La sfera di applicazione della norma in confronto a quella dell' art. 509 del codice del 1865
La responsabilità dell'usufruttuario per le obbligazioni del proprietario si esauriscono di regola nelle ipotesi previste dagli articoli
1008-
1009, in cui si tratta di obbligazioni che trovano il fondamento nell'appartenenza della cosa al debitore. Perciò, come si è visto, resta esclusa ogni responsabilità (sia pure limitata ad un semplice obbligo di concorso) dell'usufruttuario per i debiti che incombono sì sul proprietario ma non per tale sua qualità. L'usufruttuario può risentire di fatto le conseguenze di tali debiti solo quando essi siano garantiti da ipoteca su beni o su beni mobili iscritti in pubblici registri, iscritta anteriormente alla trascrizione dell'usufrutto, o da pegno se si tratta di beni mobili non registrati. In tal caso egli, se vuole evitare la perdita del suo diritto per effetto dell’ espropriazione e la sua trasformazione in una semplice ragione di credito, può essere di fatto costretto a procedere al pagamento, salvo il diritto di regresso immediato nei confronti del debitore. Invece il principio della normale irresponsabilità dell'usufruttuario per i debiti del proprietario trova un'
eccezione nella ipotesi in cui l'usufrutto sia costituito su di una eredità o su una quota di essa.
L'art. 509 del vecchio codice poneva la regola sull'
obbligo di concorso dell'usufruttuario per i debiti del proprietario con riguardo all’ipotesi di usufrutto su un patrimonio. E se si esclude qualche opinione isolata, la dottrina riteneva che la regola fosse applicabile non solo all’ ipotesi comune di usufrutto legale o testamentario sull’eredità ma anche alle ipotesi in cui si fosse costituito per atto
inter vivos, a titolo oneroso o gratuito, l'usufrutto su tutti i beni che in un determinato momento costituivano il patrimonio di una persona.
Invece l'art.
1010 del nuovo codice limita la sfera di applicazione della norma esclusivamente all'ipotesi di
usufrutto sulla totalità o su una quota dei beni ereditari, perché, si avverte nella Relazione al Re, i beni di un patrimonio, all'infuori dell'eredità, non costituiscono un'unità giuridica
(universitas iuris). La ragione addotta non è in verità molto probante, perché la
ratio della (parziale) responsabilità dell'usufruttuario stabilita dall'art. 509 non era tanto un preteso carattere di unitarietà giuridica del patrimonio che potesse far considerare questo come una
universitas, comprensivo cioè di elementi attivi e di elementi passivi (debiti), quanto la considerazione che normalmente colui che costituisce un usufrutto su tutti i beni che in senso descrittivo costituiscono il suo patrimonio in un determinato momento intende costituirlo
deducto aere alieno, ossia intende riversare sull'usufruttuario il carico delle passività nei limiti del godimento a questo attribuito e più precisamente il carico degli interessi sui debiti o delle altre annualità che gravano sul patrimonio.
Tant’è vero che l'art. 509 era pacificamente ritenuto come una
norma puramente dispositiva. Comunque sia, malgrado la portata puramente teorica di quella giustificazione, è certo che la limitazione dell'applicabilità della norma è stata chiaramente voluta e affermata: ciò significa che quando in concreto si presenterà una fattispecie in cui l'usufrutto è costituito per atto
inter vivos su tutti i beni del costituente, bisognerà indagare quale sia stata l’ effettiva intenzione dei contraenti allo scopo di determinare i limiti della eventuale responsabilità dell'usufruttuario, e non fare ricorso alla norma dell'art. 1010 che in sè ha carattere eccezionale e quindi non è suscettibile di applicazione analogica.
Determinata così la sfera di applicazione della norma, si devono sottolineare varie cose. Anzitutto l'espressione «
usufrutto di un'eredità» non si deve intendere nel senso che oggetto dell'usufrutto sia l'eredità considerata come
nomen iuris, come sintesi degli elementi attivi e passivi del patrimonio ereditario. Oggetto dell'usufrutto sono sempre i singoli beni, che sono individuati per il fatto di avere fatto parte del patrimonio del
de cuius, il che porta alla conclusione, del resto quasi pacifica, che l'istituito nell'usufrutto della totalità o di una quota dei beni ereditari è un legatario e non un erede. Perciò che la norma dell'art. 1010, in quanto dispone una certa responsabilità per i debiti ereditari a carico del legatario dell'usufrutto, importa, per lo meno nei rapporti interni, una
deroga al principio generale che il legatario non risponde dei debiti ereditari.
In secondo luogo dovrebbe essere chiaro che l'art. 1010 opera non solo nel caso in cui l'usufrutto sia costituito su una quota dei beni ereditari aritmeticamente predeterminata, ma anche quando, pur essendo indicati specificamente i beni, risulti che il testatore li ha considerati
come quota del patrimonio (arg.
ex art.
588). Si deve infatti riconoscere che, ai fini di determinare il concetto di quota, il problema si presenta con aspetti analoghi nella ipotesi dell'art. 1010 e dell'art.
588, per cui si può dire che si ha l'usufrutto su una quota di eredità quando l'istituito sarebbe erede se invece di un'assegnazione in usufrutto avesse ricevuto un'assegnazione in proprietà.
L'obbligo dell'usufruttuario al pagamento degli interessi e alle altre annualità
La responsabilità dell'usufruttuario per i debiti dell'eredità assume
due atteggiamenti. Egli infatti ha l'obbligo di pagare le annualità e gli interessi dei debiti e dei legati di cui l’eredità è gravata e ha l'onere di anticipare le somme occorrenti per il pagamento del capitale se vuole evitare la vendita di una parte dei beni e quindi la menomazione del suo diritto.
Rispetto all'obbligo di pagare gli interessi e le annualità si discuteva sotto la vigenza del vecchio codice
se l’usufruttuario fosse direttamente obbligato nei confronti del creditore o solo nei rapporti interni con l'erede. Il nuovo art. 1010 non ha risolto la questione, ma sembra che si debba seguire anche per il nuovo codice la soluzione propugnata dalla quasi unanime dottrina, secondo la quale la responsabilità dell'usufruttuario è
esclusivamente interna, onde il creditore delle annualità e degli interessi non ha contro di lui alcuna azione diretta. Non v’è dubbio che di fronte al creditore l'erede risponda non solo del pagamento del capitale ma anche delle annualità e degli interessi, non potendosi certo ammettere una frammentizzazione del rapporto sostanzialmente unico. Non v’è quindi alcuna ragione per ritenere che la legge abbia voluto favorire il creditore moltiplicando i soggetti verso di lui obbligati. Anzi la collocazione della norma che pone la responsabilità dell' usufruttuario, la sua natura di norma dispositiva, per cui essa può essere derogata sia nel testamento sia per accordo tra l'erede e l'usufruttuario, il fatto che le norme di cui stiamo parlando regolano quasi sempre ed esclusivamente i rapporti tra proprietario e usufruttuario, dimostrano che l'obbligo dell'usufruttuario ha per suo destinatario attivo esclusivamente l'erede. Ciò non significa che il contenuto dell'obbligo sia solo quello di rimborsare l'erede del pagamento che egli abbia fatto: il contenuto dell'obbligo è l'adempimento di un obbligo altrui (dell'erede), il che importa che l'usufruttuario è tenuto nei confronti dell'erede, a pagare il terzo. L'obbligo eventuale di rimborsare l'erede è una conseguenza del mancato adempimento dell'obbligo primario.
Ci si è pure chiesti, per il codice del 1865, se la responsabilità dell'usufruttuario per il pagamento degli interessi e delle altre annualità dei debiti e dei legati sia
limitata alla concorrenza dell' ammontare del reddito dei beni su cui cade l'usufrutto. Di fronte al silenzio della legge non pare che possa essere accolta la tesi della limitazione, nè nel senso che l'usufruttuario risponda solo con i frutti perché tale limitazione fra l'altro contrasterebbe col principio adesso affermato dall’
art. 2740 del c.c. (le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge), nè nel senso che l’ usufruttuario sia tenuto solo fino alla concorrenza del valore dei frutti. È vero che il substrato economico dell’ obbligazione dell'usufruttuario per gli interessi e le annualità è dato dal fatto che di solito a quei pagamenti si provvede mediante prelevamenti sul reddito, ma ciò può costituire la ragione politica che giustifica la norma sotto il profilo dell'id
quod plerumque accidit, ma non può importare una limitazione dell'obbligo dell'usufruttuario che la legge nel suo chiaro tenore non autorizza. Di fronte alla eventualità che gli interessi e le annualità superino il reddito, l'usufruttuario non ha altro mezzo per liberarsi da quegli obblighi che la rinuncia al suo diritto.
L'onere del pagamento del capitale
La situazione dell'usufruttuario rispetto al pagamento del capitale dei debiti o dei legati è più complessa.
Se durante l'usufrutto si rende
esigibile un debito ereditario ovvero un legato, l'usufruttuario ha, secondo l'art. 1010 secondo comma, la facoltà di anticipare la somma occorrente, che egli ha diritto di ripetere senza interessi alla fine dell'usufrutto. Risulta chiaramente dalla lettera dell'articolo che l'usufruttuario non è affatto obbligato nè nei rapporti interni nè tanto meno nei confronti dei terzi creditori al pagamento del capitale del debito o del legato. Ma è altrettanto chiaro che l'esercizio di quelle facoltà rappresenta anche un onere per l'usufruttuario, in quanto, se egli non anticipa le somme, il proprietario ha la scelta di eseguire lui il pagamento (nel qual caso sorge l’ obbligo dell'usufruttuario di corrispondere gli interessi) o di far vendere una porzione di beni sino alla concorrenza della somma dovuta. L'usufruttuario quindi deve esercitare quella facoltà se vuole evitare le conseguenze svantaggiose che possono per lui derivare dall'alternativa concessa al proprietario.
Un problema assai discusso è quello se competa all'usufruttuario che abbia anticipato le somme necessarie per il pagamento dei debiti e dei legati la
surrogazione legale nei diritti del creditore soddisfatto, ai sensi dell'art. 1253 n. 3 del codice del 1865 (corrispondente all’art.
1203 n. 3). Il problema si risolve con l’analisi delle citate disposizioni le quali richiedono come condizioni della surrogazione l'interesse del solvens e il fatto che questi sia obbligato (l’
art. 1203 del c.c. usa una formula pia attenuata) con altri al pagamento del debito.
Ora, se non può seriamente negarsi nei riguardi dell'usufruttuario la sussistenza della prima condizione, si è invece negato che ricorra la seconda, dato che l'usufruttuario non è obbligato al pagamento del capitale ma ne ha solo la facoltà, ma non pare che una tale illazione sia giustificata. Come si è già osservato, se è vero che l'usufruttuario non ha un obbligo in senso tecnico, egli ha tuttavia l'onere di eseguire il pagamento: l’art. 1253 n. 3 (e a più forte ragione l’art.
1203) comprende entrambe le situazioni in cui rispettivamente vi sia un obbligo e un onere, non essendovi una ragione sufficiente per discriminare sotto questo profilo le due situazioni. Tant’è vero che il diritto di surroga legale è pacificamente riconosciuto, anche per l'art. 1253 n. 3, al terzo acquirente che paga i creditori iscritti e che non è un debitore in senso tecnico ma ha solo 1' onere di pagare se vuole evitare l’ espropriazione. Naturalmente, anche riconosciuto il beneficio della surrogazione legale, bisogna ricordare che essa non produce effetto finché dura l'usufrutto, dato che solo alla fine di questo il diritto dell'usufruttuario diviene esigibile nei confronti del proprietario. Ma in questo momento l’usufruttuario avrà diritto agli interessi nella misura in cui produceva il credito originario (se essa è superiore alla misura legale) e potrà avvalersi delle garanzie che assistevano il credito medesimo.
Le facoltà del proprietario in relazione al pagamento del capitale
Se l'usufruttuario non può o non vuole anticipare le somme necessarie per il pagamento del capitale dovuto dal proprietario (è chiaro quindi che questi deve previamente interpellare l'usufruttuario se voglia o no esercitare la facoltà di fare il pagamento), il proprietario può anzitutto provvedere lui stesso al pagamento. In tal caso sulle somme sborsate da questo, l'usufruttuario gli deve corrispondere gli interessi legali, anche se il credito soddisfatto non produceva interessi.
Ma il proprietario ha anche un'altra via da scegliere: può cioè vendere quei beni il cui prezzo è sufficiente a pagare il capitale dovuto. In tal caso l'usufruttuario deve sopportare, sempre in coerenza al principio che egli ha diritto al godimento netto, la diminuzione del suo diritto.