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Articolo 1012 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Usurpazioni durante l'usufrutto e azioni relative alle servitù

Dispositivo dell'art. 1012 Codice Civile

Se durante l'usufrutto un terzo commette usurpazione sul fondo o altrimenti offende le ragioni del proprietario, l'usufruttuario è tenuto a fargliene denunzia(1) e, omettendola, è responsabile dei danni che eventualmente siano derivati al proprietario [1586, 1777].

L'usufruttuario può far riconoscere l'esistenza delle servitù a favore del fondo o l'inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo medesimo [949, 1079]; egli deve in questi casi chiamare in giudizio il proprietario(2).

Note

(1) La denunzia dell'usufruttuario, per la sua finalità di consentire al proprietario l'esercizio del suo diritto, deve avvenire tempestivamente; essa può essere compiuta in qualsiasi forma, compresa quella verbale.
(2) Quando, invece, l'azione confessoria o negatoria servitutis viene esercitata dal nudo proprietario o nei confronti di questi, non occorre nel relativo giudizio la partecipazione anche dell'usufruttuario del fondo attivamente o passivamente gravato dalla servitù, poiché la sentenza che venga eventualmente pronunciata non è idonea a porre in dubbio i diritti in costanza di usufrutto, e quindi non è a lui opponibile.

Brocardi

Laudatio auctoris

Spiegazione dell'art. 1012 Codice Civile

Obbligo di denuncia e legittimazione attiva dell'usufruttuario

Una pura e semplice conseguenza dell'obbligo di custodia che incombe sull'usufruttuario durante il suo godimento è l'obbligo posto dal primo comma dell'art. 1021 (che riproduce l'art. 511 del vecchio codice), per cui l'usufruttuario è tenuto a denunciare al proprietario le usurpazioni commesse da terzi e le altre violazioni delle ragioni del proprietario. L'inadempimento di tale obbligo importa la responsabilità per i danni subiti dal proprietario per effetto dell'attività illecita dei terzi, salvo che l'usufruttuario non dimostri che quei danni si sarebbero ad ogni modo verificati, anche se egli avesse tempestivamente adempiuto all'obbligo di denuncia.

Ma più che sotto il profilo ora accennato la norma dell'art. 1012, specie per il secondo comma che è di nuova formulazione, interessa ad altri fini.

Non v’è dubbio anzitutto che contro le usurpazioni di terzi o contro gli atti che offendono il godimento dell'usufruttuario, questi ha il potere di reagire in nome proprio e indipendentemente dal proprietario. Egli infatti è legittimato attivamente alla vindicatio ususfructus e alle altre azioni dirette a conservare o a recuperare il possesso a titolo di usufrutto o comunque dirette a difendere o a realizzare il suo diritto al godimento. Se quelle usurpazioni ledono al tempo stesso le ragioni dell'usufruttuario quelle del proprietario, il primo deve farne denuncia al secondo, ma se questi rimane inerte, l'usufruttuario può sempre provvedere direttamente, nei limiti del suo interesse, a respingere le usurpazioni medesime.

Il problema è più delicato quando si tratta di decidere se l'usufruttuario sia legittimato, indipendentemente dal proprietario, a far valere diritti che interessano al tempo stesso la proprietà e l'usufrutto (es. actio confessoria e actio negatoria; azione di regolamento di confini). Nel silenzio del vecchio codice si riteneva dai più che l'usufruttuario avesse quella legittimazione attiva, ma che l'accertamento avesse efficacia provvisoria per la durata dell'usufrutto e non fosse quindi opponibile al proprietario, se questi non era stato chiamato a partecipare al giudizio. Questa soluzione era stata sostanzialmente accolta nel Progetto preliminare (art. 164).

Invece il codice, risolvendo la questione con una norma che, pure testualmente limitata all'actio confessoria e all'actio negatoria servitutis, è suscettibile di applicazione analogica (quindi si applica certamente anche all'azione di regolamento di confini), riconosce la legittimazione attiva dell'usufruttuario, ma richiede che nel processo sia chiamato anche il proprietario. Si viene così a creare un'ipotesi di litisconsorzio necessario (art. 102 del c.p.c.), con la conseguenza che la domanda dell'usufruttuario non è procedibile se non è chiamato nel giudizio il proprietario o se questo non vi interviene. La ragione pratica che giustifica la necessiti del litisconsorzio tra proprietario e usufruttuario consiste nell'esigenza di evitare la formazione di giudicati a efficacia puramente provvisoria, in omaggio a un principio di economia dei giudizi.

Ci si può domandare se debba fornirsi una soluzione analoga nel caso in cui sia il proprietario a far valere quelle azioni o siano i terzi che agiscano nei confronti del proprietario per rivendicare una servitù sul fondo in usufrutto o per fare accertare l'inesistenza di una servitù che si pretende esercitare a favore del fondo medesimo. Ma si ritiene che il problema debba risolversi in senso negativo, perché non si può estendere a queste ipotesi la norma dell'art. 1012 che, in quanto pone una condizione alla legittimazione attiva dell'usufruttuario, non può servire a limitare la legittimazione attiva e passiva del proprietario che gli spetta naturalmente, trattandosi di questioni che interessano precipuamente il suo diritto. Si capisce però che il giudicato formatosi tra il proprietario e il terzo in un giudizio in cui l'usufruttuario non sia stato chiamato a intervenire, non è a questo opponibile. Come del resto non gli è opponibile il giudicato formatosi sulla domanda di rivendicazione proposta da un terzo contro il proprietario se l'usufrutto è costituito anteriormente (art. 948 del c.c.) e se, trattandosi di beni immobili o beni mobili registrati, la trascrizione dell'atto costitutivo dell'usufrutto e anteriore alla trascrizione della domanda di rivendicazione (art. 2644 del c.c.).


Legittimazione passiva dell'usufruttuario

Le molestie che l'usufruttuario può ricevere per effetto di atti di terzi possono essere di fatto e di diritto, a seconda che i terzi pretendano di avere o no diritto sulla cosa. Per entrambe le categorie di molestie, quando importino violazione della proprietà e non solo del godimento, l'usufruttuario ha l'obbligo di denunzia di cui al primo comma dell'art. 1012, ma per le seconde egli deve denunziare la molestia anche perché ciò è di regola condizione per fare valere nei confronti del proprietario la garanzia per evizione cui l'usufruttuario abbia eventualmente diritto secondo le regole stabilite a proposito della vendita e della donazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

484 L'art. 1012 del c.c., prevedendo che durante l'usufrutto un terzo commetta qualche usurpazione sul fondo o altrimenti offenda le ragioni del proprietario, sancisce, in conformità dell'art. 511 del codice del 1865, l'obbligo dell'usufruttuario di farne denuncia al proprietario. Inoltre l'articolo in esame consente all'usufruttuario, il quale deve però chiamare in giudizio il proprietario, di far riconoscere l'esistenza di servitù a favore del fondo o l'inesistenza di servitù che altri pretenda di esercitare sul fondo medesimo. Con criterio identico a quello adottato dal codice del 1865 (art. 510, secondo comma) e cioè in proporzione del rispettivo interesse, è regolata la ripartizione tra proprietario e usufruttuario delle spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto l'usufrutto (art. 1013 del c.c.).

Massime relative all'art. 1012 Codice Civile

Cass. civ. n. 20040/2019

Nell'ipotesi di comunione impropria sul fondo interessato, caratterizzata dalla coesistenza di diritti non omogenei, nuda proprietà e usufrutto, allorquando l'azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall'usufrutto sia promossa dal (o contro il) nudo proprietario, non è necessaria la partecipazione al giudizio dell'usufruttuario del fondo passivamente o attivamente gravato dalla servitù, non sussistendo i presupposti per l'applicazione analogica dell'art. 1012, comma 2, c.c. L'onere di chiamare in giudizio il nudo proprietario, posto dall'art 1012 c.c. a carico dell'usufruttuario che intenda esercitare l'azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall'usufrutto, trae la sua giustificazione dal particolare contenuto, assai ristretto nel tempo e nelle facoltà, che caratterizza l'estensione di tale diritto nei confronti della proprietà e dalla correlativa esigenza di evitare la formazione di giudicati la cui inopponibilità al nudo proprietario, derivante dalla sua mancata partecipazione al giudizio, contrasterebbe con la finalità di accertare una "conditio" o "qualitas fundi" cui i giudicati stessi sono preordinati, esigenza che non ricorre, invece, nella diversa ipotesi in cui le suddette azioni siano promosse dal (o contro il) nudo proprietario. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA).

Cass. civ. n. 22348/2009

In tema di limitazioni legali della proprietà, l'azione per denunciare la violazione da parte del vicino della distanze nelle costruzioni ha natura di "negatoria servitutis", essendo diretta a far valere l'inesistenza di "iura in re" a carico della proprietà suscettibili di dar luogo ad una servitù, e pertanto al suo esercizio è legittimato, a norma dell'art. 1012, secondo comma, c.c., anche il titolare del diritto di usufrutto sul fondo.

Cass. civ. n. 3441/1974

L'azione promossa contro il proprietario per costruire sul fondo una servitù coattiva non comporta la presenza necessaria in giudizio dell'usufruttuario del fondo stesso, dal momento che nel giudizio non si controverte affatto dell'esistenza del suo diritto; e, se dall'esito della controversia dovesse scaturire una limitazione del diritto di godimento dell'usufruttuario, questa non sarebbe che un effetto riflesso dell'imposizione di un peso sullo stesso fondo e, quindi, della limitazione del diritto del proprietario, che egli, in quanto usufruttuario, è costretto a subire. Diversa, infatti, è l'ipotesi in cui sia l'usufruttuario ad agire in negatoria servitutis, poiché nel relativo giudizio il proprietario è litisconsorte necessario ai sensi dell'art. 1012 c.c.

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Consulenze legali
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Paola M. C. chiede
giovedì 28/01/2021 - Lombardia
“Buongiorno.
Nel 2017 - consulenza Q201718670 - la risposta al mio quesito riguardante una servitù di passaggio è stata che avrei potuto ottenerne l'estinzione per confusione.
Ora è arrivato il momento di agire, ma, purtroppo, il terreno sul quale grava la servitù non mi appartiene.
Il proprietario, mio cugino di secondo grado, non ha alcun interesse a procedere legalmente, mentre il mio interesse è vitale poiché il terreno circonda la mia abitazione e il vicino che gode della servitù è estremamente molesto.
Mio cugino sarebbe disposto a cedermi il terreno con un atto di donazione, ma teme controlli e contestazioni da parte del fisco.
Qual è il modo migliore di procedere? Come dovrebbe essere formulato l'atto?
Cordiali saluti,
Paola”
Consulenza legale i 03/02/2021
L’azione che va esercitata in questo caso è un’azione relativa a diritti di natura reale, in quanto per mezzo di essa si dovrà far accertare in giudizio l’estinzione per confusione della servitù di passaggio costituita in favore del fienile e la mancanza di utilitas per la servitù in pari tempo costituita a carico della particella 188, attualmente di proprietà del cugino di chi pone il quesito.

In quanto tale, la legittimazione attiva all’esercizio di tale azione compete innanzitutto a chi attualmente risulta proprietario degli immobili interessati (in caso di più proprietari, tutti devono partecipare al processo quali litisconsorti necessari).
Analoga legittimazione può anche essere attribuita all’usufruttuario ex art. 1012 del c.c. comma secondo, nel qual caso, tuttavia, è previsto l’obbligo di chiamare in giudizio anche il nudo proprietario, come litisconsorte necessario, in quanto la decisione che verrà resa all’esito di quel giudizio, sarà destinata ad incidere direttamente sul contenuto e sulla portata dei diritti dominicali.

Di ciò se ne trova conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, ed in particolare nella sentenza n. 4808/1992 e nella più recente sentenza n. 20040/2019, nelle quali è stato ulteriormente precisato che la regola del litisconsorzio necessario non vale nell’ipotesi contraria, ossia qualora ad agire non sia l’usufruttuario, ma il nudo proprietario, non sussistendo in tale seconda ipotesi i presupposti per l’applicazione analogica dell’art. 1012 c.c.

Altri soggetti a cui può essere attribuita la legittimazione attiva sono coloro i quali risultano titolari di un diritto reale di godimento, ipotesi che ricorre tutte le volte in cui il diritto di utilizzare un determinato bene immobile (in questo caso la particella 188) viene attribuito ad una persona diversa da quella che ne ha la proprietà.
Rientrano nella categoria dei diritti reali di godimento, a parte il diritto di usufrutto, di cui prima si è parlato, i diritti di superficie, uso, enfiteusi, abitazione.

Si esclude, invece, ogni legittimazione in capo a coloro che sono titolari di un diritto personale di godimento, il quale si configura come un semplice diritto di credito, avente per oggetto il godimento di un determinato bene e scaturente da un rapporto di natura obbligatoria (l’esempio più ricorrente che può farsi è quello della locazione).
A costoro è possibile soltanto riconoscere un mero interesse di fatto, in virtù del quale intervenire volontariamente a sostegno delle ragioni di una delle parti (in tal senso si esprime anche la giurisprudenza, ed in particolare si vogliono qui citare Cass. 11222/1991 e Cass. 4744/1987).

Quanto detto sopra si ritiene possa essere utile per chiarire per quale ragione sia indispensabile, al fine di portare avanti l’azione desiderata, procurarsi un valido titolo, che attribuisca la relativa legittimazione.
Dall’analisi che è stata fatta, se ne può dedurre che non occorre essere necessariamente titolari del diritto di proprietà sul bene gravato da servitù (la particella 188), e che pertanto, se si vuole, è possibile evitare di ricorrere ad un trasferimento in proprio favore di tale diritto per mezzo di un atto a titolo gratuito, quale appunto l’atto di donazione a cui si è pensato.
Con ciò non vuol dirsi che la stipula di un atto di donazione comporterebbe delle conseguenze e dei rischi in capo alle parti, ed in particolare in capo al donante, in quanto ciascun soggetto è libero di trasferire nel modo che ritiene più opportuno a terzi, familiari e non, i beni di cui è titolare.
Non è il fisco che potrebbe sollevare contestazioni, quanto piuttosto coloro i quali appartengono alla ristretta cerchia del nucleo familiare del donante (i c.d. legittimari, cioè coloro ai quali deve essere garantita per legge un porzione di eredità), i quali potrebbero, dopo la sua morte, reclamare una lesione dei loro diritti di riserva e chiedere la restituzione di quel terreno.

Come si è accennato, dunque, se il cugino non vuole assumere alcuna iniziativa relativa all’azione giudiziaria suggerita e nel contempo si vuole evitare il trasferimento del diritto di proprietà piena (beneficiando conseguentemente di un minor costo dell’atto che si andrà a stipulare) è ben possibile fare ricorso ad uno degli istituti giuridici a cui si è fatto cenno all’inizio, dalla costituzione dei quali si potrà conseguire la legittimazione attiva per agire in giudizio.
Tra le ipotesi prospettate e previste dall’ordinamento, la soluzione più adatta alle esigenze poste dal caso di specie si ritiene sia quella di stipulare un atto con il quale trasferire la sola nuda proprietà della particella 188 in favore di chi pone il quesito, con riserva di usufrutto in favore del cugino attuale pieno proprietario.

Tale trasferimento può realizzarsi indifferentemente a titolo oneroso o gratuito (con il solo rischio, in questo secondo caso, di poter subire un’azione di riduzione da parte dei legittimari del cugino) e, facendo proprio quanto affermato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze citate nella prima parte di questa consulenza, consentirebbe a chi pone il quesito di agire in giudizio senza il necessario intervento dell’usufruttuario (il quale non sarebbe litisconsorte necessario).
In tal modo, peraltro, il cugino, nella sua qualità di usufruttuario, potrebbe continuare a godere di quella particella di terreno.

Questa è la soluzione che si consiglia di preferire.
Per quanto concerne la decisione se intraprendere o meno l’azione giudiziaria volta a far dichiarare l’estinzione di quella servitù, che ormai non ha più davvero senso di esistere (il vicino per raggiungere il suo fondo da quel passaggio è perfino disposto ad allungare il tragitto da percorrere!), si consiglia di portare avanti tale azione, anche in considerazione del fatto che la stessa deve essere preceduta dalla fase della mediazione, obbligatoria per le cause relative a diritti reali (cfr. art. 5 comma 1 bis D.lgs. 28/2010), nel corso della quale ci si potrà un po’ meglio rendere conto di come potrebbe concludersi il giudizio.