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Articolo 506 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private

Dispositivo dell'art. 506 Codice di procedura penale

1. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture disposte a norma degli articoli 511, 512 e 513, può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame.

2. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, può rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle persone indicate nell'articolo 210 ed alle parti già esaminate, solo dopo l'esame e il controesame. Resta salvo il diritto delle parti di concludere l'esame secondo l'ordine indicato negli articoli 498, commi 1 e 2, e 503, comma 2.

Ratio Legis

Tale norma trova il proprio fondamento nel ruolo processuale riconosciuto al presidente, cui spetta garantire che si giunga all'accertamento della verità.

Spiegazione dell'art. 506 Codice di procedura penale

Ai sensi del comma 1, il presidente può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame. Ciò non può avvenire in qualsiasi momento, ma solamente dopo la conclusione dell'istruzione dibattimentale, ovvero dopo che le parti hanno esaurito le loro richieste probatorie, posto che a queste spetta il diritto esclusivo alla prova ai sensi dell'articolo 190.

Se il giudice ritiene necessario un approfondimento di alcune tematiche, sia in favore che avverso l'imputato, lo indica alla parte che secondo lui è deputata ad approfondire il tema.

Il secondo potere suppletivo consiste invece nel poter porre direttamente le domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle persone imputate in un procedimento connesso ed alle parti già esaminate. Anche tale potere, vista la sua natura, deve attendere che le altre parti abbiano già proceduto con l'esame e con il controesame. In pratica, il giudice non può interferire con le strategie processuali delle parti, ma può solo supplire nel caso in cui ritenga che una determinata questione sia degna di approfondimento.

Massime relative all'art. 506 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 27068/2008

In tema di esame del testimone, l'eventuale intervento del giudice prima della conclusione dell'esame e del controesame ad opera delle parti non configura un'ipotesi di inutilizzabilità della testimonianza, verificandosi questa solo laddove la prova venga assunta in presenza di un divieto e non anche quando la stessa, pur consentita, sia effettuata in violazione delle regole previste per l'assunzione. (Rigetta, App. Firenze, 14 maggio 2007).

Cass. pen. n. 4721/2007

In tema di esame testimoniale, il divieto di porre domande suggestive riguarda l'esame condotto dalla parte che ha un interesse comune al testimone e non invece il controesame o l'esame condotto direttamente dal giudice per il quale non vi è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed esaminante. (Rigetta, App. Milano, 29 maggio 2006).

Cass. pen. n. 15631/2004

In tema di istruzione dibattimentale, il potere del giudice di integrare, anche d'ufficio, l'assunzione di nuovi mezzi di prova presuppone, secondo il disposto dell'art. 507 cod. proc. pen., che "terminata l'acquisizione delle prove" emerga l'assoluta necessità di assumere anche d'ufficio nuovi mezzi di prova. Ne consegue che, ricollegandosi l'iniziativa di integrazione probatoria del giudice alla sussistenza di un "principio" di supporto probatorio suscettibile dell'intervento integrativo, è esclusa dall'ambito di operatività della disciplina di cui all'art. 507 cod. proc. pen. l'ipotesi in cui vi sia assoluta mancanza di mezzi probatori di parte.

Cass. pen. n. 909/2000

La generica doglianza sul modo di conduzione del dibattimento da parte del presidente del collegio, il quale avrebbe condizionato le deposizioni testimoniali mediante interventi senza il rispetto delle regole del contraddittorio, non può conseguire alcun risultato utile in sede di impugnazione; prescindendo dalla considerazione che la violazione dell'art. 506 c.p.p. non è sanzionata a pena di nullità da alcuna norma, ogni eventuale questione attinente alla conduzione del processo deve essere immediatamente contestata dalle parti e formalizzata nel corso del dibattimento e la decisione o mancata decisione sull'incidente, può assumere rilevanza nel giudizio di impugnazione, solo in quanto si accerti che essa abbia comportato la lesione dei diritti delle parti o viziato la decisione.

Cass. pen. n. 9714/1996

La «ricitazione» di ufficio, da parte del giudice di testi già escussi non è un provvedimento abnorme né dà luogo a nullità. Invero come il giudice, terminata l'acquisizione delle prove, può disporre nuovi mezzi, a maggior ragione può escutere nuovamente le persone già sentite; né tale escussione viola il diritto di difesa, rimanendo solo il diritto delle parti di concludere l'esame; d'altro canto la stessa non determina di per sè violazione dell'art. 149 disp. att. che presuppone invece inosservanza delle cautele in esso descritte.

Cass. pen. n. 3125/1994

Il «diritto delle parti di concludere l'esame», espressamente fatto salvo dall'art. 506, secondo comma, c.p.p., per il caso in cui il presidente, avvalendosi dei poteri a lui conferiti, abbia ritenuto di rivolgere domande a testimoni, spetta a tutte le parti, e non solo a quella che aveva chiesto l'assunzione dei detti testimoni.

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