dal C.C.N.L. 4 agosto 1995, comparto Scuola personale non dirigente, parte normativa 1994/1997 e parte economica 1994/1995 che, all'art. 62, ha integralmente regolato l'istituto della sospensione cautelare in caso di procedimento penale, così rendendo inapplicabile la previgente disciplina legislativa. Ne consegue che, ai sensi del secondo comma dell'art. 62 cit. e fuori dall'ipotesi della sospensione obbligatoria disciplinata dal primo comma del medesimo articolo, il dipendente può essere sospeso dal servizio solo quando sia stato rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da comportare, se accertati, l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento ai sensi dell'art. 60, commi 7 e 8.
Cons. Stato n. 8121/2010
La norma dell'art. 9, della legge n. 19 del 1990 ("Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti") ha portata estensiva a tutto il settore del pubblico impiego, risultando applicabile anche al personale della Polizia di Stato esclusivamente sul presupposto di procedimento disciplinare avviato a seguito di sentenza irrevocabile di condanna.
Cass. civ. n. 5115/2010
In tema di licenziamento disciplinare dei pubblici dipendenti a seguito di sentenza penale di patteggiamento, non si applica la disciplina del procedimento disciplinare prevista, in particolare, quanto ai termini per l'instaurazione e la conclusione del procedimento, dall'art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990, sia per la particolare connotazione del procedimento penale che si conclude con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, sia per l'inapplicabilità, a far data dalla stipulazione del primo contratto collettivo, della disciplina generale e speciale del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (artt. da 100 a 123 del D.P.R. n. 3 del 1957 e disposizioni ad esso collegate) in seguito all'entrata in vigore degli artt. 72 e 74 del D.Lgs. n. 29 del 1993 (di attuazione della legge n. 421 del 1992, di privatizzazione del pubblico impiego), e all'abrogazione di tutte le disposizioni in materia di sanzioni disciplinari incompatibili con il nuovo regime giuridico del lavoro pubblico.
Cons. Stato n. 19/2010
Nel pubblico impiego il provvedimento di sospensione cautelare è privo di un vero e proprio carattere sanzionatorio e possiede ratio e presupposti ben diversi da quelli che caratterizzano il provvedimento disciplinare; esso può essere adottato con valutazione discrezionale della P.A. circa il comportamento posto in essere dal proprio dipendente, valutazione che è necessariamente condizionata da criteri di urgenza e celerità tali da consentire la preminente esigenza di tutelare gli interessi di rilievo pubblico coinvolti e il prestigio dell'amministrazione che può essere compromesso dall'attività del dipendente.
Cons. giust. amm. Sicilia n. 1070/2009
L'art. 96 del T.U. n. 3 del 1957 non si applica alle sanzioni disciplinari inflitte al pubblico dipendente in conseguenza di procedimento penale conclusosi con sentenza di condanna, ne consegue che non può essere riconosciuto a costui il diritto ad ottenere la restitutio in integrum, relativamente al periodo per il quale il medesimo sia stato sottoposto a sospensione cautelare dall'impiego in misura superiore rispetto alla sanzione disciplinare inflittagli.
Cass. civ. n. 9458/2009
In tema di procedimento disciplinare a carico dei dirigenti pubblici del comparto Regioni ed autonomie locali, nel regime successivo alla contrattualizzazione del relativo rapporto, l'attivazione di detto procedimento, o la riattivazione del procedimento sospeso, all'esito del processo penale, quale scelta consentita all'Amministrazione, incontra un limite non nel quinquennio di durata massima della sospensione cautelare (che importa solo la ripresa del servizio), bensì nella cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuti limiti di età, essendo la attivazione del procedimento disciplinare in tal caso sproporzionata rispetto all'esigenza di regolamentazione economica dei rapporti tra le parti per il periodo di sospensione cautelare (che le parti stesse possono operare con ordinari strumenti di accertamento della originaria sussistenza o mancanza dei relativi presupposti).
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In materia di lavoro pubblico c.d. "privatizzato" dei dirigenti, a seguito dell'entrata in vigore del primo contratto collettivo dell'area dirigenziale del comparto Regioni ed autonomie locali (stipulato in data 10 aprile 1996) e dell'abrogazione dell'art. 117 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (che stabiliva il divieto di avvio di un procedimento disciplinare in pendenza di quello penale), all'Amministrazione è data facoltà in ogni tempo di scegliere se avviare il procedimento disciplinare o attendere l'esito del giudizio penale. Ne consegue che la sospensione cautelare disposta in correlazione con un procedimento disciplinare già iniziato non perde efficacia ove l'Amministrazione decida di sospendere il procedimento disciplinare già avviato per attendere l'esito del giudizio penale, in quanto la sospensione mantiene la sua strumentalità rispetto al procedimento disciplinare riattivabile all'esito di quello penale.
Cass. civ. n. 4932/2007
In tema di procedimento disciplinare a carico dei pubblici dipendenti, nel caso di fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 97 del 2001, che all'art. 10 comma terzo, dopo la sentenza n. 186 del 2004 della Corte Costituzionale, stabilisce che i suddetti procedimenti devono essere instaurati entro 90 giorni dalla comunicazione all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare della sentenza di condanna penale del dipendente, il termine per l'avvio del procedimento decorre dalla sentenza di condanna solo qualora i fatti siano stati conosciuti dall'amministrazione a seguito della comunicazione di tale sentenza e non anche ove anteriormente a tale data l'amministrazione ne avesse già avuto conoscenza, atteso che altrimenti il principio di immediatezza della contestazione, che è elemento costitutivo della potere di recesso disciplinare del datore di lavoro, subirebbe una deroga ingiustificabile dopo l'assoggettamento alle regole proprie dei rapporti di lavoro privati, consentendone l'indiscriminato differimento, contrariamente a quanto si desume dall'art. 5 della legge citata, che nel prevedere la sospensione del procedimento disciplinare in relazione alla pendenza del procedimento penale, presuppone che delle vicende disciplinarmente rilevanti l'amministrazione sia venuta a conoscenza già prima dell'avvio del procedimento penale.
Corte cost. n. 394/2002
L'obbligo di rivalutare, in sede disciplinare, fatti, già considerati in sede penale, vale anche per le sentenze di patteggiamento, pur dopo la equiparazione delle stesse a decisioni di condanna operate dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, ritenuta dalla giurisprudenza costituzionale e da quella della Cassazione, come norma innovativa.
Cons. Stato n. 847/2002
I fatti accertati con la sentenza penale hanno come termine di valutazione le norme del codice penale, mentre quelli da accertare in sede disciplinare sono soggetti al disposto delle norme speciali dettate per stabilire i doveri dei pubblici dipendenti, poi, la qualificazione degli stessi non sempre è sovrapponibile, nel senso cioè che un fatto penalmente irrilevante può avere delle conseguenze disciplinari anche di notevole incidenza sul rapporto d'impiego.