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Articolo 2320 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Soci accomandanti

Dispositivo dell'art. 2320 Codice Civile

I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari [2318]. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto(1) assume responsabilità illimitata e solidale [1292] verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali [38, 41, 2291] e può essere escluso a norma dell'articolo 2286 [2313, 2314, 2317, 2318].

I soci accomandanti possono tuttavia prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori(2) e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza.

In ogni caso essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri [2261, 2489] e gli altri documenti della società [2623, n. 3].

Note

(1) Il socio accomandante che violi il divieto d'immistione sarà inoltre assoggettato a fallimento in caso di fallimento della società, ai sensi dell'art. 147 della l. fall..
(2) La qualità di accomandante è compatibile con quella di lavoratore subordinato (v. 2094) della società, purché lo svolgimento delle mansioni affidate all'accomandante non implichino ingerenza nella direzione dell'impresa sociale.

Ratio Legis

Il legislatore si preoccupa di impedire una possibile utilizzazione anomala del contratto in accomandita, attraverso la quale il socio assumerebbe, all'interno della società, una posizione corrispondente a quella di un socio in nome collettivo e, tuttavia, godrebbe del beneficio della responsabilità limitata.

Spiegazione dell'art. 2320 Codice Civile

La norma contribuisce a delineare uno dei tratti caratterizzanti della società in accomandita semplice, in quanto sanziona con l’estensione della responsabilità illimitata gli accomandanti che si ingeriscano nell’amministrazione della società.
La violazione del divieto d’immistione comporta dunque la parificazione dell’accomandante all’accomandatario sul piano della responsabilità, ma non determina l’attribuzione della posizione di socio accomandatario. Inoltre, il compimento di atti gestori da parte dell’accomandante può configurare una giusta causa di esclusione del socio che si sia indebitamente ingerito nella gestione.

In ogni caso, la norma ammette la possibilità per gli accomandanti di svolgere attività pertinenti all’impresa solamente se tale prerogativa sia assegnata loro tramite procura speciale che abbia ad oggetto il compimento di atti specifici e determinati, in relazione ai quali il socio non abbia alcun margine di discrezionalità.

Ai soci accomandanti spetta comunque il diritto, se l'atto costitutivo lo prevede, di rendere pareri ed autorizzazioni, comunque non vincolanti per la società, fatta salva la responsabilità degli amministratori per l'attività compiuta senza tenere conto della volontà espressa dagli accomandanti.

L'esclusione degli accomandanti dalla gestione della società è compensato dal potere di controllo sulle attività sociali, come del resto previsto nelle società semplici (art. 2261).

Massime relative all'art. 2320 Codice Civile

Cass. civ. n. 26071/2022

In tema di società in accomandita semplice, la comunicazione dei bilanci ai soci accomandanti costituisce un adempimento imposto all'amministratore dall'art. 2320, comma 3, c.c. che prescinde da una richiesta avanzata dai soci, in quanto risponde al più generale dovere di diligenza nella conduzione della gestione sociale anche nei rapporti interorganici, consentendo, da un lato, l'esercizio del potere di controllo e di critica dei soci sull'operato dell'accomandatario, dall'altro, di ritenere consolidato l'esercizio, in mancanza di impugnazione.

Cass. civ. n. 15697/2019

La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società, la quale preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, deve ritenersi estesa alla controversia riguardante il recesso del socio dalla società, alla domanda di accertamento dell'inadempimento dell'amministratore agli obblighi di comunicazione ai soci accomandanti del bilancio e del conto dei profitti e perdite, ai sensi dell'art. 2320, comma 3, c.c., e alla connessa domanda di condanna dell'amministratore al risarcimento del danno ex art. 2395 c.c., rientrando i correlativi diritti nella disponibilità del socio che se ne vanti titolare.

Cass. civ. n. 16984/2018

Nella società in accomandita semplice, il socio accomandante che pone in essere atti propri della gestione sociale incorre, a norma dell'articolo 2320 c.c., nella decadenza dalla limitazione di responsabilità, sicché, ai sensi dell'articolo 147 l. fall., deve essergli esteso il fallimento. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la decisione di merito, dichiarativa del fallimento in estensione di un socio accomandante, il quale aveva intrattenuto in via esclusiva i rapporti con un creditore sociale in relazione ai canoni di un contratto di leasing immobiliare).

Cass. civ. n. 4498/2018

Per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice - vietata dall'art. 2320 c.c. e idonea a giustificare l'esclusione del socio ex art. 2286 c.c. - è necessario che l'accomandante contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in nome della società o di compiere atti di gestione aventi influenza rilevante sull'amministrazione della stessa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la mera "presa di contatto" del socio con un'altra società, tesa a sondarne le intenzioni "transattive", non comportasse violazione del divieto di ingerenza).

Cass. civ. n. 5069/2017

Il socio accomandante cui sia stata conferita una procura institoria e che abbia compiuto atti di gestione nell’esercizio della stessa assume responsabilità illimitata, ai sensi dell'art. 2320 c.c., per tutte le obbligazioni sociali, e, pertanto, in caso di fallimento della società, fallisce anch'egli in estensione ai sensi dell'art. 147 l.fall.

Il fallimento in estensione del socio accomandante di una società in accomandita semplice che, in quanto ingeritosi nella gestione, abbia assunto responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, è soggetto al termine di decadenza di un anno dall’iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale o societaria, che abbia determinato il venir meno della suddetta responsabilità. A tal fine non rileva la data della sentenza dichiarativa di fallimento della società perché non comporta il venir meno della responsabilità per estinzione della società o per scioglimento del singolo rapporto sociale.

Cass. civ. n. 17691/2016

Nelle società in accomandita semplice, il socio accomandante può far valere il suo interesse al potenziamento ed alla conservazione del patrimonio sociale esclusivamente con strumenti interni, quali l'azione di responsabilità contro il socio accomandatario, la richiesta di estromissione di quest'ultimo per gravi inadempienze, l'impugnativa del rendiconto, o la revoca per giusta causa dell'amministratore, mentre non è legittimato ad agire nei confronti dei terzi per far annullare o dichiarare nulli i negozi intercorsi fra questi ultimi e la società, non sussistendo un interesse proprio del socio accomandante, autonomo e distinto rispetto a quello della società.

Cass. civ. n. 11250/2016

Il socio accomandante assume la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, a norma dell'art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in nome della società, o di compiere atti di gestione aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull'amministrazione della stessa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto finalizzata alla cogestione dell'amministrazione sociale la mera presenza nella rivendita commerciale della socia accomandante, senza procedere all'ulteriore disamina della natura dell'attività esercitata).

Cass. civ. n. 23651/2014

Il socio accomandante che emetta assegni bancari tratti sul conto della società all'ordine di terzi, apponendovi la propria firma sotto il nome di quest'ultima e per conto della stessa, in difetto di prova della sussistenza di una mera delega di cassa, assume solidale ed illimitata responsabilità ai sensi dell'art. 2320 cod. civ. per tutte le obbligazioni sociali ed è, dunque, soggetto, in caso di fallimento della società, a fallimento in estensione ai sensi dell'art. 147 legge fall.

Cass. civ. n. 23211/2012

La situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice - la quale è caratterizzata dall'esistenza di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità - non è idonea, anche qualora una tale società sia irregolare, a far presumere la qualità di accomandatario, essendo all'uopo necessario accertare, di volta in volta, la posizione in concreto assunta dal socio, il quale, pertanto, assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell'art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione o di trattare o concludere affari in nome della società, dovendosi così escludere una responsabilità illimitata per un socio accomandante occulto di una siffatta società.

Cass. civ. n. 22246/2012

La responsabilità illimitata del socio accomandante ingeritosi nell'amministrazione della società, sancita dall'art. 2320 c.c. che, a tal fine, lo equipara all'accomandatario, non è collegata a vicende personali o societarie suscettibili di pubblicizzazione nelle forme prescritte dalla legge, ma deriva dal dato meramente fattuale di tale ingerenza e non è destinata a venir meno per effetto della sola cessazione di quest'ultima, prescindendo la suddetta equiparazione da qualsiasi distinzione tra debiti sorti in epoca anteriore o successiva alla descritta ingerenza, ovvero dipendenti o meno da essa. Pertanto, l'estensione, in siffatte ipotesi ed alla stregua dell'art. 147 legge fallim., del fallimento della società in accomandita semplice al socio accomandante non è soggetta ad altro termine di decadenza che non sia l'anno dalla iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale (ad esempio il recesso) o societaria (ad esempio la trasformazione della società), che abbia comportato il venir meno della sua responsabilità illimitata, escludendosi, invece, la possibilità di ancorare la decorrenza di detto termine alla mera cessazione dell'ingerenza nell'amministrazione.

Cass. civ. n. 13468/2010

La prestazione di garanzia in favore di una società in accomandita semplice ed il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali (quand'anche indebito o addirittura illecito) non integrano l'ingerenza del socio accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice - con l'assunzione della responsabilità illimitata, a norma dell'art. 2320 c.c., e la conseguente estensione al socio del fallimento della società, ai sensi dell'art. 147 della legge fall. - in quanto la prima attiene al momento esecutivo delle obbligazioni ed il secondo non costituisce un atto di gestione della società.

Cass. civ. n. 11973/2010

Nelle società in accomandita semplice il potere di rappresentanza spetta al socio accomandatario, mentre l'accomandante non può trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale relativa, volta a volta, alla singola operazione, venendo ad assumere, in caso di violazione del divieto - configurabile anche laddove egli agisca in base a procura generale o a procura asseritamente speciale, ma talmente ampia da consentire di fatto la sua sostituzione all'amministratore nella sfera delle delibere di competenza di questi - responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali: pertanto, incombe su chi sostiene di avere agito in nome e per conto della società non solo effettuare la "contemplatio domini", ma, altresì, dimostrare di averla compiuta comunicando alla controparte la sua qualità. (Fattispecie relativa a contratto di locazione asseritamente concluso da una s.a.s., in cui la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto inconferente, al fine della prova dell'imputazione del contratto, la circostanza che la società utilizzasse i locali oggetto del medesimo).

Cass. civ. n. 21891/2004

Nella società in accomandita semplice, l'art. 2320 c.c., il quale sanziona il comportamento del socio accomandante, che compia affari in nome delle società senza specifica procura, con la perdita del beneficio della responsabilità limitata verso i terzi, non introduce deroghe alla disciplina generale della rappresentanza senza potere, e, pertanto, se la società eccepisce l'inefficacia nei suoi confronti del negozio stipulato da quel falso procuratore, nessuna obbligazione sorge a suo carico, se il terzo non prova che la società medesima lo ha ratificato.

Cass. civ. n. 7554/2000

È nulla la clausola dell'atto costitutivo di una società in accomandita semplice, la quale preveda la necessità del consenso scritto di tutti i soci per una determinata serie di atti, in violazione dell'articolo 2320 c.c., che istituisce una necessaria correlazione tra potere economico e rischio economico nell'interesse non solo dei soci e dei creditori ma, in generale, di un responsabile esercizio dell'attività d'impresa. (Il testo della clausola era il seguente: «L'uso della firma sociale e la legale rappresentanza della società di fronte ai terzi e in giudizio spettano al socio accomandatario... Egli può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale... ad eccezione dei seguenti atti: a) nomina e revoca di procuratori della società per i quali occorre il consenso scritto di tutti i soci; b) acquisto, permuta di beni immobili, stipulazione di contratti di locazione di immobili per durata ultranovennale, costituzione di diritti reali su beni immobili, determinazione dei prezzi di vendita dei beni immobili, stipulazione di contratti di appalto, rilascio di avalli e fideiussioni in nome della società a favore di terzi, per tutti i quali occorre la firma congiunta del socio accomandatario e di un procuratore della società ovvero — in mancanza del medesimo — il preventivo consenso scritto di tutti i soci»).

Nella società in accomandita semplice, il socio accomandante che compie atti della gestione sociale incorre a norma dell'articolo 2320 c.c. nella decadenza dalla limitazione di responsabilità, e ciò anche qualora si tratti di atti di gestione interna senza concorrere alla estrinsecazione esterna della volontà dell'ente societario e senza entrare in rapporto con i terzi nella conclusione dell'affare; pertanto, ai sensi dell'articolo 1471. fall., il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all'accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società. (Nella specie, in applicazione di tale principio la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva respinto l'opposizione alla dichiarazione di fallimento di soci accomandanti, i quali, in forza di clausola dell'atto costitutivo dichiarata nulla ex officio, avevano previamente autorizzato il compimento di un atto di amministrazione).

Cass. civ. n. 10447/1998

Nella società in accomandita semplice, il compimento di atti della gestione sociale da parte del socio accomandante, se pure determina, a norma dell'art. 2320 c.c., la perdita della limitazione di responsabilità di detto socio, non comporta però la responsabilità della società per gli atti e i contratti posti in essere dal suddetto socio per conto (e in nome) di essa, salva l'ipotesi di successiva ratifica.

Cass. civ. n. 2854/1998

In tema di società in accomandita semplice, deve escludersi che il «singolo affare» (che, a norma dell'art. 2320, il socio accomandante può compiere in forza di procura speciale) possa consistere in una categoria di operazioni, cosi come i poteri autorizzati non devono, comunque, essere idonei, per la loro portata od estensione, a condizionare le scelte dell'accomandatario. (La S.C. ha cosa confermato la sentenza del merito che aveva qualificato come generale, sebbene formalmente definita come speciale, la procura concessa dall'accomandatario all'accomandante, in virtù della quale quest'ultimo era stato delegato per tutta la gestione bancaria della società).

Cass. civ. n. 9659/1997

Per «determinate operazioni», a norma dell'art. 2320, secondo comma, s'intendono o singole operazioni o categorie della medesima operazione, e sempre che le operazioni indicate consentano di essere individuate con precisione nella loro effettiva portata. Deve pertanto ritenersi legittima la previsione statutaria della previa autorizzazione da parte dell'accomandante per la contrazione di mutui eccedenti una somma predeterminata e non invece la medesima previsione contemplante genericamente gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione o le obbligazioni eccedenti una determinata somma.

Cass. civ. n. 4019/1994

Con riguardo a società in accomandita semplice, l'art. 2320 c.c., facendo divieto al socio accomandante non soltanto del compimento di atti di amministrazione o di conclusione di affari in nome della società stessa, ma anche di semplici trattative, si impronta alla ratio di precludere al detto socio qualsiasi ingerenza nell'attività sociale, con la conseguenza che la violazione di tale divieto, non è riducibile all'ipotesi della attività del falsus procurator, con la mera conseguenza dell'irrilevanza di questa rispetto alla società, ma rileva come comportamento potenzialmente idoneo a determinare un mutamento del tipo sociale e, quindi, dannoso rispetto alla gestione sociale ed alla posizione di preminenza del socio accomandatario.

Cass. civ. n. 9454/1992

Con riguardo alla società in accomandita semplice la mancanza dell'autorizzazione del socio accomandante prevista nell'atto costitutivo per il compimento di determinati atti da parte del socio accomandatario amministratore e, più in generale, l'inosservanza, da parte di questo, di quanto stabilito dal socio accomandante in virtù dei poteri a lui attribuiti dall'atto costitutivo, ai sensi dell'art. 2320 c.c., pub essere solo fonte di responsabilità del socio accomandatario amministratore nei confronti del o dei soci accomandanti ma non incide, trattandosi di limitazioni attinenti ai rapporti interni, sulla validità del contratto stipulato con i terzi dal socio accomandatario, al quale spetta pur sempre il potere rappresentativo della società, neppure se nel contratto sia richiamata espressamente la disposizione dell'atto costitutivo che prescrive detta autorizzazione, incidendo tale clausola solo sulla efficacia del contratto validamente concluso dal socio accomandatario.

Cass. civ. n. 508/1991

La situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice, la quale è caratterizzata dall'esistenza di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità (illimitata per gli accomandatari e limitata alla quota conferita per gli accomandanti, ai sensi dell'art. 2312 c.c.), non è idonea a far presumere la qualità di accomandatario, essendo necessario accertare di volta in volta la posizione in concreto assunta dal detto socio, con la conseguenza che il socio occulto di una società in accomandita semplice assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell'art. 2320 c.c., solo ove compia atti di amministrazione di natura gestoria, sia pure all'interno della società.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2320 Codice Civile

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Francesco P. chiede
lunedì 10/02/2020 - Lombardia
“Buongiorno,
prima di sottoporvi il quesito, faccio una breve premessa per dare un’idea della situazione.

Io circa tre anni fa ho acquisito una quota di una sas pari al 32% ; fanno anche parte della compagine sociale il Sig. Alfa (socio al 24% nonché socio accomandatario ) e i suoi figli , Sig. Beta (socio al 22% ) ed il Sig. Charlie (socio al 22% ) .

Ad oggi esistono due società , una sas (società controllante ) che qualche anno fa , con un conferimento di ramo d'azienda , ha costituito una Srl a socio unico di proprietà della sas per l'intero capitale ( società controllata con Amministratore unico Sig. Alfa ) .

Il Sig. Alfa è quindi socio accomandatario della sas e amministratore unico della Srl .


Da quando sono entrato di diritto nella sas ad oggi, ho sentito un gran parlare della Srl collegata ma non ho mai avuto notizie da parte del Sig. Alfa .
Non mi ha mai consegnato nessuna documentazione , l'atto costitutivo , la visura storica e i relativi bilanci della società controllata.
Li ho scaricati da internet in virtù di un episodio piuttosto singolare:
Lo scorso Dicembre vengo contattato dalla Banca per rinnovare delle firme al fine di concedere garanzie reali quali fido in conto corrente di entrambe le società e fideiussione per mutuo ipotecario relativo alla Srl;


Dopodiché ho chiesto al sig. Alfa di poter visionare gli estratti conto della Srl , e c'è stata la conseguente negazione ( aggiungo anche con la complicità dei figli) .

Inoltre la Banca ha accettato la richiesta fatta da il Sig. Alfa per esentarmi dalle firme.

Quesiti:
in base all'articolo 2476 ho il diritto di controllo anche sulla partecipata Srl in qualità di socio della sas che possiede l'intero capitale ?

Posso chiedere i danni al Sig. Alfa per impedito controllo ( articolo 2625) e omissione di notizie relative alla Srl degli ultimi tre anni?

Inoltre, se lo statuto della sas prevede che la società può concedere garanzie reali e personali alla Srl , è legittima l'esenzione dalle firme di fideiussione ?

Grazie e cordiali saluti.”
Consulenza legale i 25/02/2020
La risposta al quesito richiede richiamare, in primis, quale sia il ruolo del socio accomandante nella società in accomandita semplice.

Ebbene, ai sensi dell’art. 2320cc del c.c. i soci accomandanti non possono “compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'articolo 2286”.

Come si può evincere dal ruolo che viene riconosciuto dalla predetta disposizione al socio accomandante, la gestione della società in accomandita semplice è affidata esclusivamente al socio accomandatario; nel caso di specie, pertanto, la gestione sarebbe affidata al Sig. Alfa, socio accomandatario della società in oggetto.

Al socio accomandante è, comunque, riconosciuto un potere controllo, così come previsto dal 3 comma della medesima disposizione: “In ogni caso essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza consultando i libri e gli altri documenti della società”.

Il potere di controllo di detto socio, pertanto, è limitato solamente alla verifica della documentazione contabile e finanziaria della s.a.s., con una possibile estensione di tale potere di controllo all’ulteriore documentazione della s.a.s., laddove risultassero delle incongruenze dall’analisi della documentazione contabile e finanziaria.

Ciò detto, e venendo alla risposta al primo e al secondo punto del quesito formulato, ovvero la possibilità di estendere tale controllo del socio accomandante anche alla s.r.l. posseduta dal socio unico s.a.s., ed eventuale ricorso agli ulteriori mezzi di cui all’art. 2625 del c.c., non sembra che possa sostenersi che, singolarmente, il socio della società accomandante possa esercitare quei poteri di controllo riconosciuti dall’art. 2476 del c.c., atteso che il capitale sociale di tale s.r.l. è posseduto interamente dalla s.a.s. e non dal singolo socio accomandante.

Alla luce di tali considerazioni, al socio accomandante in sé non può ritenersi attribuibile un potere di controllo sulla s.r.l., il quale, invece, spetta alla s.a.s. - socio unico della s.r.l. - la quale, tuttavia, è gestita dal socio accomandatario Alfa, come previsto dalla disciplina che regola tale forma societaria.

Tale struttura societaria impedisce di fatto al socio accomandante di poter “sollecitare” la s.a.s. affinché eserciti poteri di controllo sulla s.r.l. ai sensi dell’art. 2476 c.c., ovvero ricorra agli ulteriori mezzi riconosciuti dall’art. 2625 c.c. in caso di ostacolo all’esercizio di tale potere.

Il ruolo “subalterno” che la normativa attribuisce al socio accomandante di una s.a.s. rende oggettivamente impossibile per tale socio l’esercizio di qualunque atto gestorio all’interno della s.a.s. stessa, tra cui rientrerebbe anche l’eventuale decisione di esercizio di un potere di controllo verso la s.r.l. ai sensi dell’art. 2476 c.c.

In sostanza, non avendo un ruolo attivo all’interno della s.a.s., e neppure poteri gestori (salvo eventuali disposizioni statutarie contrarie), al socio accomandante pare non possa riconoscersi, nella situazione prospettata, alcun potere di controllo nei confronti della s.r.l. e neppure la possibilità di ricorrere agli ulteriori mezzi di cui all’art. 2625 c.c.

In merito, infine, al terzo punto del quesito, valgono le medesime considerazioni di cui sopra, ovvero, atteso che il potere gestorio è in mano al socio accomandatario Alfa, le decisioni che impegnano la s.a.s., come ad esempio il rilascio di garanzie reali o personali, sono di competenza di chi ha la gestione della s.a.s. stessa, ovvero il socio accomandatario Alfa.

L’esenzione dalle firme non sembra che possa ritenersi una decisione illegittima.

Non si deve dimenticare, infatti, che eventuali ingerenze del socio accomandante nella gestione di una s.a.s. comportano, in primis, l’insorgere di una responsabilità illimitata da parte di detto socio in relazione alle obbligazioni contratte in nome della società, con venir meno dello scudo del patrimonio sociale, e, in secondo luogo, la possibile sua esclusione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2320 e 2286 c.c.: “Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'articolo 2286”.

Piero V. chiede
lunedì 14/01/2019 - Liguria
“Si consideri una Società in accomandata semplice composta: da 1 socio accomandante con un 60% di partecipazione e 4 soci accomandatari con 10% di partecipazione cadauno.
Capitale sociale interamente versato 30.000 euro.
Il socio accomandante contrae un mutuo di 70.000 euro per acquistare i prodotti che saranno poi messi in vendita nel negozio. Il mutuo viene assistito da un’ipoteca su un immobile di proprietà del socio accomandante.
In caso di fallimento, se non sbaglio, i creditori si rifanno in modo prioritario sul capitale conferito dai 5 soci (accomandante e accomandatari) e poi sui patrimoni dei soci accomandatari in quanto illimitatamente responsabili in solido.
Vorrei sapere se è possibile, l'inserimento nell'atto costitutivo della società di una clausola secondo la quale i creditori in caso di fallimento possano rifarsi prima sul capitale conferito e poi sul immobile, oggetto di ipoteca, di proprietà del socio accomandante e solo in seguito sui patrimoni degli accomandatari?

Consulenza legale i 23/01/2019
Il quesito accenna all’ipotesi del fallimento ma al contempo parla dei diritti dei creditori sociali e di come essi possano recuperare il proprio credito.
E’ necessario, dunque, chiarire e distinguere tra l’ipotesi dell’esecuzione forzata e quella del fallimento.

Con l’espressione “esecuzione forzata” si intende un procedimento attraverso il quale un creditore – munito di un titolo esecutivo (che può essere una sentenza, un titolo di credito come un assegno, o altri tassativamente stabiliti dalla legge) – può rivolgersi all’ufficiale giudiziario e fai sottoporre a vincolo i beni del suo debitore (che da quel momento non può più disporne) a garanzia del suo credito per poi venderli forzosamente (all'asta) e soddisfarsi sul ricavato.
Ci sono diverse “forme” di esecuzione forzata: pignoramento mobiliare, pignoramento immobiliare, pignoramento presso terzi, ecc.

Tornando al quesito, vediamo cosa succede quando i creditori sociali devono agire in esecuzione forzata, ovvero devono recuperare i propri crediti, partendo dal presupposto, ovviamente, che essi abbiamo già ottenuto un titolo che li legittima a farlo.

La s.a.s. è un soggetto molto particolare all’interno della categoria delle società di persone.
Fanno parte della compagine societaria due categorie di soci: gli accomandanti e gli accomandatari.
I primi – che non hanno l’amministrazione della società – sono responsabili “limitatamente alla quota di capitale conferito”, ovvero, secondo la giurisprudenza, non è consentito ai creditori sociali agire direttamente nei loro confronti ma solo nei confronti della società.
Diverso è per i soci accomandatari, i quali rispondono, come i soci delle s.n.c., direttamente e con il proprio patrimonio per le obbligazioni sociali, però in via sussidiaria: ciò significa che essi vantano il cosiddetto “beneficium excussionis”, ovvero la possibilità di chiedere che i creditori sociali aggrediscano prima il patrimonio comune e solo in un secondo momento il loro patrimonio personale.

Dal quesito parrebbe di capire che il mutuo garantito da ipoteca sia stato acceso dall’accomandante a favore della società: la prima questione che andrebbe chiarita,dunque, è se tale socio abbia agito in forza di una procura speciale per quel singolo affare oppure no. Infatti, qualora non sia stata conferita alcuna previa procura espressa, il rischio è quello dell’assunzione – da parte dell’accomandante che ha agito – della medesima responsabilità illimitata e solidale che grava sugli accomandatari, in forza del disposto dell’art. 2320 c.c.
La Cassazione ha chiarito, tuttavia, che un operazione di questo tipo non rientra nel divieto della predetta norma: “Non assume responsabilità illimitata e solidale né è soggetto a fallimento il socio accomandante che presti una garanzia in favore della società e che prelevi fondi dalle casse sociali per esigenze personali, perché né l'una né l'altra operazione rientra negli atti di cui all'art. 2320 c.c.” (Cassazione civile sez. I 03 giugno 2010 n. 13468).
In particolare, la sentenza n. 1539 del 29 marzo 2017 del Tribunale di Catania ha affermato che per qualificare come “gestorio” (e quindi non consentito) un atto compiuto dal socio accomandante, è necessario che si tratti di un atto di carattere non meramente esecutivo, quanto piuttosto decisionale. Più precisamente, comporta la violazione del divieto di immissione (ingerenza) nella gestione della società il compimento, da parte del socio accomandante, di funzioni gestorie che si concretizzino nella direzione delle attività sociali, dunque di scelte proprie del titolare dell’impresa; tali non sono i comportamenti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, quali la prestazione di garanzie, né il prelievo di fondi dalle casse sociali per esigenze personali (come già affermato dalla Cassazione nella citata sentenza n. 13468/2010).

Ciò chiarito, la risposta ad uno dei problemi che pone il quesito, ovvero se sia possibile che i creditori di questa s.a.s. aggrediscano l’immobile del singolo socio accomandante che ha prestato la garanzia solo in un secondo momento, è purtroppo negativa.
Il diritto di garanzia prevale, infatti, ed è altra cosa rispetto al regime di responsabilità dei soci di s.a.s..
La garanzia (l’ipoteca) è stata concessa dal socio a copertura di un debito della società, dunque i creditori sociali, nel momento in cui devono recuperare forzosamente il loro credito, hanno il diritto/potere – prima di ogni altra cosa – di far valere la garanzia.
Rispetto, per ipotesi, ad altri creditori che non siano assistiti da garanzie e che, in base alle regole generali della s.a.s. sopra richiamate, dovranno prima aggredire il patrimonio comune e solo poi quello personale dei singoli soci (accomandatari, ovviamente), i creditori assistiti da ipoteca hanno un vantaggio importante, cioè la garanzia. E poco importa che quest’ultima abbia come oggetto un bene della società o di un singolo socio, il rapporto tra chi ha prestato la garanzia e la società è del tutto irrilevante.

D’altra parte l’ipoteca è una delle “cause legittime di prelazione”, ovvero attribuisce a chi ne è titolare uno speciale diritto, quello di essere soddisfatto per primo: questo vale sempre, indipendentemente dal fatto che si versi in ipotesi di s.a.s. o di altre società.
In presenza dell’ipoteca è quindi evidente che non sarebbe legittima una clausola dell’atto costitutivo della società che stabilisca il contrario. Se non ci fosse l’ipoteca, invece, sarebbe consentita una clausola che preveda la preventiva aggressione del patrimonio sociale rispetto a quello personale degli accomandatari, dal momento che questi ultimi – lo si è detto – beneficiano per legge della possibilità di esercitare questa opzione.

Veniamo infine all’ipotesi del fallimento.
Questa procedura viene chiamata “concorsuale” proprio perché – a differenza dell’ipotesi dell’esecuzione forzata - in essa tutti i creditori (o meglio chi non intende rinunciare al credito) concorrono alla pari. Si parla infatti di “par condicio creditorum”, che in latino significa che tutti i creditori si trovano nella medesima condizione ed hanno gli stessi diritti.
Sono fatte salve solamente quelle che sopra abbiamo chiamato le “cause legittime di prelazione”, ovvero i creditori assistiti da:
hanno diritto di essere soddisfatti per primi rispetto ad altri creditori che non hanno ragioni di “privilegio” e che per questo si chiamano “chirografari”.

Attenzione, tuttavia, che nel fallimento non sono i creditori a decidere come procedere per recuperare il loro credito, ma è il Giudice. Più precisamente, il Tribunale fallimentare nomina un Curatore, il quale predispone un progetto per soddisfare i creditori, progetto che dev’essere soggetto ad approvazione, sia del Giudice che degli stessi creditori.
Il sistema è molto semplicemente quello di liquidare il patrimonio sociale e di ripartire il ricavato della vendita proporzionalmente tra i vari creditori coinvolti. A curare la vendita e decidere modi e tempi è sempre il Curatore Fallimentare sotto la direzione del Giudice Delegato al Fallimento.
Il Curatore, allo stesso modo dei creditori nell’esecuzione forzata (perché non dimentichiamolo, egli agisce nel loro interesse), se esiste un’ipoteca a garanzia del debito sociale la sfrutterà sicuramente: dovendo coprire i debiti pendenti nella misura maggiore possibile, infatti, egli metterà senz’altro in vendita l’immobile concesso dal socio accomandante in garanzia e distribuirà ai creditori la somma ricavata in base al piano di riparto approvato dal Giudice.




P. S. chiede
giovedì 31/03/2022 - Toscana
“Buongiorno,
fallimento dichiarato il 30/11/2021. In data 06/05/2021 un ramo d’azienda (panificio), per il quale a suo tempo fu corrisposto un prezzo di €. 50.000, è ritornato nella disponibilità della società FALLITA con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. per inadempimento. In data 02/09/2021 lo stesso ramo d'azienda veniva nuovamente ceduto ad una SRLS il cui amministratore Unico è l'ex socio accomandante della società FALLITA receduto dalla FALLITA in data 23/12/2019 per un prezzo di €. 2.990. Per voi esistono gli estremi per un'azione revocatoria fallimentare? Come posso giustificarla al Giudice? Posso richiedere il fallimento dell'ex socio accomandante quale socio occulto dell'operazione visto che è uscito dalla compagine sociale oltre l'anno precedente al fallimento (art. 10 l.f.)? Grazie”
Consulenza legale i 08/04/2022
In relazione alla revocatoria fallimentare, la legge fallimentare distingue gli atti posti in essere dal fallito dettando regimi diversi a seconda che la revoca riguardi gli atti a titolo gratuito (art. 64 della l. fall.), i pagamenti (art. 65 della l. fall.) o gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie (art. 67 della l. fall.).

Presupponendo la cessione d’azienda come un atto a titolo oneroso, il caso esposto pare rientrare nella previsione di cui all’art. 67 della l. fall., il quale, per tali categorie di atti, al comma 1, distingue quattro categorie di atti compiuti dal fallito nell'anno o nei sei mesi anteriori al fallimento, per le quali può esercitarsi azione revocatoria, a meno che l'altra parte provi di non essere a conoscenza dello stato d'insolvenza del debitore: gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti; nonché i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Il comma 2 dell'art. 67 della l. fall. indica, invece, come revocati, “se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore”, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Secondo la Suprema Corte, peraltro, se un’azienda dichiarata fallita, nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento effettua una cessione d’azienda o ramo d’azienda, il curatore può esperire un’azione revocatoria in relazione alla vendita e ottenere la retrocessione del ramo venduto; ai fini della revocabilità, è necessario che l’azienda abbia venduto il ramo ad un prezzo incongruo e in tempi sospetti (Cass. Civ., Sez. I, n. 803/2016).

Tanto premesso, si ritengono sussistenti i presupposti per esperire un’azione revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67 della l. fall., la cui fondatezza può rinvenirsi tanto nel comma 1, n. 1, quanto nel comma 2.

In relazione al comma 1, n. 1, la cessione di ramo d’azienda attuata in data 02/09/2021 potrebbe essere considerato un atto a titolo oneroso eseguito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui l’obbligazione del fallito (la cessione del ramo d’azienda) supera di oltre un quarto il prezzo pagato; sarà necessario dimostrare proprio questa sproporzione di valore, questione non particolarmente complessa se il medesimo ramo era stato alienato in precedenza per € 50.000,00.
L’altra parte potrà sempre dimostrare che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore; anche tale questione, tuttavia, sembra ampiamente superabile, considerando che il terzo, in questo caso, è un ex socio accomandante della società fallita, receduto meno di due anni prima della dichiarazione di fallimento.

In via subordinata, potrebbe ritenersi integrata, altresì, la fattispecie di cui al comma 2 della medesima norma; la cessione d’azienda, infatti, è un atto a titolo oneroso compiuto nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
In questo caso, tuttavia, sarà il curatore a dover dimostrare che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore; prova, si ritiene, raggiungibile, proprio in quanto il terzo acquirente è un ex socio accomandante della società fallita, receduto meno di due anni prima.

Gli acquirenti che si vedono espropriati del ramo di azienda diventeranno creditori dell’azienda fallita, quindi potranno insinuarsi al passivo fallimentare.

In relazione alla seconda questione posta con il quesito, la possibile estensione del fallimento all’ex socio accomandante, si rendono necessarie alcune considerazioni.
Ai sensi dell’art. 2320 del c.c., “I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'art. 2286.”
Pertanto, ove il socio accomandante sia decaduto dalla limitazione di responsabilità di cui al citato articolo 2320 c.c., risulta applicabile la disciplina di cui all'art. 147 della l. fall. e il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all'accomandante che, appunto, si sia ingerito nell'amministrazione della società.

In estrema sintesi si potrebbe mutuare un concetto espresso da una attenta pronuncia della Suprema Corte, la quale statuisce che "... per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice [...] non è sufficiente il compimento, da parte dell'accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l'accomandante svolga un'attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa ...". (Cass. Civ., n. 13468/2010)

Ai sensi dell’art. 147 della l. fall., in caso di fallimento della società, il fallimento dei soci illimitatamente responsabili non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata.
Il termine annuale di fallibilità, ex art. 147 della l. fall., non decorre dalla dichiarazione di fallimento, bensì dal momento in cui il socio occulto rende i creditori edotti, con idonee forme di pubblicità, dello scioglimento del suo rapporto sociale.
Tale principio può essere fatto valere anche nel caso di specie, poiché si tratta di socio illimitatamente responsabile che, tuttavia, assume la qualità di socio a responsabilità limitata ed è, dunque, comparabile alla posizione del socio occulto.

Nel caso di specie, oltre all’ingerenza dell’ex socio accomandante nella gestione della società fallita, che causerebbe la perdita del beneficio della responsabilità limitata, dovrà valutarsi anche il limite temporale di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale; ciò significa che se l’ex socio accomandate ha attuato le idonee forme di pubblicità per il suo recesso del 23.12.2019, il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dell’ex socio dallo scioglimento del rapporto sociale sarebbe già decorso, con conseguente impossibilità di estensione di fallimento nei suoi confronti.