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Articolo 986 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Addizioni

Dispositivo dell'art. 986 Codice Civile

L'usufruttuario può eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica della cosa [981].

Egli ha diritto di toglierle alla fine dell'usufrutto, qualora ciò possa farsi senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In questo caso deve essere corrisposta all'usufruttuario una indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna [975 3, 1593; 157].

Se le addizioni non possono separarsi senza nocumento della cosa e costituiscono miglioramento di essa, si applicano le disposizioni relative ai miglioramenti [985](1).

Note

(1) Nell'ipotesi di addizioni non facilmente separabili, l'acquisto del titolare si caratterizza per un doppio e simultaneo effetto, dovendosi escludere lo ius tollendi dell'usufruttuario; viceversa, si ha l'acquisto del nudo proprietario esclusivamente alla fine dell'usufrutto e sino ad allora le addizioni sono di competenza dell'usufruttuario, il quale ha la possibilità di eliminarle solo quando viene meno il relativo diritto, a meno che il proprietario voglia mantenerle per sé.

Ratio Legis

Le addizioni consistono in opere che, pur incorporandosi nel bene e determinandone un durevole aumento di produttività, conservano una propria distinta entità, risolvendosi in un incremento di carattere quantitativo.

Spiegazione dell'art. 986 Codice Civile

Il potere dell'usufruttuario di eseguire addizioni

La formulazione del principio, contenuta nel primo comma dell'art. 986, per cui l'usufruttuario può eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica della cosa, non è una formulazione accademica di un principio ovvio ma serve a risolvere alcuni gravi problemi che l'art. 495 del codice del 1865 faceva sorgere.

Che l'usufruttuario con il rispetto della destinazione economica della cosa potesse apportare innovazioni alla cosa data in usufrutto e quindi eseguire opere nuove era riconosciuto senz'altro dalla dottrina e dalla giurisprudenza sotto la vigenza del codice del 1865. Era invece discusso il problema se, per effetto dell'incorporazione alla cosa, le opere nuove si acquistassero subito per diritto di accessione dal proprietario salva la facoltà di questo di consentire alla fine dell'usufrutto l'esercizio dello ius tollendi da parte dell'usufruttuario (il che poteva equivalere a una rinuncia all'acquisto per accessione già verificatosi), o se invece gli effetti dell'accessione rimanessero sospesi durante l'usufrutto e quindi la proprietà delle opere nuove si acquistasse in tale periodo dall'usufruttuario.

L'esplicito riconoscimento del diritto di fare addizioni abbia senz'altro il significato di escludere che durante l'usufrutto operino a favore del proprietario i principi dell'accessione. Infatti si noti che la conseguenza pratica del problema qui accennato sarebbe che, ammettendosi l'immediata efficacia dell'accessione, l'usufruttuario non potrebbe rimuovere le opere nuove da lui fatte e acquistate dal proprietario prima della fine dell'usufrutto, perchè ciò equivarrebbe ad alterare la sostanza della cosa. Invece, ammettendosi che durante l'usufrutto l'usufruttuario conservi la proprietà delle opere nuove, egli potrebbe disporne e quindi anche rimuoverle o distruggerle, salva, s'intende, la sua responsabilità per gli eventuali danni recati alla cosa per effetto della separazione delle addizioni.

Ora, poiché la legge considera il potere di fare addizioni come contenuto del diritto di godimento dell'usufruttuario, è logico che rientri in tale contenuto il potere correlato di rimuovere le addizioni prima della cessazione dell'usufrutto, perchè altrimenti sarebbe strano che si riconosca all'usufruttuario un diritto che importerebbe solo vantaggi per il proprietario. L'accessione presuppone che sia stata compiuta una invasione non legittima della sfera giuridica del proprietario della cosa principale, il che certamente non si ha nell'ipotesi nostra in cui è la legge stessa che considera l'esecuzione delle opere come esercizio di un diritto dell'usufruttuario. Del resto il rigore dei principi dell'accessione si è continuato ad attenuare per effetto di una sempre maggiore considerazione del principio del lavoro, e non è affatto ingiustificato ammettere che la disposizione dell'art. 986 importa una deroga alla presunzione posta dall'art. 934,tanto più se si consideri che nella nostra ipotesi la presunzione che le opere eseguite dall'usufruttuario siano fatte a spese del proprietario non avrebbe assolutamente senso. Se a ciò si aggiunge che non sono state riprodotte nel codice le disposizioni degli art. 443 e 446 del codice del 1865 che formulavano in termini generali il principio dell'acquisto per accessione, si vede che la soluzione qui accennata e stata quella accolta dal legislatore.

Diversamente stanno le cose nel caso di addizioni che alterino la destinazione economica della cosa. In tal caso l'usufruttuario non esercita un diritto ma viola un suo obbligo fondamentale, il che importa che la condizione dell'usufruttuario non possa essere diversa da quella di un comune possessore di mala fede. Il proprietario acquista per diritto di accessione la proprietà delle opere nuove e quindi ne può impedire la rimozione anche durante l'usufrutto come può chiedere la rimozione incondizionatamente sia durante che alla fine dell'usufrutto. E se preferisce ritenere le opere, dovrà corrispondere l'indennità ma gli dovranno essere accreditate le ragioni di risarcimento nei confronti dell'usufruttuario.


Il regolamento delle addizioni alla fine dell'usufrutto

Al momento della cessazione dell'usufrutto la conciliazione degli interessi fra usufruttuario e proprietario in ordine alle addizioni è attuata attribuendo anzitutto al proprietario il diritto di ritenere le opere col pagamento di un'indennità, attribuendo all' usufruttuario, subordinatamente al mancato esercizio della facoltà di ritenere le addizioni da parte del proprietario, lo ius tollendi delle addizioni che si possono separare senza nocumento della cosa, applicando infine la regola dell'art. 934 nel caso che le addizioni inseparabili costituiscano un miglioramento.

Rispetto al codice del 1865 che riconosceva all'usufruttuario lo ius tollendi alla duplice condizione che la separazione si potesse fare con qualche suo profitto e senza nocumento della cosa, e ammetteva, nel caso che il proprietario preferisse ritenere le opere, il diritto dell'usufruttuario a un'indennità corrispondente al prezzo che questi ne poteva ritrarre staccandole dal fondo, il nuovo codice migliora notevolmente la posizione dell'usufruttuario, per quanto possa sembrare che essa riceva minor tutela di quella che l'usufruttuario ha in ordine ai miglioramenti, per i quali vi è in ogni caso it diritto all'indennità, laddove per le addizioni l'esercizio dello ius tollendi può rappresentare per l'usufruttuario un sacrificio molto più grave di quello che può subire nel caso che il proprietario preferisca ritenere le addizioni.

Ciò può sembrare strano per lo meno rispetto al codice del 1865 che tutelava, sia pure poco energicamente, la posizione dell'usufruttuario in online alle addizioni e non la tutelava in ordine ai miglioramenti, ma in fondo il sistema del codice nuovo è abbastanza logico, perchè il principio a cui il legislatore si è ispirato e di impedire che il proprietario consegua un arricchimento a spese dell'usufruttuario, ma al tempo stesso di evitare che il proprietario sia soggetto ad oneri di rimborsi che possono anche essere molto gravi. Perciò quando il proprietario non vuole ritenere le opere (ed è giusto che questa facoltà gli sia riconosciuta dato l'onere che può rappresentare il pagamento dell'indennità) e l'usufruttuario esercita lo ius tollendi, questi può effettivamente subire una perdita ma il proprietario non consegue arricchimento alcuno.

Quando il proprietario preferisce ritenere le opere, egli deve corrispondere all'usufruttuario un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna della cosa al proprietario. Non soltanto perciò si è abbandonato il criterio del codice del 1865 ma si è migliorata la posizione dell'usufruttuario anche nei confronti di quella del possessore per il quale l'indennità dovuta dal proprietario corrisponde alla minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore della cosa. Normalmente infatti il valore delle addizioni, in sè considerate, è più elevato dell'incremento di valore che esse rappresentano per il fondo, ma il criterio di maggior favore per l'usufruttuario appare approvabile se si considera che l'onere del pagamento dell'indennità e condizionato a un atto di volontà del proprietario, che impedisce l'esercizio dello ius tollendi dell'usufruttuario.

Lo ius tollendi dell' usufruttuario può essere paralizzato non solo dalla dichiarazione di volontà del proprietario di ritenere le opere ma anche dalla circostanza obbiettiva che la separazione delle addizioni non sia possibile senza nocumento alla cosa principale. In tal caso, a meno che il proprietario non preferisca sopportare il danno conseguente alla rimozione delle opere, l'usufruttuario non può esercitare lo ius tollendi e ha diritto a un' indennità soltanto se le addizioni rappresentano un miglioramento della cosa. L'Indennità quindi non si calcola in relazione al valore dell'addizione ma all'incremento di valore che l'addizione ha prodotto alla cosa, e sarà dovuta in quanto tale risultato sia veramente utile in funzione della destinazione economica della cosa.

Quando il proprietario dichiara di voler ritenere le opere o queste non sono separabili senza nocumento della cosa e perciò lo ius tollendi non può essere esercitato, la proprietà delle opere si acquista dal proprietario della cosa principale. L'acquisto si opera sempre a titolo originario in virtù del diritto di accessione perchè con la estinzione dell'usufrutto è scomparso l' ostacolo che si frapponeva alla sua efficacia, e non è subordinato al pagamento dell'indennità. Tale pagamento forma il contenuto di un obbligo (personale) del proprietario, a garanzia del quale l'usufruttuario non ha, per le ragioni addotte a proposito dell'articolo precedente, neppure il diritto di ritenzione.


Lo ius tollendi rispetto alle pertinenze

Le disposizioni dell'articolo in esame non si applicano invece alle cose che l'usufruttuario aveva destinato in modo durevole al servizio o all'ornamento della cosa oggetto dell'usufrutto, ossia alle pertinenze. L' art. 495 ult. cpv. del codice del 1865 riconosceva incondizionatamente all'usufruttuario lo ius tollendi degli specchi, quadri e degli altri ornamenti che avesse fatto collocare nel fondo tenuto a usufrutto. E tale disposizione si doveva necessariamente applicare a tutti quei beni che il codice del 1865 qualificava come immobili per destinazione e in genere a tutte le pertinenze, per lo meno secondo coloro che ammettevano la possibilità dell'usufruttuario di creare per la durata del suo diritto un rapporto pertinenziale fra la cosa principale oggetto dell'usufrutto e la cosa accessoria di proprietà dell'usufruttuario medesimo.

La disposizione dell'art. 495 ult. comma non è stata riprodotta nel codice malgrado che sia stato testualmente affermato che il rapporto pertinenziale può essere creato anche dall'usufruttuario. Ma comunque non è dubbio che la cessazione dell'usufrutto comporta l' estinzione del rapporto pertinenziale creato dall'usufruttuario necessariamente in funzione della durata del suo diritto, perciò l'articolo in esame, che regola le addizioni unite o incorporate alla cosa, non si può applicare. L'usufruttuario ha un incondizionato ius tollendi che non può essere limitato dalla volontà del proprietario, il quale può solo pretendere che l'usufruttuario rimetta in pristino la cosa e risarcisca i danni arrecati a questa per effetto del distacco materiale delle pertinenze.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

474 Per le addizioni ho conservato (art. 986 del c.c.) il principio tradizionale, secondo cui l'usufruttuario ha il ius tollendi, qualora la separazione possa farsi senza recare nocumento alla cosa, tranne che il proprietario preferisca di ritenerle: in quest'ultimo caso mi è sembrato giusto (art. 986, secondo comma, riconoscere all'usufruttuario il diritto a un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna, abbandonando così il criterio di eccessivo disfavore per l'usufruttuario adottato dal codice del 1865 (art. 495), il quale. limitava il rimborso alla somma corrispondente al prezzo che dalle addizioni avrebbe potuto ritrarre l'usufruttuario staccandole dal fondo. Ho inoltre dettato una particolare norma per le addizioni che non possono separarsi dalla cosa, ma ne costituiscono un miglioramento. E' equo e razionale che a tali addizioni, in quanto hanno migliorato la cosa, si applichino le disposizioni relative ai miglioramenti (art. 986, ultimo comma).

Massime relative all'art. 986 Codice Civile

Cass. civ. n. 10065/2018

In tema di diritto di abitazione, il credito derivante dalle migliorie e dalle addizioni apportate č inesigibile prima della restituzione del bene al nudo proprietario, in quanto, in applicazione del principio del divieto di arricchimento ingiustificato, solo al momento della riconsegna č possibile verificare se sia residuata una differenza tra lo speso e il migliorato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 18/09/2013).

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Consulenze legali
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A.F. chiede
mercoledė 13/10/2021 - Campania
“Vorrei impugnare il verbale di assemblea condominiale datato 8 ottobre 2021 relativo ad una palazzina in Napoli alla Via (omissis), in quanto io quale usufruttuaria dell'appartamento al primo piano, ove ho anche la residenza, non sono stata mai convocata, precisando che non ho mai comunicato all'Amministratore del condominio di essere usufruttuaria dell'appartamento, mentre nuda proprietaria è mia sorella con la quale non convivo, la quale è stata sempre convocata via PEC. Inoltre, ho appreso per caso che anche i due figli di altro condomino sono nudi proprietari e non sono stati mai convocati, mentre è stato convocato sempre il di loro padre titolare di diritto di abitazione, sulla sua email personale.”
Consulenza legale i 19/10/2021
Gli errori che attengono alla convocazione dei condomini alla riunione condominiale possono essere messi a fondamento di una eventuale impugnazione della delibera assembleare. Ai sensi del 2° co. dell’art. 1137 del c.c. l’impugnazione deve essere proposta entro il termine perentorio e obbligatorio di 30 gg., che per i condomini non presenti alla riunione decorrono dal giorno in cui viene loro comunicato il verbale della assemblea.

Visto che la riunione di condominio ha avuto luogo il giorno 8 ottobre scorso, si è ancora nei termini per avanzare una qualche contestazione a ciò che l’assise ha deciso. Tale probabilità è resa ancora più reale dal fatto che il termine indicato dall’art. 1137 del c.c. può ritenersi rispettato nel momento in cui si propone davanti ad un organismo abilitato un'istanza di mediazione: atto che può sicuramente redigersi anche in tempi molto brevi e ristretti rispetto ad un atto di citazione nei confronti del condominio, che dovrà essere poi notificato all’amministratore e iscritto successivamente a ruolo.

Si ricorda che ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs n.28/2010, nelle cause condominiali l’instaurazione del procedimento di mediazione diviene un passaggio obbligatorio e condizione necessaria per proporre poi opposizione innanzi al giudice.

Se da un punto di vista processuale si è nei termini per proporre opposizione, non è però detto che poi la stessa possa essere considerata fondata nel merito. I commi 6°e 7° dell’art. 67 disp.att. del c.c. ci dicono che l’usufruttuario ha diritto di voto in assemblea, e quindi vi è l’obbligo di convocarlo, solo se l’assise è chiamata a discutere affari di ordinaria amministrazione, salvo che egli non intenda avvalersi del diritto di cui all’art. 1006 del c.c. ovvero si tratti di opere o lavori ai sensi degli art.985 e 986 del c.c. In tutti gli altri casi, il diritto di voto, e quindi l’obbligo di convocazione, spetta al nudo proprietario.

Per capire quindi se una ipotetica contestazione possa trovare accoglimento è necessario sapere gli argomenti che sono stati trattati durante la riunione dell’8.10 us.
Se tale riunione era la classica riunione condominiale annuale è molto probabile che tra i suoi argomenti all’ordine del giorno siano stati trattati affari attinenti alla ordinaria amministrazione dello stabile, come approvazione del bilancio, nomina revoca amministratore, incarico ad impresa di giardinaggio, etc. In questo caso vi era sicuramente l’obbligo di convocare l’usufruttuario.
Se la riunione, invece, aveva ad oggetto la discussione circa lavori straordinari da eseguirsi nel palazzo, allora il diritto di voto spettava senz'altro al nudo proprietario, salvo che quest’ultimo si rifiuti di partecipare alla spesa: in questo caso l’usufruttuario può sopportare lui i costi d'intervento invocando la facoltà di cui all’ art. 1006 del c.c., avendo quindi diritto di voto nell'assemblea condominiale che tratta detti interventi.

Lo stesso discorso può dirsi nel caso in cui l’assemblea discuta sulla realizzazione di determinate innovazioni sulla cosa comune ai sensi degli artt. 1120e ss. del c.c. e l’usufruttuario voglia esercitare le facoltà di cui agli art. 985 e 986 del c.c.