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Articolo 481 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità

Dispositivo dell'art. 481 Codice Penale

Chiunque, nell'esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità(1), attesta falsamente, in un certificato(2), fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 51 a euro 516.

Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.

Note

(1) Il riferimento è dunque ai soggetti di cui all'art. 359, con riferimento in particolar modo alle professioni sanitarie e forensi.
(2) Tale certificazioni non possono essere assimilate a quelle di cui agli artt. 477 e 480, quindi si tratta di scritture private, cui il legislatore ha accordato una tutela rafforzata.

Ratio Legis

La norma è diretta a tutelare la fiducia dei consociati nei riguardi degli atti pubblici, specificatamente in ordine alla garanzia di veridicità delle attestazioni.

Spiegazione dell'art. 481 Codice Penale

A differenza di quanto previsto dal delitto di falsità materiale, che punisce la falsa formazione di un atto o l'alterazione di un atto vero, il delitto in esame punisce la falsità ideologica, ovvero la falsa attestazione, da parte del pubblico ufficiale, dei fatti avvenuti in sua presenza, delle dichiarazioni raccolte o dei dì fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

Così, più in generale, si ha falsità materiale quando sussista una divergenza tra autore apparente ed autore materiale del documento o quando il documento sia stato alterato dopo la sua formazione, mentre si ha l'opposta figura del falso ideologico quando nell'atto sono contenute attestazioni o dichiarazioni non vere o non accadute nella realtà fenomenica.

La norma in esame punisce dunque la falsa attestazione da parte dell'esercente un servizio di pubblica necessità (v. art. 359) di fatto o valutazioni in realtà non accadute o accadute in maniera difforme, oppure non accadute in sua presenza.

L'ultimo comma prevede una particolare forma di circostanza aggravante, nel senso che si dispone solamente che la pena della multa e della reclusione vadano applicate entrambe, e non in via alternativa, qualora il fatto sia commesso a scopo di lucro, intendendosi con ciò che il lucro deve provenire proprio dalla falsa attestazione, e non dalla mera e consueta attività professionale del soggetto.

Massime relative all'art. 481 Codice Penale

Cass. pen. n. 47666/2022

Integra il delitto di falsità ideologica in certificati, di cui all'art. 481 cod. pen., la condotta di un professionista iscritto all'Albo che presenti all'Ufficio del catasto una dichiarazione attestante lo stato di fatto di un bene immobile con allegata planimetria riproducente falsamente lo stato dei luoghi, posto che tale attestazione, per la particolare competenza del soggetto da cui proviene e per i doveri deontologici su di esso gravanti, è destinata a provare la verità di quanto rappresentato, consentendo all'Amministrazione di potervi fare affidamento per l'aggiornamento degli archivi e dei registri tenuti.

Cass. pen. n. 15272/2022

Integra il delitto di falsità ideologica in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità la condotta del medico, operante in una struttura sanitaria privata, che rediga il "foglio unico di terapia" omettendo l'indicazione di taluni farmaci e modificando i dosaggi relativi ad altri medicinali effettivamente somministrati al paziente, in quanto ha natura certificativa l'atto con cui il sanitario non si limita ad effettuare una scelta terapeutica o ad avallare le indicazioni terapeutiche di altri medici, ma ne dispone la concreta esecuzione da parte del personale della struttura in cui opera.

Cass. pen. n. 30232/2021

In caso di dichiarazione di fine lavori a firma del committente e del progettista che attesti la conformità dei lavori eseguiti al progetto approvato, non è configurabile il reato di falsità ideologica in certificati, non potendosi tale dichiarazione qualificare come certificato, in mancanza di una specifica norma giuridica che attribuisca a tale atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato.

Cass. pen. n. 6348/2021

Integra il delitto di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità la falsa attestazione da parte dell'avvocato dell'autenticità della sottoscrizione della procura "ad litem".

Cass. pen. n. 5896/2020

In tema di falsità in atti, ricorre il cosiddetto "falso innocuo" nei casi in cui l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o l'alterazione (nel falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l'innocuità essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto.

Cass. pen. n. 27988/2020

Il sequestro presso lo studio del difensore, sebbene indagato, di carte e documenti relativi all'oggetto della difesa, è possibile solo qualora essi costituiscano corpo del reato. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento di conferma del sequestro probatorio presso lo studio del difensore, indagato per aver falsificato la sottoscrizione del cliente in calce all'istanza di ammissione al gratuito patrocinio, di tutta la documentazione relativa al procedimento penale al quale tale istanza si riferiva). (Annulla con rinvio, TRIB. LIBERTA' PORDENONE, 06/03/2020)

Cass. pen. n. 28847/2020

Integra il reato di falsità ideologica in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, la condotta del medico che prescriva sul proprio ricettario personale (cd. "ricetta bianca") un farmaco senza accertare la sussistenza della specifica condizione patologica che ne giustifichi la somministrazione, in quanto, pur non essendo necessaria la esplicitazione della anamnesi e della diagnosi correlata alla prescrizione, tale ricetta ha natura attestativa del diritto dell'interessato alla prestazione farmacologica a cagione del suo stato di malattia. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO TORINO, 20/12/2019)

Cass. pen. n. 45451/2019

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, nella parte in cui non prevede, fra i reati da depenalizzare, quello di cui all'art. 481 cod. pen., in relazione agli artt. 25 e 76 Cost., in quanto il criterio direttivo di cui all'art. 2, comma 3, lett. a), n. 1 della legge delega 28 aprile 2014, n. 67, ha inteso escludere dalle fattispecie da depenalizzare quelle ipotesi di falsità che non rispondono ad interessi meramente privati fra le quali è annoverabile il delitto in questione, ed in relazione all'art. 3 Cost., in quanto non sussiste alcuna disparità di trattamento, per la diversità delle situazioni oggetto di tutela, rispetto all'avvenuta depenalizzazione dell'art. 485 cod. pen.

Cass. pen. n. 20270/2019

Integra il reato di cui all'art. 481 cod. pen. la falsificazione della sottoscrizione sui c.d. 'fogli di prescrizione interna' redatti da chi esercita un servizio medico ospedaliero dopo la visita dei pazienti e contenenti sia le diagnosi che le prescrizioni farmacologiche, atteso che essi, presupponendo un'attività diretta di accertamento da parte di chi li emette, hanno natura certificativa. (Conf. Sez. 5, n. 2659 del 1981, Rv. 152705).

Cass. pen. n. 39699/2018

Commette il delitto di falsità ideologica in certificati, previsto dall'art. 481 cod. pen., il professionista che redige la relazione tecnica, allegata alla domanda di rilascio del permesso di costruire in accertamento di conformità, falsamente attestante la conformità dell'intervento alla normativa edilizia ed urbanistica, in quanto tale attestazione, provenendo da soggetto qualificato, ha la funzione di fornire un'esatta informazione alla pubblica amministrazione, pur non trattandosi di un'attestazione obbligatoriamente prevista dal procedimento amministrativo di riferimento, destinata a provare la verità di quanto in essa rappresentato.

Cass. pen. n. 29251/2017

Il reato di cui all'art. 20, comma 13, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, introdotto dalla legge 12 luglio 2011 n. 106, che punisce le false dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni circa l'esistenza dei requisiti e presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 cod. pen.) e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione non siano esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell'autore della dichiarazione, ma giudizi.

Cass. pen. n. 21159/2017

Le false attestazioni contenute in elaborati allegati alla relazione di asseverazione integrata nella dichiarazione di inizio di attività edilizia (DIA) integrano il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.), in quanto la citata relazione ha natura di certificato.

Cass. pen. n. 3067/2017

I delitti contro la fede pubblica, per la loro natura plurioffensiva, tutelano non solo l'interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello dei soggetti privati nella cui sfera giuridica l'atto sia destinato a incidere, con la conseguenza che essi sono legittimati a costituirsi parte civile. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto il comune danneggiato dal reato e legittimato a costituirsi parte civile in relazione al reato di false attestazioni contenute nella relazione di accompagnamento ad una dichiarazione di inizio di attività edilizia).

Cass. pen. n. 41167/2016

È configurabile il concorso tra i reati di truffa e falsità ideologica, di cui all'art. 481 cod. pen., stante la diversa natura dell'oggetto giuridico rispettivamente tutelato dalle due norme, l'uno, attinente al patrimonio e l'altro, alla fede pubblica.

Cass. pen. n. 27699/2010

In tema di opere soggette a presentazione di denuncia di inizio attività (DIA), assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità e risponde, quindi, del reato di falsità ideologica in certificati, il progettista che, nella relazione iniziale di accompagnamento di cui all'art. 23, comma primo, del D.P.R. n. 380 del 2001, renda false attestazioni, sempre che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici e non anche la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest'ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato.

Cass. pen. n. 11081/2010

Il fine di lucro, richiesto dalla fattispecie aggravata di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, non si può presumere solo perché la falsa attestazione sia operata da chi, svolgendo attività professionale per sé remunerata, eserciti un servizio di pubblica necessità, ma deve essere dimostrato come raggiungibile proprio attraverso la falsa attestazione, indipendentemente da chi ne sia il beneficiario.

Cass. pen. n. 7408/2010

Non integra gli estremi costitutivi della fattispecie di falso ideologico in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.) la condotta di colui che, in qualità di geometra, redattore del progetto e della relazione allegati alla denuncia di inizio di attività presentata al locale Comune, attesti che essa sia preordinata alla realizzazione di una vasca interrata destinata alla raccolta di acqua anziché alla realizzazione di una piscina, in quanto la relazione allegata alla denuncia di inizio di attività ha natura di certificato solo in relazione alle attestazioni relative allo stato dei luoghi ed alla correlata dichiarazione di compatibilità delle opere realizzande con gli strumenti urbanistici vigenti. (In applicazione di questo principio la S.C. - censurando la decisione del giudice di merito che nella specie ha ritenuto integrato il reato di cui all'art. 481 c.p. - ha affermato in motivazione che l'attestazione della volontà del committente non assume i connotati di una realtà oggettiva percepibile sensorialmente e verificabile alla stregua di un'errata indicazione progettuale di misure ed estensioni non conformi allo stato dei luoghi e non ha, pertanto, natura di certificato, dovendosi intendere per tale solo l'attestazione di fatti oggettivi percepiti con i sensi in atto destinato a provare la verità).

Cass. pen. n. 2076/2009

I delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l'interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l'atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che egli, in tal caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto l'incidenza diretta sulla sfera giuridica della società assicuratrice costituitasi parte civile del falso ex art. 481 c.p.).

Cass. pen. n. 1818/2009

In materia di falso, la relazione d'asseverazione del progettista allegata alla denuncia d'inizio d'attività edilizia (DIA) ha natura di "certificato", sicché risponde del delitto previsto dall'art. 481 c.p. il professionista che redige la suddetta relazione di corredo, attestando, contrariamente al vero, la conformità agli strumenti urbanistici.

Cass. pen. n. 15150/2007

Integra il reato di cui all'art. 481 c.p. la falsa attestazione, da parte di un esercente la professione legale, dell'autenticità della firma figurante in calce ad un atto di conferimento di procura speciale apparentemente proveniente dalla persona offesa di un reato, nulla rilevando, ai fini della pretesa innocuità del falso, il fatto che, per errore, l'atto anzidetto sia stato redatto su di un modulo predisposto per l'imputato.

Cass. pen. n. 3628/2007

In tema di delitto di falsità ideologica dell'esercente un servizio di pubblica necessità, non rientrano nella nozione di «certificati» quegli atti che, nell'ambito di un procedimento amministrativo per il rilascio di un'autorizzazione, non hanno la funzione di dare all'Amministrazione un'esatta informazione su circostanze di fatto e, quindi, di provare la verità di quanto in essi affermato, ma sono espressivi di un giudizio, di valutazioni e convincimenti soggettivi, sia pure erronei, ma che non alterano i fatti. (Fattispecie in cui si è esclusa la natura di «certificati» agli atti prodotti a sostegno della domanda di autorizzazione per la realizzazione e l'esercizio di una centrale termoelettrica, asseritamente falsi perché alcuni denominati «progetti preliminari» ed uno «tracciato di fattibilità» oltre che per l'omessa attestazione di conformità urbanistica, quando erano tutti in realtà «meri studi di fattibilità» i primi per la mancanza dei documenti richiesti dal regolamento attuativo della legge quadro sui lavori pubblici, e l'altro per la mancanza di elaborati grafici relativi a sezioni significative di una parte della costruenda opera e di una relazione geognostica).

Cass. pen. n. 36778/2006

In tema di reati di falso, il certificato di morte redatto dal medico necroscopico, delegato dell'ufficiale dello stato civile, è atto pubblico, siccome proveniente da un pubblico ufficiale che attesta fatti di sua diretta percezione (effettività del decesso, eventuali indizi di reato ecc.); mentre, quello redatto dal medico curante in ordine al momento e alle cause della morte — come risultano dall'attività sanitaria espletata prima del decesso — è qualificabile come atto pubblico soltanto se il sanitario opera all'interno di una struttura pubblica e se, con tale atto, concorre a formare la volontà della P.A. in materia di assistenza sanitaria o esercita in sua vece poteri autorizzativi e certificativi: in questi casi, infatti, il medico opera come pubblico ufficiale. Qualora invece il medico curante, nell'immediatezza dell'evento, rilasci il certificato di morte, non destinato all'utilizzazione da parte dell'ufficiale dello stato civile, egli opera come semplice esercente una professione sanitaria, essendo indifferente che egli sia anche un funzionario del Servizio sanitario nazionale. Ne consegue che, in caso di falsità ideologica del certificato, il reato ipotizzabile è quello di cui all'art. 481 c.p., la cui pena edittale è preclusiva dell'applicazione di misure cautelari, anche soltanto interdittive. (Fattispecie in tema di attestazione, da parte di medici curanti, dell'ora e luogo del decesso di pazienti, invece non sottoposti a visita dopo la morte).

Cass. pen. n. 9578/2006

Integra il reato di cui all'art. 481 c.p. (falso ideologico commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità), la condotta del legale che autentichi la firma apocrifa del cliente, apposta in calce ad un atto di rinuncia agli atti del giudizio; né ha rilievo la circostanza che, nella specie, l'autentica del difensore non sia necessaria ad assicurare la certezza della provenienza della rinuncia, in quanto è sufficiente che si tratti di atto idoneo a conseguire un qualsiasi effetto giuridicamente apprezzabile, in ragione dell'affidamento nella funzione o nel servizio pubblico prestato dal soggetto da cui tale atto proviene.

Cass. pen. n. 8303/2006

In tema del reato di falsità ideologica in certificato commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità, il direttore dei lavori che attesti la conformità degli interventi edilizi nella certificazione presentata per il rilascio di una concessione edilizia, deve considerarsi esercente un servizio di pubblica necessità, atteso che sia il progetto quanto la relazione sono atti professionali che per legge richiedono un titolo di abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato allo esercizio della professione specifica.

Cass. pen. n. 24562/2005

Non rientra fra i certificati, attestanti fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, di cui all'art 481 c.p., la relazione tecnica allegata alla comunicazione prevista dall'art. 26 legge 28 febbraio 1985 n. 47, atteso che la sua funzione è quella di rendere nota alla P.A. l'intenzione di realizzare le opere in essa descritta, al momento ancora inesistenti.

Cass. pen. n. 23668/2005

In materia di falso, la relazione allegata alla denuncia di inizio di attività edilizia (DIA) non ha natura di «certificato» in quanto, a differenza di quest'ultimo, non è destinata a provare la oggettiva verità di ciò che in essa è affermato: per la parte progettuale, essa manifesta una intenzione e non registra una realtà oggettiva; per la eventuale attestazione di assenza di vincoli, esprime un giudizio dell'agente, passibile anche di errore che non ne muta la natura. Ne consegue che non risponde del delitto previsto dall'art. 481 c.p. il professionista che redige la suddetta relazione di corredo (fattispecie relativa a denuncia di inizio di opere diverse da quelle poi realizzate e di attestazione di assenza di vincoli architettonici).

Cass. pen. n. 22496/2005

Il soggetto che esercita la professione forense, indipendentemente dagli atti specifici compiuti, svolge un servizio di pubblica utilità: ne consegue che risponde del reato di falsità ideologica ai sensi dell'art. 481 c.p. l'avvocato che falsamente attesti l'autenticità della firma apposta dal cliente in calce a un ricorso per cassazione. (La Corte ha escluso che la mancanza di abilitazione al patrocinio davanti alle magistrature superiori incida sulla configurabilità del reato, attesa comunque l'abilitazione dell'imputato all'esercizio della professione forense).

Cass. pen. n. 19494/2005

Bene è ritenuta la sussistenza del reato di cui all'art. 481 c.p. (falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità) a carico di un professionista il quale, nella relazione tecnica da allegare alla denuncia di inizio lavori, secondo la disciplina all'epoca vigente dettata dall'art. 4 del D.L. 5 ottobre 1993 n. 398, conv. con modifiche in legge 4 dicembre 1993, n. 493, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, abbia attestato, contrariamente al vero, che i lavori non avrebbero interessato immobili vincolati ai sensi della legge 29 giugno 1939 n. 1437.

Cass. pen. n. 21639/2004

Sussiste il reato di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.), allorché si presenti una denuncia di inizio di attività edilizia che presuppone opere da realizzare, pur essendo le opere previste già materialmente eseguite; né la rilevanza penale può essere esclusa a seguito dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001, dall'1 al 9 gennaio 2002, e segnatamente dell'art. 29 il quale — prevedendo che, nel caso di dichiarazioni non veritiere contenute nella relazione ex art. 23, l'amministrazione ne dà comunicazione al competente organo professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari — non incide sulla sussistenza del reato in questione sia perché il contenuto depenalizzante di tale previsione non comprende tutti i profili di rilevanza penale connessi alla denuncia di inizio attività ed alla stessa relazione di cui all'art. 23 che non comprende la specifica ipotesi di falsità contestata, sia perché la comunicazione all'Ordine professionale per l'applicazione delle sanzioni disciplinari non esclude che le medesime dichiarazioni non veritiere non possano essere rilevanti anche agli effetti penali.

Cass. pen. n. 18056/2002

L'attestazione, da parte dell'assicuratore, di dati non veritieri nel certificato di assicurazione (nella specie relativa alla R.C.A.) integra il delitto di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, previsto dall'art. 481 c.p., mentre la contraffazione o l'alterazione dello stesso documento configura il reato di falsità in scrittura privata, previsto dall'art. 485 dello stesso codice.

Cass. pen. n. 5098/2000

In materia di falso, le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall'esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi. Ne consegue che rispondono del delitto previsto dall'art. 481 c.p. il professionista che redige le planimetrie e la committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele. (Fattispecie relativa a progetto di modifica edilizia da cui emergeva una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi).

Cass. pen. n. 10341/1983

La proposta di ricovero, richiesta dalla legge nel procedimento amministrativo per il ricovero coatto degli infermi di mente, è diretta a far fede dei fatti in esso dichiarati; né vale ad escludere la sua funzione probatoria la necessità della successiva convalida da parte del medico condotto. Tale documento rientra pertanto nella categoria dei certificati la cui falsità ideologica è prevista e punita dall'art. 481 c.p.

Cass. pen. n. 11565/1978

Il progetto redatto da un geometra, e presentato a corredo della domanda rivolta ad ottenere una licenza edilizia, non rientra fra i certificati attestanti fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, di cui all'art. 481 c.p.

Cass. pen. n. 966/1968

Ai fini della differenziazione fra atti pubblici e certificati, deve considerarsi essenzialmente l'intima struttura dell'atto e, cioè, la natura e lo scopo dell'attività svolta dal pubblico ufficiale in relazione all'efficacia probante del documento. Devono, pertanto, annoverarsi nella categoria degli atti pubblici tutti quelli formati da pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio e che, redatti con le prescritte formalità, hanno valore costitutivo di diritti od obblighi nei confronti di uno o più soggetti, o la funzione di fornire la prova di un fatto giuridico. Sono, invece, da qualificare certificazioni amministrative soltanto quelle attestazioni — meramente dichiarative — di verità o di scienza, del pubblico ufficiale, che non costituiscano la documentazione di un'attività da lui compiuta o di fatti avvenuti in sua presenza.

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G. S. chiede
venerdì 03/03/2023 - Lazio
“Salve, sono un ingegnere che ha redatto una scia in sanatoria. Mi sono accorto di aver commesso due errori (ho messo due crocette in punti sbagliati). Sono in attesa di un incontro con l'ufficio urbanistica del comune a cui ho inviato la pratica ma mi hanno dato appuntamento tra due settimane (quindi in pratica parlerò con l'ufficio tecnico dopo venti giorni dall'invio della scia).
Voglio prepararmi psicologicamente al peggio: in caso il comune riscontrasse i due errori prima dell'incontro può denunciarmi per falsa asseverazione? Se sì, posso chiedere l'oblazione? Lo chiedo perché avrei intenzione di partecipare a dei concorsi pubblici e temo condanne penali. Grazie”
Consulenza legale i 10/03/2023
In relazione al quesito non si ravvisano elementi aventi disvalore penale relativi all’art. 481 del c.p..

Si tratta di un mero errore materiale in virtù del quale, al di là della prenotazione dell’appuntamento, questa redazione ritiene opportuno che Lei segnali per iscritto la questione all’ufficio tecnico, anche a dimostrazione della Sua buona fede e dell’assenza di dolo nella condotta. Potrebbe inviare una pec dichiarando che facendo una revisione della pratica ha ravvisato l'errata apposizione delle crocette e desiderava segnalarlo all'ufficio.

E’ necessario poi che predisponga tutte le misure più idonee a correggere l’errore.

Non ci si dilunga su un eventuale iter procedimentale in sede penale o sull’istituto dell’oblazione attese le strette tempistiche citate che, verosimilmente, non possono aver già determinato l’instaurazione di un procedimento penale a Suo carico.

MARIA E. chiede
lunedì 03/09/2018 - Toscana
“Egregi, vorrei ricevere alcune informazioni in merito al seguente problema. Sono un medico che ho subito circa un anno fa una condanna penale in primo grado per falso ideologico commesso da persona incaricata di pubblico servizio perché mentre esercitavo la libera professione nel campo infortunistico con perizie mediche, certificati di continuo di trauma, ecc., ecc., ho rilasciato dei certificati ai fini assicurativi ad una signora che non conosco perché non è una mia paziente; ella si è presentata nel mio studio dicendomi che era una amica di una mia vecchia cliente, la quale le aveva riferito che si era trovata molto bene con me e che io aspettavo il risarcimento da parte della compagnia, infatti le ho rilasciato una prenotula. La suddetta dopo circa 4 mesi dal mio ultimo certificato di guarigione con postumi si è presentata alla visita dal medico dell'assicurazione portando ella stessa i miei certificati,dichiarando però che non si ricordava nulla dell'incidente (era intervenuta la polizia quindi era stata sicuramente vittima del sinistro, che del resto era anche un infortunio INAIL ) e neppure di essere stata visitata da me; non mi conosceva. Il medico dell'assicurazione ha fatto la sua relazione narrando quanto riferito dall'infortunata alla compagnia, che ha poi inviato un detective privato a casa della suddetta infortunata per interrogarla. La predetta, che ha un bassissimo livello di scolarità, come si evince dalla dichiarazione scritta di suo pugno ( sembra essere stata dettata dal detective, perché è ovvio che una persona con un livello di istruzione così basso non può avere partorito da sola un tale documento ), conferma che non era mai stata visitata da mè e che io avrei ordito una truffa assicurativa con l'infortunistica del carrozziere che io ovviamente non conosco. Io dopo un po' di tempo e ricercando nella documentazione sono riuscito a trovare un testimone che ha giurato in tribunale di avere visto la sig.ra. nel mio studio. Al momento del processo tutti i testimoni cioè il medio, il detective e il mio non si ricordavano molto della infortunata nessuno aspetto fisico od altri particolari ma solamente il nome ed alcuni piccoli particolari che il giudice ha ritenuto insignificanti. Il giudice ha creduto al medico legale e al detective della assicurazione asserendo che secondo lui era improbabile che il mio testimone si ricordasse il nome della sig.ra dopo tanto tempo e mi ha condannato con il carrozziere ad una pena detentiva mentre la sig.ra solo ad una multa, poi tutti e tre al risarcimento della parte offesa, ha fatto rinviare a giudizio il testimone per falsa testimonianza.
L'udienza dall'inizio alla fine è durata circa meno di una ora e mezza.
Il giudice durante l'udienza si è fatto prestare il cellulare dal pubblico ministero ( una bella donna con la quale sembrava avere ottimi rapporti di amicizia) e ha fatto una telefonata durata diversi minuti, poco dopo il cellulare del P.M. ha suonato, cercavano il Giudice che ha di nuovo parlato al telefono noi non sappiamo con chi ( lui ha detto con sua figlia), le telefonate sono avvenute senza interruzione del dibattimento; gli avvocati si erano fermati ma lui li ha esortati ad andare avanti, però era un pochino turbato.
Dopo questa premessa le chiedo :
1) - E' valida dal punto di vista penale una dichiarazione fatta da una persona ad un detective privato senza che questa sia confermata in aula o ad un organo di polizia da chi l'ha rilasciata? se fosse valida qualunque pazzo potrebbe accusarci di qualunque reato e noi finiamo sotto processo?.
2) - Il mio testimone che è un idraulico che doveva fare un sopralluogo per controllare i condizionatori era stato da me rintracciato circa 9 mesi dopo il fatto e ovviamente all'ora si ricordava bene il nome della sig.ra,con la quale aveva chiacchierato nella sala di aspetto per circa 15 - 20,0 minuti ed io prima di farla entrare l'avevo chiamata per nome. Il processo però è iniziato circa 6 anni dopo, neanche il detective e il medico legale se non avessero scritto il nome nelle loro relazioni se lo sarebbero ricordato? Il giudice ha incalzato ripetutamente il mio testimone e l'ha minacciato di denunciarlo se non avesse detto che il nome della sig.ra glielo avevo suggerito io. Il testimone ovviamente non ha detto quello che il giudice voleva e lui lo ha fatto denunciare per falsa testimonianza. Può un giudice e non il pubblico ministero incalzare e mettere in difficoltà un testimone e minacciarlo di fargli dire quello che vuole lui.
3) Il giudice può fare e ricevere delle telefonate durante una udienza senza interromperla e distraendosi da quanto avviene in aula?
4) Il mio avvocato vuole impostare il ricorso sul fatto che i certificati ai fini assicurativi rientrano nelle scritture private ed essendo stato eliminato il falso in scrittura privata secondo lui il reato non esiste.? Secondo lei questa e la strada giusta per vincere il ricorso?

Le faccio presente che sono disposto anche a pagare la cifra scritta sul visto sito per avere una risposta professionale perché entro il 25 settembre l'avvocato deve presentare il ricorso in appello.
Nella speranza di ricevere le risposte ai miei quesiti le invio cordiali saluti.
Grazie, tanto.

Consulenza legale i 10/09/2018
Cerchiamo di rispondere alle domande singolarmente.

Per quanto attiene alla dichiarazione che la sig.ra avrebbe scritto di suo pugno, va detto quanto segue.
Il processo penale presenta una modalità istruttoria abbastanza libera, soprattutto per ciò che riguarda le prove documentali: l’art. 234 del codice di procedura penale infatti pone pochissimi limiti all’acquisizione di qualsivoglia documento nell’ambito dell’intero processo penale. Di sicuro dunque possiamo affermare che il documento che sarebbe stato sottoscritto dalla paziente è stato correttamente acquisito dal Tribunale.
Va altresì detto che il documento rappresenta un elemento probante alquanto forte: senza entrare in questioni tecniche complesse, per prassi la “carta scritta” rappresenta un mezzo istruttorio immediato ed efficace e il giudice ha tutto il diritto di prendere per vero il suo contenuto.

Ciò chiaramente a meno che il suo contenuto non venga contestato da una parte processuale.

Nel suo caso, ad esempio, proprio per contestare efficacemente il contenuto del documento scritto, sarebbe stato opportuno che la paziente predetta venisse interrogata nel corso del processo al fine di smentire quanto da lei scritto e/o comunque addolcirne il contenuto. Ciò sarebbe stato nell’interesse della paziente stessa (che sembra di capire fosse stata parte imputata del processo) che, sostanzialmente, con quel documento confermava la sua partecipazione alla truffa assicurativa.
Rispondendo in breve alla domanda: si, il documento poteva essere utilizzato e preso per “vero” dal giudice; sarebbe dovuta essere la difesa degli imputati a trovare il modo opportuno per contestarlo.

Per quanto attiene alla domanda di cui al punto 2, la risposta è no. Il giudice è terzo imparziale e non può avere una condotta idonea a forzare il processo in un senso piuttosto che in un altro. D’altra parte va anche detto che il giudice, quando vengono sentiti i testimoni, ha tutto il diritto di fare le domande che vuole. E’ dunque molto difficile distinguere tra una condotta imparziale del giudicante e l’utilizzo legittimo degli strumenti “d’indagine” che l’ordinamento gli mette a disposizione nell’esercizio della sua funzione. Stando all’esperienza concreta, il giudice interviene in modo incisivo quando davvero il testimone dimostra di essere reticente e/o mendace; cosa che è forse accaduta nel caso che ci occupa tanto da spingere il giudice a chiedere al PM di investigare sul testimone per il reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.), cosa davvero rara nell’ambito dei processi penali.

Per quanto attiene invece alla domanda di cui al punto 3, non c’è nulla che impedisce al giudice di utilizzare il telefono in udienza. Di certo rappresenta una condotta poco ortodossa, maleducata e contraria agli standard comportamentali che un magistrato dovrebbe avere, ma è davvero difficile che ciò precluda il buon andamento del processo e, dunque, non rappresenta in genere una condotta “proibita”.

Quanto invece al tema giuridico di cui al punto 4, lo stesso è percorribile solo nella misura in cui nel processo è stato contestato il reato di cui all’art. 485 del codice penale, abrogato dall’art. 1, lett. a) del D.L.vo 15 gennaio 2016 n. 7.
Tale circostanza sembra tuttavia molto strana atteso che il fatto descritto sembra essere più aderente al dettato dell’art. 481 del codice penale che censura proprio la condotta di chi, nell’esercizio di una professione sanitaria […] attesta falsamente in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
In tale ultimo caso la strategia difensiva non sembra essere del tutto appropriata in quanto la giurisprudenza è unanime nell’affermare che il certificato medico non rappresenta una scrittura privata e tenuto conto che il reato menzionato è ancora in vigore.