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Articolo 296 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Latitanza

Dispositivo dell'art. 296 Codice di procedura penale

1. È latitante chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare [285, 286], agli arresti domiciliari [284], al divieto di espatrio [281], all'obbligo di dimora [283] o a un ordine con cui si dispone la carcerazione [656](1).

2. La latitanza è dichiarata con decreto motivato. Se la dichiarazione consegue alla mancata esecuzione di un'ordinanza applicativa di misure cautelari, nel decreto sono indicati gli elementi che dimostrano l'effettiva conoscenza della misura e la volontà di sottrarvisi. Con il provvedimento che dichiara la latitanza, il giudice designa un difensore di ufficio al latitante che ne sia privo e ordina che sia depositata in cancelleria copia dell'ordinanza con la quale è stata disposta la misura rimasta ineseguita. Avviso del deposito è notificato al difensore.(2)(4).

3. Gli effetti processuali conseguenti alla latitanza operano soltanto nel procedimento penale nel quale essa è stata dichiarata(3).

4. La qualità di latitante permane fino a che il provvedimento che vi ha dato causa sia stato revocato a norma dell'articolo 299 o abbia altrimenti perso efficacia ovvero siano estinti il reato [150-170 c.p.] o la pena [171-181 c.p.] per cui il provvedimento è stato emesso.

4-bis. Quando il provvedimento che ha dato causa alla dichiarazione di latitanza è eseguito, se il processo è in corso, all'imputato è comunicata la data dell'udienza successiva(5).

5. Al latitante per ogni effetto è equiparato l'evaso [385 c.p.].

Note

***DIFFERENZE RISPETTO ALLA FORMULAZIONE PREVIGENTE ALLA RIFORMA CARTABIA E ULTERIORI SUCCESSIVE MODIFICHE***
(in verde le modifiche e in "[omissis]" le parti della norma non toccate dalla riforma)


[omissis]
2. La latitanza è dichiarata con decreto motivato. Se la dichiarazione consegue alla mancata esecuzione di un’ordinanza applicativa di misure cautelari, nel decreto sono indicati gli elementi che provano l’effettiva conoscenza della misura e la volontà di sottrarvisi. Con il provvedimento che dichiara la latitanza, il giudice designa un difensore di ufficio al latitante che ne sia privo e ordina che sia depositata in cancelleria copia dell’ordinanza con la quale è stata disposta la misura rimasta ineseguita. Avviso del deposito è notificato al difensore.[omissis]
4-bis. Quando il provvedimento che ha dato causa alla dichiarazione di latitanza è eseguito, se il processo è in corso, all’imputato è comunicata la data dell’udienza successiva.
[omissis]
(1) Si ricordi che deve essere stato redatto il verbale di vane ricerche ex art. 295.
(2) Dal momento della notifica dell'avviso di deposito dell'ordinanza inizia a decorrere il termine per il difensore per ricorrere al Tribunale del riesame (art. 309).
(3) La dichiarazione di latitanza ha un'efficacia limitata al processo penale cui si riferisce.
(4) Il comma 2 è stato modificato dall'art. 13, comma 1, lett. d) n. 1 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia"). Successivamente, il comma 2 è stato ulteriormente modificato dall'art. 2, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31. Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal D.Lgs. n. 150 del 2022 era il seguente "Con il provvedimento che dichiara la latitanza, il giudice designa un difensore di ufficio al latitante che ne sia privo e ordina che sia depositata in cancelleria copia dell'ordinanza con la quale è stata disposta la misura rimasta ineseguita. Avviso del deposito è notificato al difensore".
(5) Comma aggiunto dall'art. 13, co. 1, lett. d) n. 2 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

La disposizione in esame trova la propria ratio in una funzione di chiaro segno garantista, andando a precisare ulteriormente la condizione di latitanza.

Spiegazione dell'art. 296 Codice di procedura penale

L’art. 296 c.p.p. specifica la condizione di latitanza.

Il comma 1 stabilisce che “latitante” è colui che si sottrae volontariamente alla custodia cautelare (art. 285 del c.p.p. e art. 298 del c.p.p.), agli arresti domiciliari (art. 284 del c.p.p.), al divieto di espatrio (art. 281 del c.p.p.), all'obbligo di dimora (comma 2 dell'art. 282 del c.p.p.) o, da ultimo, ad un ordine con cui si dispone la carcerazione (comma 1 dell'art. 656 del c.p.p.).

Peraltro, la dichiarazione di latitanza non preclude la naturale prosecuzione dell'attività di indagine, né dell'attività processuale, le quali tuttavia, al fine di non ledere il principio di difesa e di necessaria assistenza tecnica dell'imputato, hanno bisogno di alcuni adempimenti esecutivi.

Il nuovo comma 2 (come modificato dalla riforma Cartabia, d.lgs. n. 150 del 2022) precisa che la latitanza viene dichiarata con decreto motivato.
Se la latitanza è dichiarata dopo la mancata esecuzione di un’ordinanza applicativa di misura cautelare, nel decreto devono essere indicati gli elementi che dimostrano l’effettiva conoscenza della misura e la volontà di sottrarvisi.

Quest’ultimo intervento della riforma ha lo scopo di garantire che la dichiarazione di latitanza si fondi su una specifica motivazione circa l’effettiva conoscenza della misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarvisi.

Ancora, il comma 2 afferma che il giudice, con il provvedimento che dichiara la latitanza, designa un difensore d’ufficio al latitante che ne sia privo (chiaramente, ciò non è necessario nel caso in cui il latitante abbia già nominato un difensore prima di sottrarsi all'esecuzione della misura cautelare) ed ordina il deposito in cancelleria della copia dell'ordinanza cautelare rimasta non eseguita.
Al difensore viene notificato l’avviso del deposito.

Ulteriore garanzia nei confronti del latitante è prevista dal comma 3, il quale sancisce che gli effetti della latitanza operano solamente nel procedimento penale in cui essa è dichiarata.

Poi, secondo il comma 4, la qualità di latitante permane fino a che l’ordinanza cautelare, che ha dato causa alla dichiarazione di latitanza, non venga revocato (art. 299 del c.p.p.) o perda efficacia oppure sia estinto il reato o la pena per cui il provvedimento è stato emesso.

Inoltre, il comma 4-bis, introdotto ex novo dalla riforma Cartabia, stabilisce che, quando è eseguita l’ordinanza cautelare che ha dato causa alla dichiarazione di latitanza, se il processo è in corso, all’imputato viene comunicata la data dell’udienza successiva.

Infine, il comma 5 precisa che la condizione del latitante è equiparata, per ogni effetto, a quella dell’evaso (con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 385 del c.p.).
A tal fine, viene ritenuto necessario l’effettivo assoggettamento dell’agente al potere di custodia: dunque, si esclude il reato in presenza di mera fuga durante l’arresto.
Del pari, viene presunta la legittimità della restrizione della libertà personale: pertanto, non è “evasione” la fuga dopo la scadenza del termine massimo di custodia cautelare.
Non assume rilevanza il fatto che l’evasione sia temporanea, essendo sufficiente che il soggetto si sia allontanato eludendo la misura restrittiva, anche se con il proposito di rientrare nel luogo di custodia.

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
Per i soggetti latitanti, in conformità alla delega, che, per vero, li individua come l’unica categoria di imputati contro cui si può procedere in assenza anche in mancanza di dati di certezza circa la conoscenza della pendenza del processo, l’art. 420 bis prevede, appunto, che si possa sempre procedere in assenza.


Peraltro, il complessivo intervento in esame, a maggior garanzia del soggetto latitante, ha ampliato i casi di ricerca del latitante medesimo, prevedendo, accanto alle ricerche finalizzate all’esecuzione della misura anche l’esecuzione delle ricerche finalizzate alla notifica degli atti introduttivi; nel senso che la notifica al difensore non è più effetto della sola dichiarazione di latitanza (che è funzionale all’esecuzione della misura), ma del combinato disposto della dichiarazione di latitanza e di notifiche infruttuose (cfr. nuovo art. 165).


Per quanto riguarda, invece, l’intervento richiesto dalla delega, diretto a “rivedere la disciplina della latitanza, di cui agli articoli 295 e 296 del codice di procedura penale, al fine di assicurare che la dichiarazione di latitanza sia sorretta da specifica motivazione circa l'effettiva conoscenza della misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarvisi”, si è proceduto sotto tre diversi aspetti.


Il primo (sull’art. 295) con un intervento che esplicita l’onere del giudice di valutare il verbale di vane ricerche e di disporre la prosecuzione delle ricerche quando quelle compiute non siano soddisfacenti.


Il secondo (sull’art. 296) con un intervento che, oltre ad imporre la necessità che il decreto di latitanza sia motivato, espressamente collega la dichiarazione di latitanza che sia consegue alla mancata esecuzione di un’ordinanza applicativa di misure cautelari, al fatto che siano indicati gli elementi che provano l’effettiva conoscenza della misura e la volontà di sottrarvisi.


Infine, con un intervento che chiarisce il necessario raccordo tra esecuzione del provvedimento cautelare che ha dato causa alla dichiarazione di latitanza e il processo in corso, si è specificamente previsto che all’imputato nel caso in cui venga rintracciato dovrà avere notizia della data dell’udienza.

Massime relative all'art. 296 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 43962/2013

Ai fini dell'accertamento della volontarietà della sottrazione ad un provvedimento restrittivo della libertà personale, che costituisce il presupposto psicologico della declaratoria di latitanza, non occorre dimostrare la conoscenza della avvenuta emissione di tale provvedimento, ma è sufficiente che l'interessato si ponga in condizioni di irreperibilità, sapendo che quel provvedimento può essere emesso.

Cass. pen. n. 3032/2008

Ai fini della decorrenza del termine per presentare richiesta di riesame avverso un'ordinanza cautelare, l'arresto ai fini estradizionali eseguito su ordine del giudice estero non è assimilabile all'esecuzione della misura disposta dal giudice italiano. Pertanto nell'ipotesi del latitante arrestato all'estero, il suddetto termine inizia a decorrere dal momento in cui allo stesso, una volta estradato, viene notificata nel territorio nazionale l'ordinanza applicativa della misura cautelare.

Cass. pen. n. 35767/2007

La sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, in pendenza dei termini per il deposito della motivazione della sentenza, opera nei confronti della situazione processuale obiettivamente considerata ed esplica, pertanto, i suoi effetti nei confronti di tutti coloro che vi sono sottoposti, sia degli imputati già detenuti nel corso del giudizio, sia di quelli che, giudicati in stato di latitanza o di libertà, siano sottoposti a misura cautelare dopo la lettura del dispositivo.

Cass. pen. n. 1382/2006

In tema di titolo esecutivo, la notifica dell'estratto della sentenza contumaciale è validamente effettuata al difensore di fiducia, qualora, in fase dibattimentale, nei confronti dell'imputato latitante sia stato erroneamente emesso il decreto di irreperibilità anziché il provvedimento dichiarativo dello stato di latitanza ai sensi dell'art. 296 c.p.p. (In motivazione la Corte osserva che le notifiche devono essere eseguite a mani del difensore sia in caso di irreperibilità che di latitanza e che in entrambi i casi l'imputato è rappresentato a tutti gli effetti dal difensore a norma degli artt. 159, comma secondo, e 165, comma terzo, c.p.p.).

Cass. pen. n. 10367/2004

In tema di liquidazione del compenso al difensore di ufficio, la disciplina prevista a favore del professionista nominato all'imputato irreperibile, che gli consente di rivolgersi direttamente al giudice, secondo le regole dettate per il patrocinio dei non abbienti, esonerandolo dall'onere di esperire previamente le procedure di recupero del credito, si applica anche nel caso di imputato latitante, in quanto la dichiarazione di latitanza presuppone le vane ricerche, ad opera della polizia giudiziaria, della persona colpita da misura cautelare personale, e tale situazione è assimilabile, ai fini della possibilità di azionare utilmente quelle procedure, alla condizione di irreperibilità.

Cass. pen. n. 21035/2003

L'arresto dell'imputato all'estero nell'ambito di una procedura estradizionale o per altra causa comporta la cessazione dello stato di latitanza.

Cass. pen. n. 33283/2002

Lo stato di latitanza dell'imputato, quando si risolve in un negativo comportamento processuale, può essere valutato dal giudice che può tenerne conto ai fini dell'applicazione ovvero della misura dell'incidenza delle circostanze attenuanti generiche.

Cass. pen. n. 31253/2002

Lo stato di latitanza viene meno, oltre che per le cause previste dall'art. 296, comma 4, c.p.p., soltanto con la cattura o la costituzione spontanea in Italia ovvero con l'arresto dell'imputato all'estero a fini estradizionali, in relazione al reato per il quale si procede, poiché in questo modo l'imputato viene a trovarsi anche nella disponibilità dell'autorità giudiziaria italiana.

Cass. pen. n. 283/2000

Il provvedimento dichiarativo della latitanza ha carattere strumentale, in funzione del perseguimento di ben precise finalità; ne consegue che non avrebbe senso una dichiarazione di latitanza fine a sé stessa, avulsa dalle esigenze di rispetto delle garanzie di legge, in relazione sia alla sussidiaria procedura notificatoria che al conferimento al difensore della rappresentanza del condannato. Dall'interpretazione dell'art. 296 c.p.p. si ricavano due distinti profili della disciplina della latitanza: uno sostanziale, afferente alla qualità del latitante, connessa alla consapevole sottrazione ad una delle misure previste nel primo comma (compreso l'ordine di carcerazione), ed un profilo formale, inerente alla mera declaratoria di quella condizione, i cui effetti processuali sono previsti per il solo latitante rispetto ad una misura custodiale e non già per il latitante rispetto ad una sentenza definitiva, per il quale il legislatore non ha previsto, neppure nell'art. 656 c.p.p., relativo all'esecuzione delle pene detentive, alcun riferimento alla disciplina del decreto di latinanza, posto che in questo secondo caso è da ritenere sufficiente che lo stato di latitanza risulti dal verbale di vane ricerche. (Nella fattispecie la Corte ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento con cui il Tribunale, in qualità di giudice dell'esecuzione, aveva respinto la richiesta del P.M. di dichiarazione di latitanza per il condannato che si sottrae all'ordine di carcerazione).

Cass. pen. n. 4666/1999

L'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare che, a norma dell'art. 304, comma 2, c.p.p., riconosca in via generale la particolare complessità del dibattimento, opera anche nei confronti del latitante, impedendo che il suo successivo arresto faccia iniziare il decorso dei termini di cui all'art. 303 c.p.p. fino a quando non venga a cessare la causa di sospensione e salvi, ovviamente, i limiti di cui al comma 6 del medesimo art. 304 c.p.p. D'altra parte, ove così non fosse, la persona volontariamente sottrattasi alla esecuzione del provvedimento coercitivo verrebbe ad essere paradossalmente favorita rispetto a coloro nei cui confronti il provvedimento sia stato invece eseguito.

Cass. pen. n. 2978/1992

Alla stregua del principio sulla tassatività e tipicità dei mezzi di impugnazione stabilito dall'art. 568, comma primo, c.p.p. si devono ritenere non impugnabili tutti quei provvedimenti per i quali non è previsto uno specifico gravame: e tale è, appunto, il decreto motivato previsto dall'art. 415, comma secondo, c.p.p. contro il quale tale norma non ha previsto alcun mezzo di gravame. (Fattispecie in cui il giudice, nell'autorizzare la prosecuzione delle indagini contro ignoti, aveva fissato un termine per l'esecuzione delle stesse, nonostante una tale facoltà non sia prevista dall'art. 415 c.p.p.; la Cassazione ha escluso l'impugnabilità del relativo provvedimento sulla scorta del principio di cui in massima ed ha altresì negato che lo stesso potesse essere ritenuto ricorribile per cassazione quale provvedimento abnorme, osservando che la fissazione del termine suddetto non rendeva il provvedimento abnorme ma solo illegittimo).

Il provvedimento che dichiara la latitanza presuppone il verbale di vane ricerche, che la polizia giudiziaria redige a seguito della mancata esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare, indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi nei quali si presume che l'imputato possa trovarsi, senza essere vincolata, quanto ai luoghi di ricerca, dai criteri indicati in tema di irreperibilità. Sulla base di tale verbale il giudice dichiara lo stato di latitanza, qualora ritenga esaurienti le ricerche eseguite, salvo integrazioni, come si evince dall'ultimo comma dell'art. 295 c.p.p., compiendo una valutazione ispirata ad un criterio - rebus sic stantibus - di certezza, cioè con riferimento alla situazione concreta accertata in quel momento, senza che possano avere rilevanza, ai fini della legittimità del provvedimento, e quindi delle notificazioni in virtù di questo eseguite, le eventuali informazioni successivamente pervenute.

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