L'obbligo di rendere il conto si trova previsto in diverse disposizioni normative, contenute sia nel codice civile, sia in quello di rito che nella legislazione speciale.
I presupposti dell'obbligo di rendere il conto vengono disciplinati in maniera diversa, in quanto in alcune ipotesi viene configurato come oggetto di una obbligazione a carattere negoziale, in altre come dovere pubblico.
Malgrado ciò, si ritiene che all’istituto debba attribuirsi funzione unitaria, ossia: possibilità, per chi ne ha diritto, di controllare le risultanze di una gestione o di un'attività svolte da altro soggetto nel suo interesse.
Per quanto concerne la natura giuridica del giudizio di rendiconto, va detto che, sebbene la relativa disciplina sia stata collocata nella sezione dedicata all’istruzione probatoria, si tratta, almeno secondo la tesi prevalente, di un procedimento speciale di cognizione.
Secondo altra parte della dottrina, invece, il rendimento dei conti costituirebbe un vero e proprio mezzo di prova o meglio, ancora più precisamente, un procedimento volto alla formazione della prova.
Una tesi intermedia, infine, ritiene che si tratti di uno strumento misto, che partecipa dei caratteri di entrambi i procedimenti.
Malgrado nulla sia dato desumere dal tenore letterale degli artt. 263 ss., il rendiconto può essere richiesto sia in via principale che in via incidentale.
Nel primo caso (rendiconto chiesto in via principale), oggetto del giudizio è la presentazione del conto, inteso come il documento contabile rappresentante la compiuta attività gestoria, mentre rimane del tutto eventuale la richiesta di tutela del diritto principale, ossia di condanna al pagamento del saldo attivo ovvero di rimborso del saldo passivo.
Nel secondo caso, invece, cioè di rendiconto richiesto in via incidentale, si realizza un fenomeno di cumulo delle domande, e precisamente quella riguardante il rendiconto e quella relativa al diritto principale.
Il cumulo delle domande si può realizzare in due forme:
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in forma semplice, detta anche improprio o pura: l'attore si limita a richiedere la decisione di entrambe le domande.
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in forma condizionata: in questo caso l'attore subordina la domanda al diritto principale al preventivo accoglimento della domanda di rendiconto. In tale ipotesi la richiesta in ordine al rendiconto non subisce alcuna influenza dalla domanda sul sottostante diritto sostanziale, in quanto solo quest'ultima può risultare condizionata dalla prima.
Connessa al tema della struttura del giudizio di rendiconto è la problematica sul tipo di provvedimenti che il giudice deve emettere allorché decide della sussistenza dell'obbligo ex 1° co. della norma in commento.
Al riguardo si sono delineati due diversi orientamenti.
Secondo una prima tesi, accolta anche dalla giurisprudenza, se non vi è contestazione sull'obbligo di rendiconto, il giudice si pronuncia con
ordinanza, mentre, in caso contrario, dovrà pronunciarsi con
sentenza.
Secondo una diversa tesi, poiché l'obbligo di rendiconto costituisce questione preliminare di merito, il giudice potrà applicare il secondo comma dell'
art. 187 del c.p.c. ovvero, a sua discrezione, ordinare la presentazione del conto o, ancora, rimettere la questione innanzi a sé o al collegio per essere decisa.
Malgrado il legislatore abbia individuato delle ipotesi tipiche in cui è possibile chiedere il rendimento dei conti, si ritiene che si tratti di elencazione non avente carattere tassativo, essendo possibile ricorrere a questo strumento allorché si renda necessario verificare la compiuta gestione di interessi altrui (si afferma, comunque, che il ricorso alla procedura di cui agli artt. 263 ss. sia sottoposto ad una valutazione discrezionale del giudice di merito).
Il rendiconto, inoltre, può essere sia giudiziale che stragiudiziale; in questo secondo caso esso non è soggetto a particolari oneri di forma e potrà essere reso anche in forma orale e libera.
L'andamento del rendiconto dipende dal comportamento tenuto dal gestore.
Può così accadere che non sorgano contestazioni fra le parti, nel qual caso il giudice può ordinare il deposito del conto e far proseguire il procedimento secondo le regole di cui agli artt. 263 ss. per l'esame del documento contabile.
Secondo parte della dottrina, la mancata contestazione esonererebbe il giudice da una vera e propria cognizione, in quanto la sua attività consisterebbe in un'attività simile a quella compiuta in sede di
volontaria giurisdizione.
Secondo altra parte della dottrina, la mancata contestazione dovrebbe condurre alla emanazione di un provvedimento decisorio, in particolare di un provvedimento di condanna all'adempimento di un
facere, al quale potrà essere data esecuzione coattiva qualora sia disponibile la documentazione.
Per quanto concerne il contenuto del rendimento dei conti, l'articolo in esame non prevede particolari oneri formali; ciò non deve intendersi come ammissibilità di una libertà delle forme e discrezionalità del gestore, considerato che, per assolvere la propria funzione, il documento contabile deve presentare il carattere della completezza, da cui sarà possibile desumere la corretta amministrazione del soggetto obbligato a renderlo (si afferma, quindi, che sia necessaria una redazione del conto secondo la buona tecnica amministrativo-contabile).
Una volta che sia stata disposta la presentazione del conto, può verificarsi che il gestore (soggetto obbligato a rendere il conto), non adempia.
Tale inadempimento produrrà diverse conseguenze, di natura sia processuale che extraprocessuale.
Sotto il profilo processuale, due sono le immediate conseguenze:
a) la mancata presentazione del conto costituisce argomento di prova ai sensi del secondo comma dell’
art. 116 del c.p.c.;
b) ai sensi dell'art. 265, il collegio può ammettere il gestito a determinare le somme dovute con giuramento.
Il 2° co. prevede la possibilità che il conto sia "accettato", con la conseguenza che, se dovessero risultare dovute delle somme, il giudice potrà emettere ordinanza di pagamento.
Due sono le questioni affrontate in ordine a tale comma:
a) la qualificazione dell'accettazione;
b) la natura del provvedimento qui previsto.
In ordine all’accettazione, secondo parte della dottrina essa costituisce un atto di carattere sostanziale-negoziale a contenuto confessorio, proveniente dalla parte personalmente o dal suo
procuratore munito di mandato speciale, a cui non possono apporsi riserve o condizioni.
Altra parte della dottrina, invece, ritiene che attraverso l'accettazione si dia luogo ad un accordo processuale.
Per quanto concerne la natura dell'ordinanza, parte della dottrina sostiene che essa presenti caratteristiche simili al
decreto ingiuntivo, mentre per altri si tratta di una forma di tutela sommaria a funzione prevalentemente esecutiva, ovvero di un titolo a carattere contrattuale-privato.