Con la norma in esame (inserita dall’art. 38 comma 1, n. 1 lett. b) del D.L. n. 98/2011, coordinato con la legge di conversione n. 111/2011), è stata introdotta nel nostro ordinamento un’ipotesi di
accertamento tecnico preventivo obbligatorio, relativa alle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità di cui alla Legge n. 222 del 12.06.1984.
Si ritiene che tale elencazione, malgrado la sua specificità, non sia tassativa e che la stessa debba essere estesa a tutte le controversie relative a trattamenti previdenziali, i quali presuppongono, per la loro erogazione, l’accertamento di uno specifico requisito medico.
In realtà, il procedimento per l’accertamento tecnico preventivo non soltanto è obbligatorio, ma potenzialmente potrebbe essere in grado di sostituire l’intero giudizio di merito, considerato che quest’ultimo è previsto soltanto come eventuale per il caso di contestazioni delle parti in relazione alle conclusioni a cui è pervenuto il
consulente tecnico.
Del resto, è proprio questa la finalità della norma, ossia evitare l’instaurazione di contenziosi seriali, i quali nella gran parte dei casi si risolvono nell’espletamento di una consulenza medico legale.
Con riferimento al procedimento, la norma in esame richiama, nei limiti della compatibilità, la disciplina dell’accertamento tecnico a fini conciliativi di cui all’
art. 696 bis del c.p.c..
Tra le norme non compatibili, si ritiene che vi si debbano far rientrare quelle relative al
tentativo di conciliazione, in quanto il consulente deve espletare il proprio incarico senza ricercare composizioni della lite; saranno le parti, al termine dell’accertamento, ad accettare o meno l’esito dello stesso, non proponendo opposizione.
Viene richiamato, inoltre, l'
art. 10, co. 6-bis, D.L. 30.9.2005, n. 203, convertito con L. 2.12.2005, n. 248, il quale prevede la possibilità che un medico legale dell'ente assistenziale partecipi alle operazioni peritali, a pena di nullità, rilevabile ex officio.
La natura obbligatoria dell’accertamento in esame è indirettamente sancita dal secondo comma della norma, nella parte in cui prevede che l’instaurazione di questa fase di
istruzione preventiva costituisce condizione di procedibilità del giudizio di merito, la cui mancanza è rilevabile non soltanto dall’altra parte, ma anche d’ufficio dallo stesso giudice entro la prima udienza.
In caso di mancato rilievo entro i termini, il giudizio prosegue regolarmente
Se, invece, viene eccepito il mancato rispetto di tale condizione di procedibilità (l’altra parte lo può eccepire nella
memoria difensiva), il giudice è tenuto ad assegnare un termine di 15 gg. per la presentazione dell’istanza ovvero, qualora l’accertamento sia già iniziato ma non sia ancora concluso, un termine per il completamento della stessa.
Non viene specificato se il procedimento rimane sospeso o se debba essere rinviato ad una udienza successiva all’espletamento dell’accertamento tecnico oppure se il procedimento prosegua normalmente.
L’art. 445 bis, invece, precisa espressamente che la presentazione dell’istanza di accertamento preventivo interrompe i
termini di prescrizione; nulla viene detto circa i termini di
decadenza, anche se la stessa
ratio della disciplina e l’obbligatorietà dell’accertamento inducono a ritenere che la presentazione del ricorso per accertamento preventivo eviti il maturarsi di eventuali decadenze sostanziali.
Lo stesso effetto interruttivo lo si fa discendere dalla proposizione dell’istanza dichiarata inammissibile.
L'ordinanza con cui viene dichiarata l'inammissibilità della richiesta di accertamento per difetto dei presupposti, poiché non ha efficacia di
giudicato e non pregiudica la riproposizione della domanda, non è ricorribile per cassazione ex
art. 111 Cost., tranne che per le statuizioni in materia di spese.
Conclusasi la fase di accertamento, il tribunale assegna alle parti un termine (avente natura processuale ed a cui si applica l’
art. 155 del c.p.c.) per dichiarare se intendono opporsi alle conclusioni raggiunte dal perito (tale dichiarazione va fatta con atto scritto da depositare in
cancelleria).
In caso di mancata opposizione, il giudice, a meno che non intenda disporre d’ufficio una rinnovazione delle indagini peritali ex
art. 196 del c.p.c., omologa la relazione del perito.
Il decreto di omologazione viene trasmesso dal tribunale alle autorità a cui spetta la verifica degli ulteriori requisiti previdenziali e la conseguente erogazione del trattamento.
Nel caso in cui, poi, il trattamento pensionistico dovesse essere rifiutato per la mancanza di altri requisiti, il relativo provvedimento potrà essere nuovamente impugnato dinanzi al giudice del lavoro, questa volta senza il preventivo espletamento dell’accertamento tecnico.
Qualora anche una sola delle parti si opponga (l’opposizione deve rivestire la forma scritta), la stessa parte deve depositare, entro il termine di trenta giorni dalla data di formulazione dell’opposizione, il ricorso introduttivo della causa di merito, indicando a pena di inammissibilità i motivi di contestazione.
Al fine di garantire il rafforzamento della celerità che caratterizza il procedimento previsto dalla norma in esame, la Legge n. 183/2011 ha inserito il settimo comma, prevendendo espressamente la non appellabilità della
sentenza che definisce il giudizio di opposizione alla perizia; resta ferma, ovviamente, l’impugnabilità della sentenza dinanzi alla
Corte di Cassazione.
Si tenga comunque presente che la pronuncia che decide su questa controversia riguarda solo il c.d. requisito sanitario, non potendo la stessa contenere una declaratoria sul diritto alla prestazione, la quale può conseguire solo in esito ad accertamenti relativi agli ulteriori requisiti socio economici.