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Articolo 544 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 03/08/2024]

Concorso di ascendenti e coniuge

Dispositivo dell'art. 544 Codice Civile

Quando chi muore non lascia figli, ma ascendenti(1) e il coniuge, a quest'ultimo è riservata la metà del patrimonio, ed agli ascendenti un quarto.

In caso di pluralità di ascendenti, la quota di riserva ad essi attribuita ai sensi del precedente comma è ripartita tra i medesimi secondo i criteri previsti dall'articolo 569(2).

Note

(1) Comma così modificato dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) La quota riservata agli ascendenti si divide tra linea materna e paterna. Ove però gli ascendenti delle due linee non siano di uguale grado, l'intera quota spetta all'ascendente più prossimo, senza distinzione di linea.
Esempio: alla morte di Tizio, sposato senza figli, succedono, oltre al coniuge, i genitori del defunto, Caio e Mevia. A ciascuno di questi ultimi spetta la metà della quota di legittima riservata agli ascendenti dalla norma in commento, ossia la metà di 1/4. Se però Caio è premorto a Tizio, i genitori ancora viventi di Caio (nonni di Tizio) non succedono a Tizio in quanto la quota di Caio spetta a Mevia.

Ratio Legis

Le norme che regolano la successione dei legittimari tutelano il coniuge, i figli e i genitori del de cuius, riservando loro una quota di patrimonio in relazione alla quale la volontà del testatore viene limitata. Si ritengono in tal modo correttamente bilanciate, da un lato, la tutela della famiglia (v. art. 29 Cost.), dall'altro, la liberta di ciascuno di disporre dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere (v. art. 587 del c.c.).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 544 Codice Civile

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Stefania M. chiede
sabato 14/03/2015 - Lazio
“Separazione consensuale tra coniugi ed effetti successori in caso di premorienza:
Sono stata coniugata per ca 22 anni in regime di comunione dei beni. In costanza di matrimonio abbiamo acquistato 2 immobili, uno a Roma ed un altro in Puglia. Il primo immobile è gravato da mutui ipotecari in cointestazione col coniuge. Di questi, nel 2005, uno fu contratto per acquisto e ristrutturazione del 2° immobile in Puglia, con gravame di ipoteca di 2° grado iscritta sul medesimo immobile di Roma. Nel Febbraio del 2014 mi sono separata consensualmente. Nel Giugno 2013, mio marito, per ottenere la consensuale, mi “costrinse” a cedergli la quota del 50% dell’immobile in puglia: l’atto fu stipulato, previa lettura dell’atto di separazione fiscale dei beni, al prezzo di euro 80.000,00 di cui solo euro 20.000,00 mi furono versati contestualmente al rogito; la somma residua fu stabilito in atto che mi venisse saldata entro il 31/12/2014. In effetti la vera clausola reale sottostante il saldo prezzo era ben diversa: fu inserita la data del 31/12/14 perché l’atto a titolo oneroso non poteva essere condizionato ad altra prestazione o comunque subordine. Il Notaio rogante ovviamente non avrebbe stipulato. In sede di separazione dinanzi al Tribunale fu redatto ed allegato un protocollo di accordo tra coniugi con il quale si stabilivano le assegnazioni dei beni mobili ed immobili, si stabiliva che ciascuno, godendo di proprio reddito, non essendoci figli nati dal matrimonio, nulla doveva all’altro e che le somme detenute in banca tra conto corrente e deposito titoli non entravano in divisione (nessuna assegnazione). Degli immobili descritti, tra cui il cespite in puglia, si dichiarò l’evento descritto di cessione a titolo oneroso della mia quota del 50 % avvenuta nel giugno 2013 e di cui si derogava la parte relativa al saldo prezzo da corrispondere entro il 31/12/14, subordinandola alla vendita dell’immobile 1^ casa in Roma, oggetto nel frattempo di mandato di vendita ad un’agenzia immobiliare. Tra le tante cose che minuziosamente furono riportate nel protocollo, nella parte che riguardava i mutui gravanti sull’immobile prima casa di Roma, si stabilì che venivano pagati equamente nella misura del 50%; per me, sebbene avessi ceduto il mio 50%, spettava e spetta tutt’ora (l’immobile di Roma è tutt’ora in vendita), di corrispondere il 50% della rata relativa. Per non parlare degli euro 80.000,00 figurativi e simbolici quale somma di cessione concordata in atto, di gran lunga inferiore al reale valore dell’immobile. Attualmente l’immobile di Roma è condotto in locazione da mio marito con contratto registrato con cedolare secca della durata di 3 anni + 3, decorrenza luglio 2014. Si è convenuto tra noi, fuori dalla sentenza di separazione, che la quota parte della rata mensile di mutuo, finalizzato alla seconda casa in puglia, venga scalata mensilmente dai famosi euro 60.000,00 che dovrò incassare, se e quando si venderà l’immobile di Roma.
1° quesito: l’accordo stilato ed allegato all’ordinanza di separazione, nella parte in cui subordina il saldo prezzo a mio favore della casa in puglia alla vendita della casa di roma, derogando l’impegno assunto nell’atto pubblico di incassare il saldo entro il 31/12/14, ha valenza legalmente ed è inoppugnabile rispetto a quanto stabilito nel rogito, essendosi perfezionato successivamente a questo e consensulamente? Potrei far valere quest’ultimo dinanzi al Giudice in eventuale causa che volessi intentare per farmi corrispondere il saldo prezzo? Potrebbe essere accolta? Mi risulta che la “convenzione” tra coniugi allegata alla sentenza di separazione non sia un documento vincolante legalmente e necessario, visto, tra l'altro, che nello specifico invalida l’atto pubblico di cessione a titolo oneroso, che in quanto tale, non può subordinarsi nella prestazione del corrispettivo ad evento indefinito, quale è la realizzazione della vendita di altro immobile. Infatti il Notaio non avrebbe stipulato l’atto di cessione se ci fosse stata una clausola condizionata e subordinata, qual è quella, menzionata nella convenzione tra coniugi, di incassare il saldo prezzo al determinarsi di un altro evento. Potrei quindi agire in giudizio per richiedere la nullità dell’atto di vendita dell’immobile per la mia quota del 50% , visto che alla data, stabilita in atto, del 31/12/2014 non ho incassato alcuna somma?
2°quesito: nell’ipotesi di prematura premorienza di uno dei coniugi, non avendo avuto figli, in caso di successione legittima, come vengono assegnati i beni immobili, per la reciproca misura del 50% di quella di Roma e del 100% di mio marito per quella in puglia? I miei eredi legittimi sono mia madre, vedova, un fratello e due sorelle; mio marito ha solo una sorella, i genitori entrambi deceduti.
Qualora mio marito mi premorisse ed avesse disposto testamento in favore dell’unica sorella nominandola erede di tutti i suoi beni, tra cui il suo 50% della casa di Roma + la piena proprietà di quella in puglia, lederebbe il mio diritto ad essere invece l’unica legittimata a succedere in qualità di coniuge, visto che siamo solo separati e non divorziati? In questa ipotesi dovrei impugnare il testamento? ….il Giudice mi darebbe ragione? Alla sorella spetterebbe comunque una quota da testamento? E quale? Visto che non è legittimata a succedergli?
La risposta sarà utile anche nell’ipotesi che io voglia disporre testamento per la mia quota di possesso dell’immobile di Roma e di tutti gli altri beni in mio possesso.
3° quesito: in caso di premorienza di uno dei coniugi, essendo solo separati legalmente e non essendo intervenuto divorzio, si ha diritto alla reversibilità della pensione per chi rimane in vita?
Vi ringrazio per il riscontro.”
Consulenza legale i 18/03/2015
1.
Nella vicenda in esame si è stipulato nel giugno 2013 un atto pubblico in cui la moglie cedeva al marito la sua quota del 50% di un immobile al prezzo di 80.000 €, con pagamento immediato di 20.000 euro e saldo entro il 31/12/2014. Dinnanzi al Presidente del tribunale dove è avvenuta la separazione, nel febbraio 2014, si dichiarava, però che il saldo del prezzo era subordinato alla vendita dell'immobile di Roma, clausola non prevista nel rogito notarile.

Va subito premesso che secondo la giurisprudenza di legittimità il verbale dell'accordo di separazione avrebbe natura di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 del c.c., e dopo l'omologazione costituirebbe titolo per la trascrizione ex art. 2657 del c.c. (v. ad esempio Cass. civ. 4306/1997): sarebbe, inoltre, valido un impegno a trasferire in futuro un diritto immobiliare. In generale, le condizioni della separazione possono contenere pattuizioni di natura patrimoniale che trovano occasione nella separazione.
E' pur vero che una parte della giurisprudenza non sposa interamente tale posizione, ritenendo che il decreto di omologa, contenente l’atto di disposizione, non possa acquistare la forma di un atto pubblico richiesto per la validità dei trasferimenti immobiliari (es. Tribunale Milano, sez. IX civile, decreto 21.5.2013), ma è pressoché unanimamente accettato che l’accordo possa contenere clausole di tipo obbligatorio con le quali le parti si impegnano ad eseguire trasferimenti, cessioni e quant’altro, nell’ambito della crisi solutoria della famiglia.

Ciò chiarito, bisogna trarre le conseguenze per il caso di specie: se il verbale di separazione soddisfa la forma scritta richiesta per gli impegni relativi a diritti immobiliari, ne discende che la pattuizione dei coniugi relativa all'apposizione della condizione al pagamento del prezzo residuo è formalmente valida, perché contenuta in un documento che ha la stessa forza - dal punto di vista formale - dell'atto pubblico di vendita (n.b.: il trasferimento immobiliare è già avvenuto nel 2013! Qui si tratta solo di regolare l'obbligazione del pagamento del prezzo). L'apposizione di una condizione, in sé, non "invalida" un accordo precedente, ma lo supera in una sua parte, quella relativa al pagamento del prezzo.

Di altra natura è il dibattito circa l'apponibilità di una condizione al pagamento del prezzo di una compravendita. La questione richiederebbe un approfondimento che non può essere effettuato in questa sede.
Ci si limita a dire che si reputa ormai ammissibile in giurisprudenza dedurre in condizione il pagamento del prezzo, configurandosi in tal modo, per alcuni, una vendita con riserva di proprietà.

L'ammissibilità della vendita condizionata, tuttavia, non significa che possa essere impunemente leso il diritto della moglie a ricevere il prezzo che le spetta.
La condizione consiste nella previsione espressa di un avvenimento futuro ed incerto dal quale dipende la produzione degli effetti (condizione sospensiva, art. 1535 del c.c.): è insita nella natura della condizione l'incertezza della realizzazione dell'evento dedotto (nel nostro caso, vendita di un secondo immobile).
Tuttavia, la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa (art. 1359 del c.c.): ciò significa che, se il marito, scorrettamente, si attiva affinché la condizione non si avveri mai (ad esempio, rifiuta tutte le proposte di acquisto che gli pervengono a mezzo dell'agenzia), la condizione si potrà ritenere come realizzata e il prezzo potrà essere chiesto immediatamente.
Al contrario, se il comportamento del marito è diligente e incolpevole, la moglie dovrà attendere la vendita dell'immobile di Roma per ottenere il saldo totale del prezzo.

Nel caso di specie si dovrebbe valutare se oltre che di condizione, si possa parlare anche di termine per il pagamento del prezzo (è certo che la vendita avverrà, ma non si sa quando).

Si precisa, in ogni caso, che la vendita perfezionata davanti al notaio appare - in base ai dati forniti nel quesito - perfettamente valida: quindi, non si potrà impugnare per nullità, ma al più se ne potrebbe chiedere la risoluzione per inadempimento del marito al pagamento del prezzo.

Poiché il caso è piuttosto complesso, è consigliabile che quanto sopra esposto sia utilmente approfondito da un legale che possa esaminare tutta la documentazione del caso, non offerta in visione in questa sede.

2.
Se premorisse la moglie, in caso di successione legittima, la sua eredità dovrebbe essere divisa in questo modo: al coniuge sarebbero devoluti i due terzi e la parte residua sarebbe devoluta agli ascendenti, ai fratelli e alle sorelle, secondo le disposizioni dell'articolo 571, salvo in ogni caso agli ascendenti il diritto a un quarto della eredità ai sensi dell'art. 544 del c.c. (v. art. 582 del c.c.).

Se premorisse il marito, sempre per successione legittima, erediterebbero la moglie (due terzi) e il residuo alla sorella (sempre in applicazione dell'art. 582).

Se il marito predisponesse testamento con nomina della sorella a erede universale, lederebbe senza dubbio il diritto alla quota legittima spettante alla moglie separata senza alcun addebito: l'art. 540 del c.c. stabilisce che a favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell'altro coniuge.
Quindi, la moglie avrebbe diritto ad impugnare l'eventuale testamento lesivo della sua legittima, per chiedere che le sia corrisposta la metà dell'eredità (azione di riduzione). L'altra metà andrebbe devoluta alla sorella del marito, posto che il testamento è pur sempre valido (salvo che non esistano altre cause di invalidità, es. testamento olografo non interamente scritto dal testatore), e che la moglie può solo rivendicare quanto le spetta, non chiedere che la sorella sia esclusa dall'eredità.

Nel caso della moglie, essendo vivente anche sua madre, la quota disponibile dell'eredità sarebbe ulteriormente ridotta, visto che al marito continuerebbe ad essere riservata la metà del patrimonio ma anche l'ascendente avrebbe diritto ad un quarto (art. 544).

3.
La reversibilità spetta anche al coniuge separato (anche a quello cui sia stata addebita la separazione, se gli sia stato riconosciuto il diritto agli alimenti), nonché al coniuge divorziato se titolare di assegno divorzile (v. sito INPS).