Cass. civ. n. 15162/2018
In materia urbanistica, qualora il Comune rimanga inerte a seguito della situazione di provvisoria inedificabilità dovuta alla scadenza del vincolo di destinazione di piano preordinato all'esproprio (cd. vuoto urbanistico), senza provvedere alla reiterazione del vincolo (con previsione di indennizzo) o, in alternativa, all'integrazione dello strumento pianificatorio stabilendo la nuova destinazione dell'area interessata, la situazione conseguente non è equiparabile alla compressione del diritto dominicale provocata dai vincoli preordinati all'esproprio, né è definibile come espropriazione di valore, attesa la provvisorietà del regime urbanistico di salvaguardia, ma il proprietario non resta senza tutela, ben potendo promuovere gli interventi sostitutivi della Regione, oppure reagire attraverso la procedura di messa in mora per far accertare l'illegittimità del silenzio, sicché solo in caso di persistente inerzia della P.A. può configurarsi la lesione del bene della vita identificabile nell'interesse alla certezza circa la possibilità di razionale e adeguata utilizzazione della proprietà, con conseguente diritto del privato al risarcimento del danno.
Cass. civ. n. 12468/2018
Ai fini dell'accoglimento della domanda di indennità per reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio, il proprietario può limitarsi al generico assunto di non potere più liberamente commerciare l'area, senza dover allegare il fallimento di trattative intercorse con aspiranti compratori, o l'impossibilità di coltivarle.
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Ai sensi dell'art. 39 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il Comune che reiteri vincoli preordinati all'esproprio è tenuto a svolgere d'ufficio una specifica ed esaustiva indagine sulle aree incise, al fine di determinare nell'atto medesimo un indennizzo in misura non simbolica, tenendo conto delle loro caratteristiche in concreto, per compensare il proprietario della diminuzione del valore di mercato o della impossibilità di utilizzo dell'area rispetto agli usi o alle destinazioni ai quali essa era concretamente o anche solo potenzialmente vocata; a tali accertamenti provvede la Corte d'Appello se l'amministrazione non abbia provveduto o abbia provveduto in termini contestati dal proprietario.
Cass. civ. n. 25320/2017
In materia di espropriazione per pubblica utilità, il vincolo particolare imposto dalla variante al piano regolatore generale che incida su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona ma della localizzazione di un'opera pubblica la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell'area. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la natura ablatoria del vincolo apposto su un complesso industriale da lungo tempo degradato e da destinare "al servizio della città", facendo riferimento per la determinazione dell'indennità di esproprio alla previgente destinazione del piano regolatore generale).
Cons. Stato n. 2627/2010
Ai sensi dell'art. 39 comma 1, t.u. sugli espropri, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il principio della spettanza di un indennizzo al proprietario nel caso di reiterazione o di tempestiva proroga del vincolo preordinato all'esproprio non rileva per la verifica della legittimità dei provvedimenti, che hanno disposto l'approvazione dello strumento urbanistico con la conseguente reiterazione o proroga del vincolo, atteso che i profili attinenti alla spettanza o meno dell'indennizzo e al suo pagamento non attengono alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione e sono devolute alla cognizione della giurisdizione ordinaria.
Cass. civ. n. 9302/2010
In materia urbanistica, qualora l'atto di reiterazione di un vincolo di inedificabilità sostanzialmente espropriativo sia stato annullato dal Capo dello Stato - adito con ricorso straordinario, ai sensi dell'art. 8 D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 - con l'affermazione del diritto all'indennizzo, appartiene alla giurisdizione amministrativa la domanda con cui l'interessato chieda la determinazione dell'indennizzo stesso, per il periodo di vigenza del vincolo, ed il risarcimento del danno, per il periodo successivo, in quanto: a) il diritto al pagamento dell'indennità di cui all'art. 39 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 e la conseguente giurisdizione ordinaria sulle relative controversie, ai sensi del successivo art. 53, comma 3, presuppongono un valido ed efficace atto di reiterazione del vincolo; b) quando sia in questione la legittimità di tale atto, è proponibile la domanda di risarcimento del danno da illegittima reiterazione, appartenente alla giurisdizione amministrativa, ai sensi dell'art. 35 D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, sia essa proposta congiuntmente all'azione demolitoria, od in via autonoma; c) l'annullamento travolge l'intera situazione indotta dall'adozione del vincolo, facendo venir meno il presupposto della pronuncia del giudice ordinario sulla domanda indennitaria e lasciando spazio alla sola domanda risarcitoria; d) costituisce questione afferente il merito della cognizione del giudice dotato di potestas iudicandi la valutazione di ammissibilità innanzi al giudice amministrativo della domanda, così come proposta, alla luce del principio di alternatività tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Cons. Stato n. 6936/2009
L'art. 39 t.u. n. 327 del 2001, avente natura ricognitiva del preesistente quadro normativo, evidenzia che l'ordinamento non impone l'indicazione di un indennizzo nel caso di reiterazione del vincolo preordinato all'esproprio (e, dunque, la relativa copertura finanziaria), poiché la sua spettanza o meno è del tutto eventuale e va accertata (solo quando il vincolo sia stato effettivamente reiterato) sulla base dell'istanza dell'interessato, che può attivare un procedimento nel corso del quale ha l'onere di dare prova del pregiudizio concretamente ricevuto dagli atti amministrativi.
Cons. Stato n. 4765/2008
Sebbene il t.u. in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327) non sia - formalmente - applicabile alle fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore, ai principi desumibili dal medesimo va riconosciuto un valore ricognitivo di quelli fondanti il quadro normativo vigente al momento della sua approvazione. Di conseguenza, per la decisione delle fattispecie anteriori all'entrata in vigore del t.u. cit., ben può essere valutata la coerenza delle relative soluzioni con i principi ora esplicitamente accolti nell'ordinamento, peraltro già enucleabili dal precedente tessuto normativo.
Corte cost. n. 314/2007
È costituzionalmente illegittimo il combinato disposto dell'art. 10, comma 9, L.R. Camp. 13 agosto 1998 n. 16, e dell'art. 77, comma 2, L.R. Camp. 11 agosto 2001 n. 10, nella parte in cui proroga per un triennio i piani regolatori dei nuclei e delle aree industriali già scaduti. La generalità dell'intervento di proroga dei piani Asi (che incidono direttamente sulle proprietà interessate, esponendole al procedimento espropriativo cui è prodromica la dichiarazione di pubblica utilità in essi implicita), infatti, non consente il bilanciamento dell'interesse pubblico con gli interessi dei proprietari destinatari del vincolo.
Cons. Stato n. 7/2007
Secondo il quadro normativo vigente antecedentemente al testo unico sugli espropri approvato con il D.P.R. n. 327 del 2001, valeva il principio che, in caso di atti di reiterazione dei vincoli preordinati all'esproprio, imponeva l'obbligo di un'adeguata motivazione (poi espressamente disposto dall'art. 9 comma 4, D.P.R. cit.), nella quale l'amministrazione doveva indicare la ragione che l'avevano indotta a scegliere nuovamente proprio l'area sulla quale la precedente scelta si era appuntata, evidenziando, a tal fine, l'attualità dell'interesse pubblico da soddisfare, ciò in quanto tale specie di determinazione è destinata ad incidere sulla sfera giuridica di un proprietario che già per un quinquennio è stato titolare di un bene suscettibile di dichiarazione di pubblica utilità e successivamente di esproprio
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Si ha adeguato supporto motivazionale dell'atto di reiterazione del vincolo preordinato all'esproprio qualora l'amministrazione, nell'evidenziare l'attualità dell'interesse pubblico da soddisfare, abbia a seguito di specifica istruttoria, tenuto conto delle seguenti circostanze: 1) in caso di reiterazione disposta con riguardo o meno una pluralità di aree, nell'ambito dell'adozione di una variante generale o comunque riguardante una consistente parte del territorio comunale, si devono distinguere le ipotesi in cui la reiterazione del vincolo riguardi un'area ben specificata (per realizzare una singola opera pubblica o per soddisfare i prescritti standard sui servizi pubblici o sul verde pubblico) e quelle in cui la reiterazione riguardi una pluralità di aree per una consistente parte del territorio comunale, a seguito della decadenza di uno strumento urbanistico generale che abbia disposto una molteplicità di vincoli preordinati all'esproprio (necessari per l'adeguamento degli standard, a seguito della realizzazione di ulteriori manufatti). Tale distinzione ha ragion d'essere perché solo nell'ipotesi in cui vengono reiterati «in blocco» i vincoli decaduti, già riguardanti una pluralità di aree, la sussistenza di un attuale specifico interesse pubblico risulta dalla perdurante constatata insufficienza delle aree destinate a standard (indispensabili per la vivibilità degli abitati), mentre l'assenza di un intento vessatorio si evince dalla parità di trattamento che hanno tutti i destinatari dei precedenti vincoli decaduti; 2) in caso di reiterazione disposta con riguardo solo ad una parte delle aree già incise dai vincoli decaduti, mentre per l'altra parte non è disposta la reiterazione in quanto il vincolo venga impresso su nuovi terreni. Tale scelta, pur costituendo senz'altro un'anomalia della funzione pubblica, deve fondarsi, pena il profilarsi di un intento vessatorio nei confronti dei proprietari delle aree riassoggettate a vincolo, su una motivazione da cui emergano le ragioni di interesse pubblico che giustifichino il vantaggio di chi non è più coinvolto nelle determinazioni di reperimento degli standard, a scapito di chi lo diventa, pur non essendo stato destinatario di un precedente vincolo preordinato all'esproprio; 3) in caso di reiterazione disposta per la prima volta, può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni; di converso, quando il rinnovato vincolo sia a sua volta decaduto, l'autorità urbanistica deve procedere con una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, evidenziano le ragioni, con riferimento al rispetto degli standard, alle esigenze della spesa, agli specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali, che diano conto dell'attuale sussistenza dell'interesse pubblico.
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La Plenaria n. 7/2007 rappresenta l'ultimo approdo di una lunga evoluzione giurisprudenziale e normativa in tema di varianti urbanistiche generali reiterative di vincoli a contenuto espropriativo ed in particolare in ordine all'ambito motivazionale delle stesse. Il Supremo Consesso ricostruisce i principi generali operanti per la particolare fattispecie, anche attraverso la disamina dei contenuti normativi T.U. espropriazioni cui è riconosciuto valore ricognitivo di principi previgenti, e restituisce innegabilmente margini di certezza all'interprete declinando il quomodo della motivazione con riferimento ad una serie di profili tra i quali il tempo trascorso e la sovrapponibilità, o meno, della reiterazione con i vincoli decaduti. Per l'effetto sembra stabilire un'area di sostanziale franchigia motivazionale per l'amministrazione (prima reiterazione) che finisce per dilatare surrettiziamente la durata normale dei vincoli, impregiudicato restando il diritto all'indennizzo, e residualmente indirizzare alla stessa una conseguente moratoria per le reiterazioni successive alla prima. Il favor per l'amministrazione (in sede di prima reiterazione) è amplificato da giustificazioni di carattere economico e trova un temperamento solo nell'esigenza di evitare disparità di trattamento nel caso di reiterazione avvenuta "non in blocco". Infine la previsione dell'indennizzo, a differenza di quanto affermato dalla Plenaria n. 24/99 ed in linea con l'evoluzione normativa, è considerato aspetto non incidente, neppure "in parte qua", sulla legittimità dell'atto, costituendo questione patrimoniale da regolarsi eventualmente dinanzi al giudice civile.
Cass. civ. n. 1754/2007
Il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo non è individuabile nell'imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza - giacché in tal caso ben può il proprietario sollecitare l'esercizio del potere pianificatorio attraverso la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta, l'illegittimità del silenzio - bensì nell'atto che esplicitamente lo reitera.
Cass. civ. n. 1741/2007
La competenza a conoscere delle controversie concernenti il riconoscimento del diritto all'indennizzo per reiterazione di vincoli di inedificabilità assoluta sostanzialmente espropriativi, nella ricorrenza dei presupposti indicati dalla Corte Cost. n. 179 del 1999, appartiene al tribunale e non alla Corte d'appello, come previsto dall'art. 39 del D.P.R. n. 327 del 2001, quando gli atti di rinnovo del vincolo espropriativo sono anteriori al 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del decreto citato.
Cass. civ. n. 10803/2006
A prescindere dalla configurabilità di un diritto al risarcimento del danno o all'indennizzo (art. 15, comma 3, L. n. 394 del 1991) in favore dell'attività di acquacoltura, per la proliferazione di uccelli ittiofagi a seguito dell'istituzione di parco naturale (nella specie, il parco del fiume Sile) in cui sono collocati gli impianti aziendali, non è dovuta alcuna indennità per il solo fatto dell'inclusione dei fondi all'interno del parco naturale, né in base alla normativa comunitaria, che prevede un regime di aiuti finalizzati a sostenere le attività agricole per l'impiego di metodi di produzione compatibili con le esigenze di tutela ambientale, né in base all'art. 15, comma 2, della legge quadro sulle aree protette (n. 394 del 1991), qualora il Ministero dell'ambiente non abbia esercitato il potere discrezionale di regolamentare e concedere provvidenze a carattere equitativo, pur previste dalla norma citata, al fine di indennizzare i vincoli conseguenti all'istituzione del parco, né alla stregua della natura espropriativa di detti vincoli, atteso che l'espropriazione di valore è in genere ravvisabile ove si privi il diritto dominicale dello ius aedificandi (mentre nella specie si tratta di terreni indubbiamente agricoli), e che, inoltre, la finalità ambientale del vincolo ne giustifica la natura conformativa, non indennizzabile, e comporta la manifesta infondatezza della q.l.c. della legge istitutiva del parco.
Corte cost. n. 397/2002
È manifestamente infondata, in riferimento all'art. 42 comma 3 Cost., la q.l.c. degli artt. 36, comma 1, 37, 38 e 39 L.R. Friuli Venezia Giulia 19 novembre 1991 n. 52, nella parte in cui consentirebbero all'amministrazione la reiterazione di vincoli urbanistici scaduti, preordinati alla espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo secondo modalità legislativamente previste, in quanto il presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente nel formulare la questione è erroneo: egli, infatti, in base all'art. 64 dello statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia, approvato con L. Cost. 31 gennaio 1963 n. 1, avrebbe dovuto applicare i principi già esistenti nell'ordinamento e fare riferimento al quadro normativo statale, quale risultante a seguito della sentenza n. 179 del 1999.
Cass. civ. n. 15519/2001
Premesso che il piano regolatore generale contiene di regola il programma generale di sviluppo urbanistico, e che le previsioni, necessariamente generiche, in esso contenute, sono condizionate dalle caratteristiche fisico-geografiche del territorio comunale, la destinazione di parti del territorio a determinati usi, pur preludendo ad una possibile acquisizione pubblica dei suoli necessari, resta estranea alla vicenda espropriativa, di modo che, pur non potendosi escludere, in particolari casi, che la destinazione di singole aree, in genere rimessa alle previsioni dello strumento di attuazione, sia direttamente indicata dal piano generale, l'indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (art. 7, comma 2, n. 1 L. 17 agosto 1942 n. 1150), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell'indennità di esproprio nel sistema dell'art. 5-bis L. 8 agosto 1992 n. 359, basato sulla edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all'indicazione delle reti stradali all'interno e a servizio delle singole zone (art. 13 L. n. 1150 del 1942), di regola rimesse allo strumento di attuazione, e come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo.
Cass. civ. n. 173/2001
Ai fini indennitari e della previa qualificazione dei suoli espropriati alla stregua delle correlative "possibilità legali" di edificazione al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'espropriazione, ai sensi dell'art. 5-bis, comma 3, della L. n. 359 del 1992, le prescrizioni ed i vincoli stabiliti dagli strumenti urbanistici di secondo livello - influenti di regola su tale qualificazione, per il contenuto conformativo della proprietà che ad essi deriva dalla loro funzione di definire, per zone, in via astratta e generale, le possibilità edificatorie connesse al diritto dominicale - possono, in via eccezionale, avere anche portata e contenuto direttamente ablatori (che ne escludono l'incidenza sulla liquidazione dell'indennità) ove si tratti di vincoli particolari, incidenti su beni determinati in funzione di localizzazione dell'opera, implicante di per sé la necessaria traslazione di quei beni all'ente pubblico.
Cons. Stato n. 585/2001
La decadenza dei vincoli urbanistici che comportano l'inedificabilità assoluta ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2 comma 1 L. 19 novembre 1968 n. 1187, decorrente dall'approvazione del P.R.G., obbliga il comune a procedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta priva di disciplina urbanistica. Tale obbligo può essere assolto sia attraverso una variante specifica, sia attraverso una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono all'amministrazione comunale di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina del piano regolatore ed alle nuove esigenze di pubblico interesse.
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Il semplice avvio del procedimento di revisione del P.R.G. comunale non costituisce adempimento da parte del comune all'obbligo di conferire la riqualificazione urbanistica alla zona rimasta priva di specifica disciplina, a seguito di decadenza del vincolo di destinazione su di essa gravante (art. 2 L. 19 novembre 1968 n. 1187). L'adempimento esatto e non elusivo di tale obbligo può essere dato soltanto dallo specifico ed immediato completamento del P.R.G. per quella particolare zona, senza attendere che siano portate a compimento le ulteriori e dilatorie procedure che comportano la riconsiderazione dell'intero piano urbanistico.
Cons. Stato n. 2934/2000
In occasione della formazione dello strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell'amministrazione in ordine alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, seguiti nell'impostazione del piano stesso. La motivazione specifica che l'adozione di uno strumento urbanistico generale può richiedere si ravvisa, in linea di principio, nelle seguenti fattispecie: a) superamento degli standard minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968; b) lesione derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato, aspettative create da giudicati di annullamento di dinieghi espliciti o taciti di concessioni edilizie; c) modificazioni in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Corte cost. n. 179/1999
La reiterazione in via amministrativa di vincoli decaduti (preordinati all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in alcune regioni a statuto speciale non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale; tuttavia assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga "sine die" o all'infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetono aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza. Ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa dell'indennizzo, e fermo, beninteso, che l'obbligo dell'indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia). Negli anzidetti casi la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall'art. 42 comma 3 Cost., e di conseguenza ne deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale. Pertanto l'obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta l'espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi. Non sono indennizzabili i vincoli posti a carico di intere categorie di beni, e tra questi i vincoli urbanistici di tipo conformativo e i vincoli paesistici. Spetta al legislatore determinare la disciplina dell'indennizzo, considerato che il sacrificio subito dal proprietario consiste, soprattutto nella ridotta utilizzazione del bene rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
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L'intervento legislativo che si rende necessario dovrà precisare le modalità di attuazione del principio dell'indennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo, delimitando le utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della P.A., e, potrà esercitare scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra misure alternative riparatorie anche in forma specifica, mediante offerta ed assegnazione di altre aree idonee alle esigenze del soggetto che ha diritto ad un ristoro, ovvero mediante altri sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su beni determinati.
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È costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 42 Cost. - il combinato disposto degli art. 7, n. 2, 3 e 4, e 40, L. 17 agosto 1942 n. 1150 e dell'art. 2, L. 19 novembre 1968 n. 1187, nella parte in cui consente all'amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione d'indennizzo.
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L'esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell'indennizzo non esclude che - anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità - il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.
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L'indennizzo per i vincoli urbanistici, come alternativa non eludibile al termine di efficacia posto dall'art. 2 L. 19 novembre 1968 n. 1187, è dovuto allorché la possibilità di reiterazione del vincolo scaduto, riconosciuta all'Amministrazione per giustificate ragioni di interesse pubblico, comporta che si superi la durata fissata dal legislatore come limite alla sopportabilità del sacrificio da parte del soggetto titolare del bene. Non tutti i vincoli urbanistici sono soggetti a decadenza, e conseguentemente alla possibilità di indennizzo allorché reiterati, ma soltanto quelli aventi carattere particolare, per i quali la mancata fruibilità del bene protratta nel tempo e non indennizzata determina violazione del comma 3 dell'art. 42 Cost. Non sono indennizzabili i vincoli posti a carico di intere categorie di beni, e tra questi i vincoli urbanistici di tipo conformativo, e i vincoli paesistici. Spetta al legislatore di determinare concretamente la disciplina dell'indennizzo, tenuto conto che il sacrificio subito consiste, nella maggior parte dei casi, nella ridotta utilizzazione del bene rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Cons. Stato n. 336/1995
La prescrizione di piano regolatore che subordina la facoltà di costruire alla preventiva approvazione di un piano di lottizzazione presentato dal privato, in alternativa a quello di un piano particolareggiato, non concreta un vincolo di inedificabilità assoluta e, come tale, soggetto a decadenza ai sensi dell'art. 2 L. 19 novembre 1968 n. 1187.