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Articolo 1049 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Somministrazione di acqua a un edificio

Dispositivo dell'art. 1049 Codice Civile

Se a una casa o alle sue dipendenze manca l'acqua necessaria per l'alimentazione degli uomini o degli animali e per gli altri usi domestici, e non è possibile procurarla senza eccessivo dispendio, il proprietario del fondo vicino deve consentire che sia dedotta l'acqua di sopravanzo nella misura indispensabile per le necessità anzidette.

Prima che siano iniziati i lavori, deve pagarsi il valore dell'acqua, che si chiede di dedurre, calcolato per un'annualità. Si devono altresì sostenere tutte le spese per le opere di presa e di derivazione. Si applicano inoltre le disposizioni del primo comma dell'articolo 1038.

In mancanza di convenzione, la sentenza determina le modalità della derivazione e l'indennità dovuta [2643, nn. 4 e 14, 2932].

Qualora si verifichi un mutamento nelle condizioni originarie, la derivazione può essere soppressa su istanza dell'una o dell'altra parte.

Ratio Legis

Tale disposizione mira a permettere l'uso dell'acqua potabile, necessaria a sopperire ai bisogni primari della vita; ciò tenendo conto delle esigenze del fondo dominante e del fondo servente, al fine di ridurre al minimo il danno subito da quest'ultimo.

Spiegazione dell'art. 1049 Codice Civile

Ragione e presupposto della servitù

Questa norma è la seguente introducono una figura di servitù coattiva, del tutto nuova: veniva già disciplinata nel Progetto della Commissione Reale « Cose e diritti reali » (art. 208 segg.). La ragione addotta a giustificazione della nuova servitù coattiva è che essa « risponde ai postulati della odierna tendenza verso una pia intensa utilizzazione dei beni primari », e che essa « attinge il suo fondamento dal principio che il diritto di proprietà, deve subire quelle limitazioni che derivano dalla necessita, della convivenza e della solidarietà sociale ».

Il presupposto di fatto è che ad una casa o alle sue appartenenze manchi l'acqua necessaria per l'alimentazione degli uomini o degli animali e per gli altri usi domestici: la mancanza d'acqua è la prima condizione, essa riguarda il fondo, dove deve divenire dominante la casa. Può essere totale o parziale, in due sensi: riguardare tutta la casa o solo alcune parti di essa, sempre che, nell'ultima ipotesi, non si possa l'acqua trarre dalle parti. Inoltre, la mancanza può essere totale nel senso che nella casa manchi del tutto l'acqua, oppure parziale, nel senso che vi è acqua, ma questa non basta per l'alimentazione o gli altri usi domestici.

Inoltre, si richiede che l'acqua non si possa procurare senza eccessivo dispendio: dunque non si richiede l' impossibilità, basta che la possibilità sia subordinata ad un eccessivo dispendio. Vi sarebbe un eccessivo dispendio, ad esempio, se l'acqua si dovesse altrimenti derivare da una fonte lontanissima e portare alla casa per mezzo di una serie di servitù di acquedotto su molti fondi intermedi.

Torna, qui, in piena luce il concetto della necessità relativa, come caratteristica delle servitù coattive, a suo tempo chiarita.


Fondo servente

Da parte del fondo che deve divenire servente, si richiede che anzitutto esso sia vicino. Anche qui la vicinanza può intendersi in senso relativo, non si tratta di contiguità e neppure di distanza minima. Ma una vicinanza, sia pur intesa in senso relativo, ci vuole, altrimenti non è possibile la servitù coattiva, ma quella volontaria: in questa, infatti, la vicinitas non è una caratteristica autonoma.

Inoltre, il fondo deve essere fornito di acqua eccedente la quantità per esso necessaria: vi deve quindi essere acqua di sopravanzo, e solo questa può essere pretesa.

Chi è tenuto a sopportare la servitù? Il proprietario del fondo vicino: è infatti a questi che bisogna chiedere la servitù. Non è necessario che egli sia anche proprietario dell'acqua. Notevole, al riguardo, è una differenza fra il testo del progetto e il testo definitivo: nell'uno si fa riferimento al « proprietario dell'acqua » (art. 208), nell'altro al « proprietario del fondo ».


Indennità

In applicazione della norma generale contenuta nell'ultimo comma dell' art. 1032 del c.c., secondo cui prima del pagamento dell'indennità il proprietario del fondo servente può opporsi all'esercizio della servitù, si statuisce, nella norma in esame, al comma secondo, che deve pagarsi il valore dell'acqua, calcolato per un'annualità, prima che siano iniziati i lavori.

È ovvio che la servitù coattiva può giustificarsi solo a condizione che si paghi l'indennità: nel nostro caso, essa è rappresentata dal valore delle acque. Le opere di presa e derivazione sono naturalmente a carico di chi chiede la servitù. Se queste danno luogo ad occupazione di terreni, se ne deve pagare il valore a tenore dell'art. 1038, primo comma.


Convenzione; sentenza

Nel comma terzo è contenuta una disposizione che può dirsi superflua, rappresentando la ripetizione della norma posta in generale per tutte le servitù coattive (1032, comma I e 2): in mancanza di convenzione, è la sentenza che determina le modalità della servitù, ne fissa l'indennità e costituisce la servitù.


Estinzione della servitù

Una causa di estinzione è disciplinata nell'ultimo comma: il mutamento nelle condizioni originarie. Essa non trova corrispondenza in una identica causa di cessazione delle servitù volontarie: infatti, per queste, l'impossibilità di fatto di usare della servitù e il venir meno dell'utilità non fanno estinguere la servitù se non siano decorsi venti anni (artt. 1073 e 1074).

La singolare, peraltro giustificata, causa di estinzione non ha luogo, pero, ipso iure: è necessaria una sentenza che la produca. Infatti, nella legge si dice che la servitù, verificatosi il mutamento nelle condizioni originarie, può essere soppressa sulla istanza dell'una o dell'altra parte.

Se le parti sono d'accordo, la cessazione della servitù può porsi in essere a mezzo di convenzione (estintiva).


Acque in concessione amministrativa

La servitù non ha luogo se delle acque si dispone in forza di concessione amministrativa (art. 1050, comma 2).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

496 L'art. 1049 del c.c. e l'art. 1050 del c.c. introducono una nuova figura di servitù coattiva, la quale attinge il suo fondamento dal principio che il diritto di proprietà deve subire quelle limitazioni che derivano dalla necessità della convivenza e della solidarietà sociale. Il primo dei due articoli, prevedendo il caso che a un edificio o alle sue dipendenze manchi l'acqua necessaria per l'alimentazione delle persone o degli animali e per gli altri usi domestici e non sia possibile procurarla senza eccessivo dispendio, consente di dedurre dal fondo vicino l'acqua di sopravanzo, nella misura indispensabile per le necessità anzidette. L'articolo successivo estende la norma precedente al caso che a un fondo manchi l'acqua necessaria per l'irrigazione, mentre il fondo vicino ne abbonda. Al proprietario del fondo servente non solo deve pagarsi, com'è ovvio, il valore dell'acqua, ma, analogamente a quanto è stabilito in tema di acquedotto coattivo (art. 1038 del c.c.), deve anche essere corrisposto il valore, secondo la stima, dei terreni da occupare per la costruzione dell'acquedotto e devono essere risarciti gli eventuali danni, compresi quelli derivanti dalla intersecazione dei fondi. Gli è inoltre riconosciuto (articolo 1049, secondo comma) il diritto di esigere che, prima dell'inizio dei lavori di presa e di derivazione, gli sia pagato il valore dell'acqua che si chiede di dedurre, calcolato per una annualità. Verificandosi un mutamento nelle condizioni originarie, la servitù può essere soppressa su domanda dell'una o dell'altra parte (art. 1049, ultimo comma).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1049 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. D. V. chiede
martedì 22/08/2023
“Buongiorno,
vorrei porre alla Vostra attenzione questo problema.
Sul terreno mio e di mia zia insiste una fontana (sorgente d'acqua potabile su falda profonda qualche decina di metro). Tale acqua serve, dagli anni 70, la mia abitazione, quella di mia zia ed un'altra confinante (non vi è alcuna documentazione in merito) attraverso delle pompe autonome installate in ognuna delle tre abitazioni.
Ora la sorgente è diminuita notevomente, tant'è che il più delle volte, quando le abitazioni richiedono e prelevano l'acqua, dalla fontana non esce nulla per il tempo necessario all'erogazione all'interno delle case.
Il quesito è questo: possiamo io e mia zia togliere la possibilità del prelievo dell'acqua al nostro vicino visto che vi sarà, per lo stesso, la possibilità di usufruire dell'acqua dell'acquedotto?
Per completezza si precisa che negli anni, i proprietari dell'abitazione confinante sono cambiati.
Grazie”
Consulenza legale i 28/08/2023
La situazione descritta nel quesito può inquadrarsi nella fattispecie astratta delineata all’art. 1049 c.c., norma che disciplina la servitù di somministrazione di acqua ad un edificio.
Secondo la definizione che ne viene data dall’art. 1027 del c.c., la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo (cd. fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (cd. fondo dominante) appartenente a diverso proprietario; essenziale, dunque, è questa relazione, cd. rapporto di servizio, che si instaura tra i due fondi, per effetto del quale il fondo dominante si avvantaggia delle limitazioni che subisce il fondo servente.
Da ciò, già, se ne può trarre risposta a quanto viene osservato nell’ultima parte della consulenza, ove si precisa che nel corso degli anni i proprietari dell’abitazione confinante sono cambiati: tale cambiamento non può esplicare alcuna influenza sull’esistenza o meno della servitù, tenuto conto che questa inerisce ai fondi e non a coloro che ne risultano proprietari.

Fatta questa prima precisazione, va a questo punto detto che, con particolare riferimento al contenuto del diritto di servitù, questo può essere il più vario; pertanto, accanto alle c.d. servitù tipiche, il cui contenuto è previsto e regolamentato dal codice civile (tale è la servitù di somministrazione di acqua di cui al citato art.1049 c.c.), sono altresì ammesse le c.d. servitù atipiche, le quali, pur non appartenendo ad alcuno dei modelli legali, possono essere costituite liberamente, purchè finalizzate a soddisfare l’utilità del fondo dominante.
Non costituiscono, invece, servitù prediali (che, come si è prima detto, instaurano una relazione tra due fondi), le c.d. “servitù irregolari” o “personali”, in cui il servizio è prestato in favore di una persona (è tale, ad esempio, quella servitù che attribuisce ad una persona il diritto di passare sul fondo altrui per esercitarvi la pesca).
In questo caso, seppure nulla vieta che il proprietario si obblighi a consentire ad un’altra persona il diritto di passare sul proprio fondo, il relativo negozio da cui tale obbligo si potrà far risultare darà luogo ad una obbligazione con effetti limitati al concedente ed ai suoi aventi causa e non ad un diritto reale che, come tale, potrebbe essere fatto valere erga omnes, ovvero anche contro ogni successivo possessore del fondo (cfr. Cass. 11.02.2014 n. 3091).

Quanto sopra rilevato consente di stabilire un altro punto fermo con riferimento al caso di specie: la situazione che si è venuta a creare, sebbene non risultante da alcun atto scritto e regolarmente trascritto (elementi di cui si dirà in seguito), non può qualificarsi come servitù irregolare, bensì come vera e propria servitù prediale, trattandosi di servitù gravante sui fondi sui quali insiste la sorgente di acqua potabile ed in favore dell’abitazione insistente sul terreno confinante (prima di proprietà della zia ed attualmente di terzi).

Precisato ciò, occorre adesso esaminare in che modo i vicini, che finora hanno prelevato acqua dalla sorgente, possano vantare il diritto di continuare a farlo.
Tale problema investe quello delle modalità attraverso cui una servitù prediale può costituirsi, il che può avvenire in uno dei seguenti modi:
a) in attuazione di un obbligo di legge (cd. servitù coattive);
b) per volontà dell’uomo, risultante da contratto o testamento (cd. servitù volontarie, art. 1058 del c.c.);
c) per usucapione (art. 1061 del c.c.);
d) per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 del c.c.).

Nel caso di specie sembra evidente che l’unico modo per cui la servitù può intendersi costituita è quello dell’usucapione, trattandosi in particolare di servitù apparente, ovvero di servitù al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti (ci si intende riferire alle pompe autonome installate presso ciascuna abitazione e che consentono di prelevare acqua dalla sorgente).
L’esistenza di tali opere è tale da appelesare, in modo non equivoco, per la loro struttura e funzione, l’esistenza di un peso gravante sui fondi serventi (così Cass. 25.10.2017 n. 25355; Cass. 08.06.2017 n. 14292).
Ciò significa che, seppure non esista alcun atto formale di volontaria costituzione della servitù (contratto o testamento, i quali, peraltro, dovrebbero anche essere trascritti), nel momento in cui ci si volesse opporre all’esercizio della medesima, i proprietari del fondo dominante si troverebbero agevolmente nella condizione di farne dichiarare l’esistenza per usucapione (essendo trascorsi più di venti anni dal suo continuo ed ininterrotto esercizio).

Tuttavia, considerato che, come si è detto sin dall’inizio, le modalità attraverso cui quella servitù è stata e continua ad essere esercitata corrispondono esattamente al contenuto della servitù tipica di cui all’art. 1049 c.c., rubricato appunto “Somministrazione di acqua a un edificio”, può farsi valere quanto disposto da tale norma a tutela delle proprie ragioni.
In particolare, la norma individua quattro presupposti ben precisi per la costituzione della servitù, ovvero:
a) deve trattarsi di una casa o delle sue dipendenze;
b) la mancanza dell’acqua necessaria per l’alimentazione degli uomini, animali o per altri usi domestici;
c) l’impossibilità per il titolare del fondo dominante di procurarsela senza eccessivo dispendio;
d) il sopravanzo di acqua nel fondo vicino.

L’ultimo comma del citato art. 1049 c.c. riconosce alle parti un diritto potestativo a che le stesse, a seguito di un mutamento delle condizioni originarie, possano richiedere la soppressione della servitù.
Ebbene, stando a quanto viene riferito nel quesito, nel caso di specie sembra che siano venuti a mancare i presupposti di cui alle lettere c) e d), in quanto:
1. i proprietari del fondo dominante potrebbero ormai allacciarsi all’acquedotto comunale, sicuramente senza alcun dispendio;
2. non può più dirsi che vi sia un sopravanzo di acqua, considerato che “dalla fontana non esce nulla per il tempo necessario all’erogazione all’interno delle case”.
Tanto basta, dunque, per consentire ai proprietari dei fondi serventi di chiedere la soppressione della servitù.
Ciò che si consiglia, tuttavia, anche per garantirsi rapporti di buon vicinato, è di non agire sin da subito giudizialmente, ma di tentare preliminarmente di concordare una soluzione bonaria della questione, facendo constatare ai vicini il concreto mutamento delle condizioni originarie di sopravanzo d’acqua e prospettando loro il diritto di far valere in giudizio tale situazione per impedirgli di continuare a far esercizio di quella servitù.
Qualora non dovessero sussistere le condizioni per risolvere di comune accordo la questione, anche offrendo di regolamentare in maniera diversa l’uso della sorgente da parte dei proprietari del fondo dominante, non resta altra soluzione che quella di ricorrere all’autorità giudiziaria per chiedere la soppressione della servitù; sarà il giudice, a quel punto, a valutare la sussistenza delle condizioni della soppressione e, se del caso, per la costituzione di una nuova servitù con oggetto più ridotto.

G. P. chiede
martedì 25/07/2023
“Spett.le Brocardi, nel 2013 è stato realizzato nel mio terreno un pozzo artesiano per uso domestico. La spesa per la realizzazione è stata divisa al 50% con mio cognato che ha un terreno confinante. L'acqua viene aspirata dalla pompa ad immersione e tramite una tubatura viene spinta verso una cisterna nel terreno di mio cognato da dove per caduta, dato il dislivello esistente, arriva alla mia cisterna e prelevata tramite autoclave. Questa situazione configurabile in servitù di acquedotto servente e dominante è andata avanti pacificamente fino ad oggi, suddividendo le spese di manutenzione, considerando che mio cognato abitando in campagna tra uso domestico e irriguo ha un utilizzo quasi esclusivo del pozzo mentre il mio utilizzo risulta in qualche fine settimana. Ora è sorto un problema, ho constatato che mio cognato elargisce, da tempo indeterminato, l'acqua attraverso tubature, anche se mobili, ad un confinante. Ho fatto notare che questo non si può fare perché lui ha già una servitù dominante di acquedotto e non può dare l'acqua a terzi. Lui insiste e dichiara di voler essere libero di dare l'acqua a chi vuole e pertanto vorrebbe fare un pozzo nel suo terreno chiedendo la restituzione della sua quota parte utilizzata a suo tempo per realizzare il pozzo.
Domanda: E' vero che la servitù dominante non può cedere l'acqua a terzi?
Che mio cognato pur avendo contribuito al 50% della spesa nel 2013 ora nel 2023, dopo ininterrotto utilizzo del pozzo, possa pretendere la restituzione della quota o si deve intendere, in ogni caso, prescritta? Come diffidare mio cognato dall'uso improprio dell'acqua? Fare opposizione alla effettuazione di uovo pozzo nelle vicinanze del mio per evitare il rischio di pescaggio dalla stessa falda acquifera? Cordiali saluti”
Consulenza legale i 03/08/2023
La situazione che tra i proprietari dei due fondi si è venuta a creare corrisponde da un lato (ossia per il proprietario del fondo su cui è stato scavato il pozzo artesiano) alla servitù di somministrazione coattiva di acqua a un edificio o a un fondo e dall’altro (ossia per colui che riceve l’acqua attraverso il sistema di derivazione che è stato realizzato) alla servitù di passaggio delle acque.
La prima trova espressa disciplina agli artt. 1049 e 1050 c.c., mentre la seconda all’art. 1033 del c.c..

Già dal solo esame del testo dell’art. 1049 c.c. risulta possibile rispondere ad alcune delle domande che con il quesito vengono poste.
Innanzitutto si chiede se è vero che la servitù dominante non possa cedere l’acqua a terzi.
Ebbene, una chiara conferma del fatto che ciò non sia consentito si ricava dal primo comma del citato art. 1049 c.c., nella parte in cui viene detto che il proprietario del fondo vicino deve consentire che sia dedotta l’acqua di sopravanzo del proprio fondo soltanto nella misura necessaria per “l’alimentazione degli uomini o degli animali e per gli altri usi domestici”.
Sembra sia del tutto da escludere che chi gode della servitù attiva di acquedotto possa addirittura pensare di cedere a terzi estranei parte di quell’acqua che ha il diritto di prelevare dal pozzo del vicino.
Infatti, secondo la tesi prevalente, per usi domestici devono intendersi tutti quegli usi che si fanno dell'acqua nella casa e nelle sue pertinenze per la vita in queste (non si considera tale uno scopo voluttuario, od ornamentale e sono esclusi gli usi industriali).
Acqua di sopravanzo, invece, si ritiene che possa considerarsi quella parte di acqua che il vicino non utilizza poiché eccede i bisogni particolari del fondo.

Per quanto concerne la contribuzione alla spesa per la realizzazione del pozzo da parte del proprietario del fondo dominante, va detto che si tratta di un obbligo per colui che si avvantaggia di tale servitù, in tal senso dovendosi chiaramente argomentare dal secondo comma dello stesso art. 1049 c.c., il quale non solo dispone che le spese per eseguire i lavori necessari ad attuare ed esercitare la servitù sono a carico di chi l'ha richiesta, ma attribuisce al titolare del fondo servente anche il diritto a richiedere la corresponsione di una indennità.
Tale indennità dovrà essere pagata anticipatamente anno per anno, e dovrà corrispondere al valore dell'acqua che si deduce e al danno sofferto dal proprietario del fondo servente.

Pertanto, prescindendo da ogni considerazione in ordine alla prescrizione del diritto ad avere restituite le somme spese per la realizzazione del pozzo, la contribuzione a tali spese costituisce un vero e proprio obbligo per colui che si avvantaggia della servitù di acquedotto e non può determinare alcuna legittimazione alla ripetizione delle somme a tal titolo versate allorchè venga meno l’esigenza di prelevare acqua dal fondo servente.
Del resto, proprio quest’ultima ipotesi viene presa in considerazione dall’ultimo comma dell’art. 1049 c.c., ove viene riconosciuto alle parti un diritto potestativo a che le stesse, venutesi a mutare le condizioni originarie, possano richiedere la soppressione della servitù.
In tal caso sarà il giudice, nell’esercizio di un suo potere discrezionale, a valutare di volta in volta la sussistenza delle condizioni per la soppressione.
Nel caso in cui, poi, il mutamento delle condizioni originarie dovesse comportare solo una riduzione della servitù, si ritiene che si debba avere prima la soppressione della vecchia servitù di somministrazione e poi la costituzione di una nuova servitù con oggetto più ridotto.

Non si ha alcun diritto, invece, di opporsi alla realizzazione di un nuovo pozzo da parte del confinante e ciò in forza del principio generale sancito dall’art. 840 del c.c., secondo cui la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi è contenuto, sicché il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera, con l'unico limite che queste non rechino danno al vicino.
La determinazione dei limiti cui sottoporre l'estensione del diritto di proprietà in altezza e in profondità è stata cercata ricorrendo al concetto di interesse, partendo dalla disposizione secondo la quale la proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose in modo assoluto, di conseguenza, ove venga meno il godimento e l'utilità, ivi cessa anche il diritto.

Unico limite all’esercizio del diritto di scavare un pozzo sul proprio fondo, invece, si rinviene all’art. 889 del c.c., il quale dispone che, fatte salve le diverse disposizioni dei regolamenti locali, chi vuole realizzare un pozzo sul proprio fondo e presso il confine, anche in presenza di un muro divisorio deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno del pozzo.
Il legislatore ha voluto imporre il rispetto di tale distanza in considerazione del carattere potenzialmente dannoso che le opere elencate in detta norma assumono rispetto ai fondi vicini.
Per tutte queste opere, se fatte a meno della distanza legale, la presunzione di pericolo per il vicino è assoluta, e non è quindi ammessa la prova contraria che il danno non possa verificarsi, o per la particolare natura del terreno o per l'uso di speciali accorgimenti tecnici; da ciò se ne fa conseguire che l'applicabilità dell'art. 889 c.c. prescinde da ogni indagine circa l'assenza, in concreto, di una potenzialità dannosa dell'opera posta a distanza inferiore a quella legale (in tal senso si è espressa Cass. civ. Sez. II n. 12491/1995).
Al contrario, potrà sempre provarsi che la distanza legale sia insufficiente e quindi ottenere dall'autorità giudiziaria la prescrizione di distanze maggiori per evitare danni.
Si ritiene opportuno infine precisare che nella nozione di pozzo vanno ricompresi sia i pozzi di acqua viva che i pozzi di raccolta o di smaltimento, sia i pozzi trivellati che i pozzi scavati (così Cass. civ. sent. n. 1743/1972); non rientrano invece in tale nozione, i fossi assoggettati alle distanze di cui all'art. 891 del c.c. (così Cass. civ. sent. n. 3026/1975).

In conclusione, dunque, è possibile diffidare il confinante dal far uso dell’acqua prelevata dal proprio pozzo per cederla a terzi, inviando all’indirizzo dello stesso una formale lettera di diffida.
Non ci si può opporre, invece, alla realizzazione di un nuovo pozzo da parte del confinante allorchè risulti rispettata la distanza fissata dall’art. 889 c.c., a meno che non si riesca a provare che la distanza legale sia insufficiente per evitare danni al proprio pozzo.
Qualora il confinante dovesse realizzare un nuovo pozzo, si verrebbe ad estinguere la servitù attualmente esistente a carico del fondo di colui che pone il quesito e l’attuale proprietario del fondo dominante non avrebbe alcun diritto di chiedere la ripetizione delle somme versate per la realizzazione del pozzo sul fondo servente.

L. R. chiede
venerdì 28/04/2023
“Buongiorno, ho un problema enorme di carenza d’acqua per uso domestico. Sono Residente in una Borgata (provincia di Torino) montana servita solo da una sorgente che si è definitivamente esaurita e quindi le vasche di raccolta si sono svuotate. La Borgata superiore alla nostra invece è servita da una sorgente molto attiva. Ho chiesto gentilmente di potermi attaccare con una lunga gomma alla parte defluente (dettasi scarto o troppo pieno) utilizzata in maniera saltuaria dalla borgata superiore per bagnare i campi e il resto si disperde nei boschi. Dopo un periodo dove hanno acconsentito all’allaccio, pur proponendo un compenso equo, senza nessun motivo apparente, il proprietario della fonte ha deciso di smettere di aiutarci (chiuso l’acqua). La mia domanda è: c’è una legge, a cui ci si può riferire, che potrebbe forzare il suddetto a lasciarci usare l’acqua che disperde, quella che non usa? In caso affermativo che tipo di soggetti bisogna coinvolgere? (Sindaco, Giudice, Avvocati, ecc.) Se esiste questa legge, la si potrebbe anche solo far leggere, magari sottolineando i passi precisi? In attesa di un vostro riscontro porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 07/05/2023
Norma principale di riferimento per ciò che concerne il problema che qui viene posto è l’art. 909 del c.c., rubricato “Diritto sulle acque esistenti sul fondo”.
Tale norma, facendo salve le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche e per quelle sotterranee, attribuisce in linea generale al proprietario del suolo il diritto di fare uso della acque in esso esistenti, assicurandogli il maggiore godimento possibile in rapporto alle esigenze e possibilità di utilizzazione più varie, agricole o industriali, evitando tuttavia inutile spreco o dispersione dell’acqua residua.
La medesima norma, tuttavia, come si è detto, fa salve le disposizioni delle leggi speciali, tra le quali va innanzitutto segnalata la Legge 05.01.1994 n. 36 (ormai abrogata), contenente “Disposizioni in materia di risorse idriche”.

In particolare, l'art. 1, comma 1 di tale legge va ricordato in quanto, nel prevedere che “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”, ha sostanzialmente introdotto nel nostro ordinamento una dichiarazione di pubblicità ex lege di tutte le acque.
La scelta del legislatore di disporre la "pubblicizzazione" di tutte le acque è stata dettata dal fatto che in riferimento a tali beni, in continua diminuzione quantitativa e peggioramento qualitativo, nonché sempre maggiormente richiesti, è stata ravvisata una prevalenza degli interessi pubblici e collettivi rispetto a quelli privati (le acque hanno perso, dunque, la natura di puri e semplici beni economici per acquisire quella di "risorsa" da custodire e conservare per assicurarne l'utilità anche nel futuro).
Tale mutamento di regime ha lasciato dei residui spazi di libera utilizzazione, seppur limitati alla raccolta delle acque piovane ed allo sfruttamento delle acque sotterranee per usi domestici, come specificato dall'art. 28, L. 5.1.1994, n. 36.

Oggi la disciplina delle acque pubbliche è contenuta nel D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, il cui art. 175 ha abrogato la L. 5.1.1994, n. 36.
La nuova normativa mira a disciplinare in modo organico la materia della gestione delle risorse idriche, prevedendo la competenza di Stato e regioni, anche nell’ottica di tutelare le acque dal rischio di inquinamento.
In particolare, l’art. 144 del suddetto decreto legislativo si occupa di disciplinare la tutela e l’uso delle risorse idriche, disponendo che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato e precisando al secondo comma che le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà e che qualsiasi loro uso va effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.

In attuazione dei principi normativi sopra richiamati, va a questo punto letto ed interpretato l’art. 1049 c.c., norma in forza della quale è possibile far valere nei confronti del proprietario della fonte situata nella borgata superiore il diritto alla costituzione di una servitù di somministrazione d’acqua in favore del proprio fondo.
Trattasi di servitù che, sussistendo i presupposti richiamati dallo stesso art. 1049 c.c., ed in assenza di costituzione volontaria, può anche essere imposta coattivamente, ovvero facendo ricorso all’autorità giudiziaria, la quale disporrà la costituzione di tale servitù mediante sentenza.

C.F. chiede
martedì 18/05/2021 - Puglia
“buongiorno.
volevo chiedere un parere circa la possibilità di avere acqua dal mio vicino. Abito da poco ed ho la residenza in una villetta in campagna con terreno circostante di 2000 mq di giardino. Non ho un pozzo artesiano e non sono collegato all'acquedotto il cui tronco dista da me c.ca 1 km ne’ ad alcun ente irrigazione regionale.
Il mio vicino ha un terreno uliveto con piccola casetta disabitata ed ha un pozzo artesiano che usa per innaffiare in continuo gli alberi di olivo ( c.ca 4 ore al giorno) e per uso domestico. ... La mia domanda è se posso (pagando tutto quello che c'è da pagare) obbligare il vicino a fornirmi l'acqua per uso domestico e per irrigare il mio giardino. Tengo a precisare che il mio vicino ha un pozzo (presumo) non domestico con una forte portata. Ho trovato in internet qualcosa che potrebbe andare bene per me che allego sotto.
Tra l’altro non so la normativa ma avendo io due miei confinanti che hanno già un pozzo artesiano uno a 5 metri dalla mia proprietà e l’altro a 50 metri non so neanche se sarebbe possibile per me a così breve distanza chiedere l’autorizzazione (se pur esosa) per un ulteriore pozzo artesiano, nel mio caso, domestico.
Se avete bisogno di altri dati posso inviarveli.

Consulenza legale i 24/05/2021
Le norme citate nel quesito, ossia gli artt. 1049 e 1050 c.c., relative alle ipotesi in cui è possibile chiedere la somministrazione coattiva di acqua a un edificio o a un fondo, sono esattamente quelle a cui occorre fare riferimento per cercare di dare una soluzione al caso posto.
Si ritiene, innanzitutto, opportuno chiarire cosa il legislatore abbia voluto dire con l’espressione, contenuta nell’ultimo comma dell’art. 1050 c.c., in cui è precisato “Le disposizioni di questo articolo e del precedente non si applicano nel caso in cui delle acque si dispone in forza di concessione amministrativa”.

In realtà, tale parte della norma costituisce un corollario dell’art. 20 T.U. acque pubbliche (R.D. 11/12/1933 n. 1775), il quale tra l’altro dispone che “Le utenze non possono essere cedute, né in tutto né in parte, senza il nulla osta del Ministero dei lavori pubblici, sentito il Ministero delle finanze, e il cessionario non sarà riconosciuto come il titolare dell'utenza, se non quando abbia prodotto l'atto traslativo”.
Viene, dunque, vietata la cessione di acque pubbliche senza il consenso della pubblica amministrazione, il che comporta che la servitù coattiva non può mai riguardare acque di cui il proprietario non abbia il pieno potere (le acque pubbliche, anche se utilizzate da un cittadino, restano pur sempre tali).
Per rendersi meglio conto di quali possano essere le ipotesi concrete a cui tale norma si riferisce, si ritiene utile richiamare il caso preso in esame dalla Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, sentenza n. 17763 del 30.06.2008, avente ad oggetto un provvedimento di diniego di concessione di derivazione di acqua pubblica da un torrente.
Il caso in esame, dunque, poiché attiene ad acque prelevate da un pozzo artesiano, insistente su fondo di proprietà privata, non può senza alcun dubbio farsi rientrare nella fattispecie a cui fa riferimento l’ultima parte dell’art. 1050 c.c.

Chiarito ciò, aspetto su cui chi pone il quesito ha manifestato dei dubbi (facendo seguire il testo della disposizione da due punti interrogativi), si tratta adesso di stabilire se sussistono i presupposti per chiedere al vicino la somministrazione coattiva di acqua dal proprio pozzo.

Norma prioritariamente applicabile si ritiene che sia l’art. 1049 c.c., il quale fa proprio riferimento alla somministrazione di acqua ad un edificio, richiedendo quale condizione essenziale per la sua applicazione sia la vicinanza tra i due fondi e sia, soprattutto, la proprietà sulle acque da parte del proprietario del fondo servente.
Nessun dubbio può sussistere circa la vicinanza tra i due fondi, mentre per quanto concerne la seconda condizione, è stato evidenziato che sia l’art. 1049 c.c. che il successivo art. 1050 c.c. dovrebbero essere riletti tenendo conto dei nuovi indirizzi legislativi in materia di acque, e più precisamente alla luce della riforma attuata su tale materia nel 1994 con la L. 5.1.1994, n. 36, successivamente abrogata dal D.Lgs. 3.4.2006, n. 152.
Per effetto di tale riforma, infatti, e soprattutto in considerazione di quanto disposto dall’art. 167 del citato D.lgs. n. 152/2006, può affermarsi che deve ormai ritenersi abolita la proprietà privata sulle acque, con la conseguenza che il proprietario può utilizzare acque che sgorghino sul suo suolo o estrarle dal sottosuolo, ma in quantità limitata e soprattutto non può disporne né vendere a terzi (non è più possibile, dunque, che vi siano degli avanzi o esuberi da far utilizzare al fondo vicino).

In particolare, l’ultimo comma del suddetto art. 167 dispone che l’utilizzazione delle acque sotterranee per gli usi domestici resta disciplinata dall’art. 93, comma 2 del T.U. delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con R.D. 11/12/1933 n. 1775, in cui è detto che il proprietario di un fondo “ha facoltà, per gli usi domestici, di estrarre ed utilizzare liberamente, anche con mezzi meccanici, le acque sotterranee nel suo fondo…” aggiungendo al secondo comma che “sono compresi negli usi domestici l’innaffiamento di giardini ed orti inservienti direttamente al proprietario ed alla sua famiglia e l’abbeveraggio del bestiame”

Quanto appena detto si ritiene che possa già costituire una valida ragione per consentire al vicino di opporsi legittimamente alla richiesta di utilizzare l’acqua del pozzo di sua proprietà.
A ciò si aggiunga la seguente considerazione: l’art. 1049 c.c. prevede quale ulteriore presupposto per poter vantare il diritto alla costituzione coattiva della servitù di cui si discute “l’impossibilità per il titolare del fondo dominante di procurarsela senza eccessivo dispendio”.
Nel caso di specie non si dispone di alcun elemento da fornire in giudizio al fine di provare tale “eccessivo dispendio”, in quanto non è stato mai sperimentato se per usufruire di acqua dal proprio fondo sia necessario realizzare necessariamente un pozzo artesiano o se sia sufficiente un pozzo tradizionale (sicuramente molto meno esoso).

Le superiori considerazioni, pertanto, sconsigliano di avanzare alcuna proposta in tal senso al vicino e, più che mai, di intraprendere contro il medesimo un giudizio volto alla costituzione di una servitù coattiva di tale tipo.


Marzia M. chiede
martedì 26/01/2021 - Estero
“Salve, mio padre ha ereditato la casa dei miei nonni.
L'acqua che serve la casa viene da una fonte che mio nonno aveva comperato (è su un terreno che appartiene ad altri proprietari).
Quando è stato fatto l’atto di successione, nessuno ha inserito la successione per la proprietà dell'acqua che risulta ancora di mio nonno (defunto) e di un altro signore (defunto anche lui).
La fonte serve infatti la casa ereditata da mio padre e la casa di un vicino.
Volevo sapere cosa bisogna fare per regolarizzare le cose e se ci sono delle tasse da pagare su questa fonte.
La successione è avvenuta nel 2014.
Grazie mille”
Consulenza legale i 01/02/2021
La situazione a cui si fa riferimento nel quesito, in assenza di alcun riferimento preciso ad eventuali atti o provvedimenti, sembra possa essere ricondotta a quel particolare tipo di servitù che l’art. 1049 c.c. definisce “Somministrazione di acqua a un edificio”.

La costituzione di una servitù di tale tipo può avvenire sia coattivamente (cioè in forza di una sentenza) che per contratto (qualora, ovviamente, via sia l’accordo delle parti), ed ha come suo presupposto la vicinanza dei fondi e la proprietà sulle acque da parte del proprietario del fondo da cui l’acqua viene prelevata.
A seguito della sua costituzione, il titolare della servitù acquisisce il diritto di usufruire della quantità d’acqua che viene prestabilita nel contratto o nella sentenza.

Di contro, la stessa norma pone in capo a colui che ha il diritto di prelevare l’acqua l’obbligo di pagare un’indennità anticipatamente anno per anno.
Generalmente è in sede di costituzione della servitù (dunque, nel corpo del contratto o della sentenza) che si stabilisce la quantità d’acqua da far dedurre al proprietario del fondo dominante e la somma che deve essere pagata a titolo di indennità.

Poiché si tratta di una servitù, e dunque di un diritto reale, la stessa inerisce ai fondi, dominante e servente, e sulla sua esistenza ed estensione non è in grado di svolgere alcuna influenza il fatto che la titolarità dei fondi possa essere trasferita, nel corso degli anni, a soggetti diversi da coloro che l’hanno costituita.

Da ciò ne consegue che, in effetti, nulla doveva essere inserito in sede di denuncia di successione, in quanto il trasferimento a causa di morte della casa del nonno comporta automaticamente ed ex lege il trasferimento in favore degli eredi di quella servitù.
Peraltro, per la stessa valgono le regole generali che il codice civile stabilisce in tema di estinzione delle servitù (artt. 1072 e ss. c.c.), la quale può conseguire al mancato uso della stessa per venti anni (estinzione per prescrizione ex art. 1073 del c.c.), ovvero al riunirsi in una sola persona della proprietà di fondo dominante e fondo servente (c.d. estinzione per confusione di cui all’art. 1072 del c.c.).
Entrambe le ipotesi sono chiaramente da escludere nel caso di specie, in quanto la proprietà dei fondi continua ad appartenere a soggetti diversi e la casa continua a ricevere acqua dalla fonte del vicino.

A questo punto, pertanto, per cercare di capire a quale titolo ci si approvvigiona di acqua da quella fonte, occorrerebbe in qualche modo risalire all’atto giuridico (sentenza o contratto) a cui è legata la costituzione del diritto e nel corpo di esso individuare gli obblighi che le parti hanno reciprocamente assunto.

Sarà soltanto nei confronti del proprietario del fondo su cui si trova la fonte che potranno sussistere degli obblighi a cui dover adempiere e finora rimasti inadempiuti.
Il proprietario della fonte, invece, sarà il solo soggetto che, a sua volta, può avere degli obblighi nei confronti della pubblica amministrazione (il Comune nel cui territorio si trova la fonte), in particolare per ciò che concerne la sussistenza di autorizzazioni necessarie per il suo sfruttamento.

Va opportunamente evidenziato, a quest’ultimo proposito, che la materia delle acque sui fondi di proprietà privata è stata oggetto di riforma nel 1994, con la Legge n. 36 del 5 gennaio 1994, successivamente abrogata dal D.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006.
A seguito di tali riforme, è stata sostanzialmente abolita la proprietà privata sulle acque, riconoscendosi al proprietario il diritto di utilizzare le acque che sgorghino sul suo suolo o estrarle dal sottosuolo, ma in quantità limitata.
Inoltre, e questo è l’aspetto più delicato della vicenda, secondo quanto disposto dall’art. 167 del D.lgs. 03.04.2006 n. 152, non è più possibile disporne né venderle a terzi.
Ciò di fatto comporta che non vi potranno più essere degli avanzi o esuberi da far utilizzare al fondo vicino.

Quest’ultima considerazione, pertanto, induce ancor di più a suggerire di prendere al più presto contatti con il proprietario o i proprietari del terreno su cui si trova la fonte, per cercare di ricostruire in modo corretto il rapporto a suo tempo instaurato tra le parti.


Paola chiede
venerdì 01/10/2010
“Quale articolo di legge mi tutela e posso citare al mio amministratore dello stabile in cui vivo, che da 15 mesi non provvede ad effettuare i lavori necessari per cui io possa avere "l'acqua potabile" con un flusso sufficiente a far funzionare elettrodomestici come lavatrice e lavastoviglie?
L'acqua in qustione, in alcune ore non fuoriesce proprio dai rubinetti!!! Abito al sesto piano ed è sicuramente un problema di adduzione della colonna.
Grazie.”
Consulenza legale i 02/10/2010

Preliminarmente occorre comprendere se il problema lamentato origina da un malfunzionamento degli impianti condominiali. Se così è, allora è d'uopo richiedere l'intervento dell'amministratore il quale dovrà attivarsi ai sensi dell'art. 1130 c.c. e dei poteri/doveri che tale norma pone in capo ad egli. In particolare si veda il n. 2).


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