Corte cost. n. 174/2019
Il divieto di retroattività della legge si erge a fondamentale valore di civiltà giuridica, soprattutto nella materia penale (art. 25 Cost). In altri ambiti dell'ordinamento il legislatore è libero di emanare disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, ma la retroattività deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata. I limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla salvaguardia dei principi costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza dell'ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
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In riferimento agli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), il quale impedisce di valutare, ai fini della liquidazione dell'indennità di buonuscita, il servizio «prestato con rapporto a tempo determinato di diritto privato»; tale disposizione, infatti, è essenzialmente volta a regolare fattispecie pregresse con efficacia retroattiva.
Corte cost. n. 248/2018
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 e dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 4, 24, 35, primo comma, 97, quarto comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione alla clausola 4, punto 1, e alla clausola 5, punti 1 e 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEP sul lavoro a tempo determinato, e all'art. 4, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione Europea, nella parte in cui non consentono la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato per il personale sanitario, qualora i contratti a termine superino i trentasei mesi di servizio anche non continuativo con mansioni equivalenti presso la stessa azienda sanitaria.
Cass. civ. n. 16363/2015
In caso di illegittima apposizione del termine ad un contratto di lavoro nel settore pubblico, preclusa la conversione in un rapporto a tempo indeterminato, il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni subiti. In merito al criterio da utilizzare per la loro determinazione, sussiste, tuttavia, un contrasto giurisprudenziale, che rende necessario un pronunciamento delle Sezioni Unite.
Cass. civ. n. 4685/2015
Qualora sia dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro di un dipendente di ente pubblico economico sottoposto a tutela o vigilanza della Regione Sicilia, ai sensi della legge reg. Sicilia 19 agosto 1999, n. 18 (applicabile "ratione temporis", prima dell'entrata in vigore della legge reg. Sicilia 5 novembre 2004, n. 15), l'instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non è condizionata dall'obbligo di espletare un pubblico concorso o procedure selettive.
Cass. civ. n. 9603/2011
L'art. 32, co. 5, della legge n. 183 del 2010 (c.d. collegato lavoro) è applicabile retroattivamente a fattispecie maturate prima della sua entrata in vigore (ai sensi del co. 7 della medesima disposizione) solo in quanto la nuova disciplina sia pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso ed attenga alle questioni censurate con l'impugnazione, che deve aver avuto riguardo pertanto alle conseguenze patrimoniali dell'accertata nullità del termine.
Cass. civ. n. 1778/2011
In materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione - tendenzialmente volti ad eliminare il precariato creatosi per assunzioni in violazione dell'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 - sono effettuati nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno e sono suscettibili di derogare alle normali procedure di reclutamento limitatamente al carattere - riservato e non aperto - dell'assunzione, ma non anche alla necessità del possesso del titolo di studio ove previsto per la specifica qualifica, né al preventivo svolgimento di procedure selettive, che, ad eccezione del personale assunto obbligatoriamente o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento, sono necessarie nell'ipotesi in cui la stabilizzazione riguardi dipendenti che non abbiano già sostenuto "procedure selettive di tipo concorsuale''. Ne consegue che l'amministrazione, nel caso in cui il personale da stabilizzare abbia già superato procedure concorsuali, non deve bandire alcun concorso ma solo dare avviso dell'avvio della relativa procedura e della possibilità per gli interessati di presentare la domanda, mentre, ove manchi tale presupposto e il numero dei posti oggetto della stabilizzazione sia inferiore a quello dei soggetti aventi i requisiti richiesti, può fare ricorso ad una selezione per individuare il personale da assumere, restando devolute le relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Cass. civ. n. 65/2011
L'applicazione retroattiva dell'art. 32, co. 5, della legge n. 183 del 2010 trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria conseguente alla impugnazione del termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro, rilevando che l'impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine non impedisce la formazione del giudicato sul capo di domanda relativo al relativo risarcimento del danno.
Cass. civ. n. 14350/2010
In materia di pubblico impiego, un rapporto di lavoro a tempo determinato non è suscettibile di conversione in uno a tempo indeterminato, stante il divieto posto dall'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, il cui disposto è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 98 del 2003) e non è stato modificato dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, contenente la regolamentazione dell'intera disciplina del lavoro a tempo determinato. Ne consegue che, in caso di violazione di norme poste a tutela dei diritti del lavoratore, in capo a quest'ultimo, essendogli precluso il diritto alla trasformazione del rapporto, residua soltanto la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Cass. civ. n. 9555/2010
Il rapporto fra l'INAIL ed i portieri addetti alla vigilanza e custodia di edifici di proprietà dell'istituto, pur essendo di pubblico impiego, è disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto collettivo di natura privatistica che lo sottrae all'operatività della disciplina pubblicistica, di cui all'art. 36 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 22, comma 8, del D.Lgs. n. 80 del 1998, che esclude, in caso di violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime, in quanto la natura dell'ente datore di lavoro non può ritenersi circostanza autonomamente sufficiente per escludere la conversione di contratti a tempo determinato, con termini nulli, in contratto a tempo indeterminato.
Cass. civ. n. 23202/2009
In tema di lavori socialmente utili, la P.A., mentre agisce nell'esercizio della propria discrezionalità e con poteri autoritativi in ordine alla scelta del progetto ed all'individuazione delle professionalità occorrenti, è viceversa vincolata ai criteri predeterminati dalla legge ovvero, mediante procedure selettive non concorsuali, dagli organi deputati (nella specie, una commissione costituita presso la Sezione circoscrizionale del lavoro) a fissare parametri previsti per il collocamento presso le P.A. ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. n. 165 del 2001, sicché la posizione del privato che contesti la violazione di tali criteri obbiettivi e predeterminati (come, nella specie, la mancata attribuzione della detrazione per figli a carico) è di diritto soggettivo e la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, senza trascurare che per l'assunzione opera anche l'art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che devolve al giudice ordinario le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, nelle quali rientrano le assunzioni operate con le modalità previste dall'art. 35 cit.
C. giust. UE n. 378/2009
La clausola 5, n. 1, lett. a), dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, figurante nell'allegato alla direttiva 1999/70, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa si oppone a che una normativa nazionale venga applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in un modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore pubblico sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola per la sola ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni di legge che ne consentono il rinnovo per soddisfare talune esigenze provvisorie, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durevoli. Per contro, la medesima clausola non si applica nel caso di un primo o unico contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato. L'attuazione dell'accordo quadro ad opera di una normativa nazionale non può comportare la riduzione della tutela in precedenza applicabile nell'ordinamento giuridico interno ai lavoratori a tempo determinato ad un livello inferiore rispetto a quello determinato dalle disposizioni di tutela minima previste dall'accordo quadro medesimo. In particolare, la clausola 5, n. 1, dell'accordo quadro impone che detta normativa preveda, per quanto riguarda l'utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, misure effettive e vincolanti di prevenzione di un siffatto utilizzo abusivo, nonché sanzioni aventi un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di tali misure preventive. Spetta quindi al giudice del rinvio verificare che i suddetti requisiti siano soddisfatti.
Cass. civ. n. 5217/2009
Nel regime anteriore al D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, le federazioni sportive nazionali presentavano un duplice aspetto, l'uno di natura pubblicistica, riconducibile all'esercizio delle funzioni pubbliche proprie del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), l'altro di natura privatistica, attinente alle attività proprie delle federazioni medesime; in coerenza con tale natura, il rapporto di lavoro del dipendente della Federazione, che svolga mansioni di carattere (non tecnico, ma) amministrativo presso la struttura centrale dell'organizzazione, ha natura pubblicistica, essendo i caratteri di detta attività esattamente identici a quelli propri dei lavoratori legati al CONI da rapporto di pubblico impiego e comandati o distaccati presso le federazioni sportive (che del CONI costituiscono organi), ai sensi dell'art. 14, terzo comma, della legge 23 marzo 1981, n. 91. Ne consegue che la costituzione di fatto di tale rapporto è in violazione delle norme imperative che presiedono alla costituzione dei rapporti di lavoro pubblici, derivandone l'inapplicabilità della tutela legale relativa ai licenziamenti illegittimi.
Cass. civ. n. 12964/2008
A seguito dell'entrata in vigore del D.L. n. 9 del 1993, convertito con modificazioni nella legge n. 67 del 1993, le forme di assunzione alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni vengono tipizzate nelle tre forme del concorso pubblico, dell'avviamento dal collocamento e delle assunzioni obbligatorie, con nullità dei rapporti di lavoro diversamente costituiti e mero diritto del lavoratore al risarcimento del danno; ne deriva che non è applicabile alle pubbliche amministrazioni, le quali affidino in appalto l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'imprenditore, il disposto dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960, che prevede, per il caso di violazione del divieto di interposizione di manodopera, la costituzione del rapporto di lavoro con l'interponente.
Cass. civ. n. 11161/2008
L'art. 36, comma 8, del D.Lgs. n. 29 del 1993 (ora trasfuso nell'art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001), secondo il quale la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni (nella specie, una azienda AUSL) non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si riferisce a tutte le assunzioni avvenute al di fuori di una procedura concorsuale, operando anche nei confronti dei soggetti che siano risultati solamente idonei in una procedura selettiva ed abbiano, successivamente, stipulato con la P.A. un contratto di lavoro a tempo determinato fuori dei casi consentiti dalla contrattazione collettiva, dovendosi ritenere che l'osservanza del principio sancito dall'art. 97 Cost. sia garantito solo dalla circostanza che l'aspirante abbia vinto il concorso. Né tale disciplina viola - come affermato dalla sentenza n. 89 del 2003 della Corte Costituzionale - alcun precetto costituzionale in quanto il principio dell'accesso mediante concorso rende palese la non omogeneità del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze di datori privati e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare, alla violazione delle norme imperative, conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali (in luogo della conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati); né contrasta, infine, con il canone di ragionevolezza, avendo la stessa norma costituzionale individuato nel concorso, quale strumento di selezione del personale, lo strumento più idoneo a garantire, in linea di principio, l'imparzialità e l'efficienza della pubblica amministrazione.
Cass. civ. n. 2277/2008
In tema di lavori socialmente utili la P.A., mentre agisce nell'esercizio della propria discrezionalità e con poteri autoritativi in ordine alla scelta del progetto ed all'individuazione delle professionalità occorrenti, è viceversa vincolata ai criteri predeterminati dalla legge nella scelta dei singoli lavoratori, anche quando deve eccezionalmente procedere alla assunzione (ai sensi dell'art. 78, comma 6, della legge n. 388 del 2000) o alla stabilizzazione degli stessi, dovendo applicare le graduatorie delle liste di collocamento. Conseguentemente, la posizione del privato che contesti la violazione di tali criteri è di diritto soggettivo e la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, senza trascurare che per l'assunzione opera anche l'art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che devolve al giudice ordinario le controversie concernenti l'"assunzione al lavoro", nelle quali rientrano le assunzioni tramite le liste di collocamento (art. 35 dello stesso D.Lgs.).
C. giust. UE n. 180/2006
L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un'altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.
Cass. civ. n. 18276/2006
In tema di assunzioni temporanee alle dipendenze di pubbliche amministrazioni con inserimento nell'organizzazione pubblicistica, anche per i rapporti di lavoro di diritto privato da esse instaurati trovano applicazione le discipline specifiche che escludono la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, (come è stato di recente ribadito in sede di disciplina generale dall'art. 36 del D.Lgs n. 165 del 2001), senza che trovi applicazione la legge n. 230 del 1962, atteso che l'art. 97 della Costituzione, che pone la regola dell'accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, ha riguardo non già alla natura giuridica del rapporto ma a quella dei soggetti, salvo che una fonte normativa non disponga diversamente in casi eccezionali, con il limite della non manifesta irragionevolezza della discrezionalità del legislatore.
C. giust. UE n. 212/2006
L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che, qualora l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato non preveda nel settore considerato altra misura effettiva per evitare e, se del caso, sanzionare l'utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, il detto accordo quadro osta all'applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare «fabbisogni permanenti e durevoli» del datore di lavoro e che devono essere considerati abusivi.
Cass. civ. n. 14381/2002
In caso di illegittima apposizione del termine al contratto, la disdetta del datore di lavoro non è equiparabile a licenziamento, in quanto in tale ipotesi le prestazioni cessano in ragione dell'esecuzione che le parti danno ad una clausola nulla; conseguentemente non trova applicazione l'art. 18 SL ed il lavoratore ha diritto alle retribuzioni successive alla cessazione solo qualora provveda ad offrire la prestazione, essendo a tal fine insufficiente la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro.