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Articolo 1194 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Imputazione del pagamento agli interessi

Dispositivo dell'art. 1194 Codice Civile

Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore.

Il pagamento fatto in conto di capitale e d'interessi deve essere imputato prima agli interessi [1199 comma 2](1).

Note

(1) Se l'adempimento costituisce acconto, deve essere imputato agli interessi prima che al capitale.

Ratio Legis

La norma indica un limite alla libertà di imputazione di cui gode il debitore (v. 1193 c.c.) nel caso che l'obbligazione abbia prodotto interessi o generato spese per il creditore.

Brocardi

Prius in usuras id quod solvitur, deinde in sortem accepto feretur
Solidum non solvitur, non minus quantitate quam die

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

Massime relative all'art. 1194 Codice Civile

Cass. civ. n. 19812/2022

In tema di conto corrente bancario, ove al conto acceda un'apertura di credito, grava sul cliente che esperisce l'azione di ripetizione di interessi non dovuti l'onere di allegare e provare l'erronea applicazione del criterio di imputazione di cui all'art. 1194 c.c. (secondo cui ogni pagamento deve essere imputato prima agli interessi e poi al capitale) alle rimesse operate, in ragione della natura ripristinatoria delle stesse, trattandosi di fatto costitutivo della domanda di accertamento negativo del debito, con la conseguenza che non è configurabile un onere a carico della banca di dedurre e dimostrare quali rimesse abbiano carattere solutorio.

Cass. civ. n. 3858/2021

Nei contratti di conto corrente bancario cui acceda un'apertura di credito il meccanismo di imputazione del pagamento degli interessi, di cui all'art. 1194, comma 2, c.c., trova applicazione solo in presenza di un versamento avente funzione solutoria in quanto eseguito su un conto corrente avente un saldo passivo che ecceda i limiti dell'affidamento, sicchè non può mai configurarsi una siffatta imputazione, quando l'annotazione degli interessi avvenga sul conto corrente che presenti un passivo rientrante nei limiti dell'affidamento, avendo la relativa rimessa una mera funzione ripristinatoria della provvista.

Cass. civ. n. 3644/2021

L'imputazione del pagamento è una facoltà che inerisce ad un rapporto obbligatorio di debito - credito principale che va esercitata dal debitore all'atto del pagamento a pena di inefficacia e che, se esercitata successivamente, è efficace solo se vi sia il consenso del creditore, senza che possa configurarsi una prescrizione della facoltà di imputazione, potendo venire in rilievo esclusivamente la prescrizione del diritto di credito cui essa inerisce. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 26/11/2014).

Cass. civ. n. 29729/2017

Il credito del professionista per il compenso a lui spettante in ragione dell'attività svolta nell'esecuzione di un contratto d'opera è di valuta e, in caso di inadempimento del cliente e di sua costituzione in mora, dà luogo alla corresponsione di interessi nella misura legale, sempre che il creditore non dimostri il maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c.; ne consegue che, ove sia intervenuto il pagamento di acconti prima della liquidazione, il giudice deve tenerne conto, ai sensi dell'art. 1194 c.c., imputando il versamento agli interessi ed alle spese prima che al capitale, salvo diverso consenso del creditore e purché tanto il credito per il capitale che quello per gli interessi e le spese siano simultaneamente liquidi ed esigibili.

Cass. civ. n. 10941/2016

Il principio di cui all'art. 1194 c.c., secondo cui ogni pagamento deve essere imputato prima agli interessi e poi al capitale salvo un diverso accordo con il creditore, postula che il credito sia liquido ed esigibile, atteso che solo questo, per sua natura, produce interessi ex art. 1282 c.c., sicché è inapplicabile al rapporto di conto corrente bancario, nella cui struttura unitaria le operazioni di prelievo e versamento non integrano distinti ed autonomi rapporti di debito e credito reciproci tra banca e cliente, per i quali, nel corso dello svolgimento del rapporto, si possa configurare un credito della banca rispetto a cui il pagamento del cliente debba essere imputato agli interessi. Il suddetto principio è, tuttavia, utilizzabile se al conto acceda un'apertura di credito, ex art. 1842 c.c., ove il correntista abbia effettuato versamenti o su conto cd. scoperto, destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento, o su conto in passivo a cui non acceda l'apertura di credito.

Cass. civ. n. 8104/2013

In materia di risarcimento del danno da fatto illecito, qualora - prima della liquidazione definitiva - il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio non secondo i criteri di cui all'art. 1194 c.c. (applicabile solo alle obbligazioni di valuta, non a quelle di valore, qual è il credito risarcitorio da danno aquiliano), ma devolvendo alla data dell'evento dannoso sia il credito risarcitorio (se liquidato in moneta attuale) che l'acconto versato, quindi detraendo quest'ultimo dal primo e calcolando sulla differenza il danno da ritardato adempimento.

Cass. civ. n. 20574/2008

L'art. 1994 cod. civ., che prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi e quindi al capitale, si riferisce esclusivamente ai pagamenti volontari e non a quelli eseguiti coattivamente per ordine del giudice (fattispecie in tema di di ordinanza provvisoria ex art. 423 cod. proc. civ., ritenuta dalla S.C. comprensiva di capitale ed accessori maturati fino al momento della sua emanazione).

Cass. civ. n. 975/2004

Poiché l'art. 1194 c.c. contiene un criterio legale di imputazione, in forza del quale il debitore, senza il consenso del creditore, non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese, allorquando il creditore (rectius: debitore - N.d.R.) corrisponda una parte soltanto della somma complessivamente dovuta, e dia quindi luogo ad un adempimento parziale, è facoltà del creditore accettare il pagamento, senza che da tale accettazione possa desumersi la rinuncia alla imputazione delle somme secondo il criterio legale, anche qualora l'offerta di pagamento parziale sia accompagnata da una imputazione operata dal debitore e difforme da quella legale. (Nella specie, la sentenza impugnata, cassata dalla S.C., sulla base del rilievo che il creditore ha la possibilità di rifiutare la prestazione accompagnata dalla imputazione fatta dal debitore, aveva ritenuto che il ricevimento della somma, imputata dal debitore a capitale, comportasse anche accettazione, da parte del creditore, della imputazione effettuata dal debitore, così gravando il creditore dell'onere, non previsto né desumibile dall'art. 1194 c.c., di rifiutare il pagamento).

Cass. civ. n. 15053/2003

Il criterio legale di imputazione del pagamento agli interessi anziché al capitale (in difetto del consenso del creditore) di cui all'art. 1194 c.c. non costituisce fatto che debba essere specificamente dedotto in funzione del raggiungimento di un determinato effetto giuridico, risolvendosi, per converso, in una conseguenza automatica di ogni pagamento, con la conseguenza che non incombe sul creditore l'onere di dedurre i limiti estintivi del pagamento sul capitale, ma grava sul debitore quello di allegare che il detto creditore aveva consentito che il pagamento fosse imputato al capitale anziché agli interessi.

Cass. civ. n. 10281/2001

La normativa contenuta nell'art. 1194 c.c. contiene criteri di imputazione dei pagamenti di carattere generale, pertanto applicabili non solo nell'ambito del processo di cognizione ma anche nell'ambito del processo di esecuzione.

Cass. civ. n. 819/2000

Al creditore non può essere riconosciuta la facoltà di imputare i pagamenti ricevuti ad estinzione del debito, ad interessi extralegali, ove questi ultimi non siano stati fatti oggetto di una valida pattuizione ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, c.c. Ove invece sia mancata una tale pattuizione, il debitore può sì, per sua determinazione, pagare gli interessi in misura superiore a quella legale assolvendo in tal modo ad un'obbligazione naturale (dal che la conseguente irripetibilità di quanto pagato), ma se egli non abbia a manifestare un tal tipo di volontà, il creditore non può certo destinare le somme da lui ricevute al soddisfacimento di quella che finisce per presentarsi come un'obbligazione meramente naturale del solvens, invece che all'estinzione della obbligazione effettivamente pattuita, la quale sola gli consenta l'esercizio di azioni giudiziarie.

Cass. civ. n. 5707/1997

La disposizione dell'art. 1194 c.c. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili. Pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione, (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ma al capitale.

Cass. civ. n. 2115/1996

Poiché l'art. 1194 codice civile (il quale prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi, e quindi al capitale) è stato dettato con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, esso non trova applicazione in materia di risarcimento del danno derivante da atto illecito.

Cass. civ. n. 8063/1993

I principi in materia di imputazione di pagamenti, dispositivamente stabiliti negli artt. 1193 e 1194 c.c., in particolare il principio per cui il pagamento che non estingua tutte le obbligazioni del debitore deve essere imputato prima agli interessi già scaduti e poi al capitale (diversamente il capitale, venendo pagato, cesserebbe di produrre interessi), è applicabile anche in materia di titoli di credito, per cui, in caso di pagamento parziale di una cambiale, adempiuta l'obbligazione degli interessi, resta in piedi (in tutto o in parte) quella relativa al capitale, che può esser fatta valere secondo le caratteristiche proprie del titolo.

Cass. civ. n. 9668/1991

Le somme non contestate di cui il giudice abbia disposto il pagamento con ordinanza nel corso del giudizio ai sensi dell'art. 423, c.p.c. debbono essere imputate al capitale e non agli interessi che risulteranno dovuti all'esito del processo.

Cass. civ. n. 1982/1990

In tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi non essendo applicabile il criterio previsto dall'art. 1194 c.c., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario, inesistente fino alla liquidazione del danno, con la conseguenza che i detti versamenti devono imputarsi al capitale e, riducendo l'ammontare del danno, vanno parallelamente rivalutati perché elidono il fenomeno della svalutazione rispetto ad una parte del danno medesimo, mentre gli interessi devono essere calcolati sull'intero importo liquidato con decorrenza dalla data dell'evento dannoso fino alla data di corresponsione dei singoli acconti.

Cass. civ. n. 1994/1973

Il criterio legale di cui all'art. 1194 c.c. - di imputare i pagamenti agli interessi e alle spese, prima che al capitale - è applicabile anche in sede di opposizione all'esecuzione motivata dall'asserito pagamento del credito per il quale si procede.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1194 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

ERALDO P. chiede
mercoledì 06/06/2018 - Lazio
“Il giudice del lavoro condanna al pagamento il mio datore di lavoro per € 14.000,00 lordi, in corso di emissione della sentenza mi viene pagato un importo pari ad € 12.000,00 lordi, importo che comprende una parte di ciò che il giudice ha inserito in sentenza pari ad € 9.000,00. Orbene il mio datore di lavoro mi sta saldando l'importo differenza 14.000,00-12.000,00 pari a 2.000,00 lordi, inoltre richiesti gli interessi, come da sentenza, per ritardato pagamento, questi, il datore di lavoro, li calcola sull'importo di 12.000,00 e non su 14.000,00 tutto ciò appare sconcertante; che fare? Grazie.”
Consulenza legale i 14/06/2018
Gli interessi sono i frutti civili delle obbligazioni pecuniarie dovuti da chi utilizza un capitale non suo o, come nel caso di specie, da chi ne ritarda il pagamento.
L’art. 812 c.c. stabilisce, infatti che: i frutti possono essere naturali o civili e che i frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto.
L’art. 1282 c.c. prescrive che: i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente.
Nel caso di specie il credito vantato, già oggetto di accertamento giudiziale, risulta essere certo, liquido ed esigibile oltre che produttivo di interessi (con riferimento alla sentenza) dal giorno in cui era dovuto originariamente fino alla data dell’effettivo saldo.
Orbene, il credito di cui alla sentenza è pari a € 14.000,00 ed è produttivo di interessi dal giorno in cui tale importo era originariamente dovuto (dato questo che dovrà essere ricavato dalla sentenza). Tali interessi dovranno essere calcolati tenendo in considerazione che nel frattempo sono intervenuti alcuni pagamenti e, pertanto, essi continueranno a maturare solo sugli importi a credito residui fino al giorno del saldo.
Infatti, ai sensi dell’art. 1194 c.c., il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore. Il pagamento fatto in conto di capitale e d'interessi deve essere imputato prima agli interessi.
Quando il pagamento è effettuato parzialmente, mediante la corresponsione di acconti, per adempiere un debito costituito da capitale e interessi, esso va imputato prima agli interessi.
Per tutto quanto sopra detto, essendo in possesso di un titolo giudiziale (sentenza) definitivo, si potrà fare apporre la formula esecutiva e procedere all’intimazione di pagamento a mezzo di atto di precetto preannunciando al debitore l’azione esecutiva per la residua somma di cui rimane creditore a fronte del pagamento parziale effettuato a titolo di acconto.

Rosanna R. chiede
mercoledì 25/05/2016 - Lombardia
“Poiché l'Inps ritiene che in caso di restituzione di somme pagate a seguito di sentenza poi annullata in Cassazione NON si applica l'art. 69 comma 3 legge 153/69 (in quanto non le considera prestazione indebita) e, avvalendosi di alcune sentenze della Cassazione (a parer mio non pertinenti poiché non si riferiscono a quote della pensione del pensionato ricorrente, sent. n.6942/2010 e n. 25589/2010), pretende gli interessi dal pagamento al saldo, chiedo se per il mio caso specifico esiste qualche pronuncia della Cassazione che riconosce l'applicabilità della norma citata.
Le sentenze da voi citate del Tar Lazio si riferiscono a pagamenti indebiti non a seguito di sentenze.
Stante la pretesa dell'Inps per oppormi al pagamento degli interessi devo essere certa delle mie ragioni.
Comunque ammesso che gli interessi sono dovuti, visto che l'Inps non è in possesso di un titolo esecutivo per richiederli, e, visto che pretende di applicare un criterio giudiziale DI ALTRE SENTENZE per quantificarli, ha l'autorità per imputarli ai sensi art. 1194 c.c.???”
Consulenza legale i 06/06/2016
In primo luogo si ritiene che la prima pronuncia richiamata dall'INPS, a sostegno della propria tesi, non sia pertinente, poiché nella sentenza in questione viene riconosciuta la spettanza degli interessi legali sulle spese del giudizio pagate in base ad una sentenza poi riformata, quindi non viene affatto riconosciuta la spettanza degli interessi legali sulle somme corrisposte dall'INPS a titolo di pensione (in virtù di una sentenza poi riformata).
Per comodità e completezza si evidenza il passaggio della sentenza richiamata dall'INPS in cui si evidenza il principio di diritto sotteso alla pronuncia, tuttavia non pertinente al caso di specie:
"L'azione di restituzione di somme pagate per spese di lite in base ad una sentenza poi annullata non è riconducibile nello schema della condictio indebiti, perché si collega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza e prescinde dall'esistenza o no del rapporto sostanziale (ancora oggetto di contesa) né in particolare si presta a valutazioni sulla buona o mala fede dell'accipiens, non potendo venire in considerazione stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti.
Pertanto, in applicazione delle regole generali sui crediti pecuniari, gli interessi legali sulle somme predette devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda giudiziale" (cfr. Cassazione Civile, Sez. III, 23 marzo 2010, n. 6942).
La seconda pronuncia richiamata dall'INPS (Cass. Civ., Sez. Lav., 17 dicembre 2010, n. 25589), evidenzia, in un passaggio rilevante, che, con riferimento ad un caso analogo a quello sotteso alla nostra attenzione, la Corte ha riconosciuto la spettanza, oltre che della somma indebitamente corrisposta, anche degli interessi legali: "chi abbia eseguito un pagamento non dovuto, per effetto non già di un titolo di natura privatistica poi risultato inesistente o invalido, bensì di una sentenza provvisoriamente esecutiva e poi riformata, non è assoggettato alla disciplina della ripetizione dell'indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) ma ha diritto di essere indennizzato dall'accipiens della intera diminuzione patrimoniale subita, vale a dire alla restituzione della somma con interessi oppure rivalutazione (pari nel saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi), nella maggior misura a partire dal giorno del pagamento".
All'esito di un'analisi più approfondita della Giurisprudenza sottesa alla fattispecie in esame, alla luce degli ulteriori elementi forniti relativi al caso in questione, sembrerebbe che l'applicazione del dettato di cui all'art. 69, comma 3, della Legge n. 153/1969, sia limitata all'indebito percepito dal contribuente, non a seguito di sentenza provvisoriamente esecutiva (come nel caso di specie), bensì nel caso di indebito percepito in esecuzione di provvedimenti dell'Istituto di previdenza.
Nel caso di specie, l'indebito percepito dal contribuente ha la sua ragione nella sentenza poi riformata in appello e, in questo caso, la Giurisprudenza ha evidenziato che la parte vittoriosa è ben consapevole della provvisorietà della sentenza e del fatto che tale titolo potrebbe venire meno in appello: "L'azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza d'appello successivamente cassata ovvero di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva successivamente riformata in appello, non si inquadra nell'istituto della condictio indebiti (art. 2033 c.c.), sia perché si ricollega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza, sia perché il comportamento dell'accipiens non si presta a valutazione di buona o mala fede ai sensi dell'art. 2033 c.c. non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti. Pertanto ove si tratti di restituzione di somme, gli interessi legali, in applicazione delle regole generali sui crediti pecuniari, devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda (cfr. Cassazione Civile, Sez. III, 6 aprile 1999, n. 3291).
Pertanto, all'esito di tale ulteriore approfondimento giurisprudenziale, tale principio generale relativo alla restituzione delle somme, sembra non potere subire una eccezione in materia di restituzione di indebiti corrisposti dall'INPS in esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva.
Infine, con riferimento al secondo quesito formulato, si ritiene che, poiché allo stato non sembra esistere un titolo esecutivo da cui risultino liquidi ed esigibili gli interessi maturati, il contribuente possa imputare le somme da pagare alla somma capitale (quindi, alle prestazioni indebite percepite, anziché agli interessi).
Infatti, "l'art. 1194 c.c., secondo il quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o spese; di conseguenza, in tema di adempimento di obbligazioni pecuniarie sub iudice, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore, prima della liquidazione giudiziale o negoziale, non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dal cit. art. 1194 c.c., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario, da considerarsi invece, in questo caso, inesistente fino alla liquidazione" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23 dicembre 2013, n. 6218).
Nello stesso senso, si veda anche T.A.R. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia), Sez. I, 4 giugno 2014, n. 252: "In tema di imputazione di pagamento, l'art. 1194 c.c. - secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese senza il consenso del creditore - presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio (per interessi o per spese), sicché fino a quando sia incerto o illiquido il credito accessorio, il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale".