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Capo IV - Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Dell'interpretazione del contratto

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
622 La disciplina dettata per l'interpretazione del contratto distingue nettamente tra il gruppo di disposizioni già contenute negli articoli 1131, 1136, 1138 e 1139 cod. civ., e le rimanenti norme della medesima sezione del codice del 1865. Così, negli art. 1362 del c.c. a art. 1365 del c.c. si č regolato il primo momento del processo interpretativo, che ha riguardo alla ricerca in concreto della volontā dei contraenti; negli art. 1367 del c.c. a art. 1371 del c.c. si č invece disciplinato il secondo momento dell'interpretazione, e le norme poste presuppongono, a differenza delle prime, il persistere di un dubbio sul preciso contenuto della dichiarazione contrattuale, dubbio che appunto l'interprete č chiamato a sciogliere mediante l'applicazione di principii legislativamente fissati. Punto di sutura tra questi due momenti dell'interpretazione č la norma collocata nell'art. 1366 del c.c., che li domina entrambi, e che fissa il principio dell'interpretazione secondo buona fede. Tale principio poteva giā desumersi dall'art. 1374 del c.c., ma la sua precisa enunciazione č sembrata indispensabile. Infatti il principio di interpretazione secondo buona fede č il necessario complemento della norma contenuta nell'art. 1337 del c.c., primo comma, per cui le parti devono comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, e di quella contenuta nell'art. 1375 del c.c., per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede. In queste tre norme non si è inteso far riferimento ad uno stato psicologico subiettivo dell'agente, ma alla buona fede obiettiva; il che, sul terreno dell'interpretazione, vuol significare che la dichiarazione di volontà contrattuale deve essere intesa secondo il criterio di reciproca lealtà di condotta tra le parli.