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Articolo 1369 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Espressioni con più sensi

Dispositivo dell'art. 1369 Codice Civile

Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all'oggetto del contratto.

Ratio Legis

La regola tende a garantire che l'interpretazione del contratto sia logica, cioè coerente con la sua funzione economico-sociale.

Spiegazione dell'art. 1369 Codice Civile

Le espressioni con più sensi e la interpretazione del linguaggio giuridico, tecnico e comune

Mentre l'articolo precedente concerne le clausole del contratto, l'art. 1369 invece, come è stato acutamente avvertito, concerne le espressioni usate dai contraenti. Le espressioni sono parti del discorso normativo che richiedono, esse pure, una valutazione conveniente da parte dell'interprete. I testi del 1942 e del 1865 sostanzialmente coincidono e provengono dal noto passo di Giuliano: «Quoties idem sermo duas sententia exprimit, ea potissimum excipiatur quae rei gerendae aptior est».

Le espressioni possono appartenere al linguaggio giuridico od a quello non giuridico. Il linguaggio giuridico è diverso nei vari sistemi ed anche talvolta nelle varie parti dello stesso sistema. Così per esempio, nello stesso diritto italiano le voci: amministrazione, azienda, ditta, servizio, sono usate in sensi molteplici. Ora, la norma dell'art. 1369, in quanto richiama, in primo luogo, la natura del contratto, vuole che si prenda il linguaggio giuridico secondo il significato che gli spetta nel settore del diritto in cui il contratto viene a cadere, tenendo anche conto, ove ne sia caso, delle definizioni date dal legislatore. E’ vero che, cosi facendo, si suppongono le parti edotte del linguaggio giuridico e dei suoi vari significati, ciò che può anche non corrispondere alla realtà: bisogna tuttavia ricordare che l'art. 1369 ha carattere non soltanto interpretativo, ma anche integrativo, per conseguenza esso si applica solo quando si sia inutilmente ricercata la volontà soggettiva dei contraenti.

Il linguaggio non giuridico può essere linguaggio comune o tecnico. Particolarmente per intendere quest'ultimo, quando esso sia inserito in un contratto, è necessario tener conto della materia che esso regola, come quella alla quale le parti verosimilmente vollero riferirsi. Un contratto, sotto questo aspetto può essere incomprensibile si profani ed allo stesso giudice, in quanto può essere irto di formule, di schemi, di conteggi, di nomenclature convenzionali. Tutto questo idioma va preso per quello che vuol dire; il giudice od i terzi se lo faranno spiegare dai periti, ove sia necessario, ma dovranno sempre ricercare il senso dei rapporti che si vollero regolare, desumendo il significato dei termini usati nel contratto, dall'indole della materia sulla quale le parti hanno stipulato.

Gli stessi rilievi valgono per il linguaggio convenzionale e quello abbreviato, di uso sempre più frequente nelle borse, nelle banche, nelle imprese trasporti e via di seguito. Tutto questo linguaggio, incorporato dal contratto, acquista la sua rilevanza; basti ricordare, ad esempio, le notissime clausole fob, cif. Anche i dettami della prassi, nel ramo particolare, debbono porsi a servigio della interpretazione contrattuale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1369 Codice Civile

Cass. civ. n. 34795/2021

In tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, pur assumendo funzione fondamentale nella ricerca della effettiva volontà delle parti, deve invero essere riguardato alla stregua degli ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, di quelli dell'interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell'interpretazione secondo buona fede ex art. 1366 c.c., avuto riguardo allo "scopo pratico" perseguito dalle parti con la stipulazione del contatto, e quindi della relativa "causa concreta".

Cass. civ. n. 24699/2021

Nell'interpretazione di una clausola negoziale, la comune intenzione dei contraenti deve essere ricercata sia indagando il senso letterale delle parole, alla luce dell'integrale contesto negoziale, ai sensi dell'art. 1363 c.c., sia utilizzando i criteri di interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c., rispettivamente volti a consentire l'accertamento del significato dell'accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere, mediante un comportamento improntato a lealtà e salvaguardia dell'altrui interesse, interpretazioni in contrasto con gli interessi che le parti abbiano inteso tutelare con la stipulazione negoziale, in una circolarità del percorso ermeneutico, da un punto di vista logico, che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione dei contraenti e di verificare se quest'ultima sia coerente con le restanti disposizioni dell'accordo e con la condotta tenuta dai contraenti medesimi. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto inammissibile la domanda del lavoratore volta al conseguimento di differenze retributive, considerate oggetto della generale rinunzia, contenuta in un verbale di conciliazione transattiva, "ad ogni domanda connessa all'esecuzione e cessazione del rapporto", senza valorizzare una esplicita clausola di salvezza altresì prevista nel predetto verbale).

Cass. civ. n. 10825/2020

Nell'interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all'ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 ss. c.c. e, in particolare, a quello dell'interpretazione contro il predisponente di cui all'art. 1370 c.c.

Cass. civ. n. 6675/2018

In tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, dell'interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle parti, oltre che dell'interpretazione secondo buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte.

Cass. civ. n. 15471/2017

In tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata.

Cass. civ. n. 5754/1993

In presenza di due patti contrattuali, ciascuno con chiaro significato, ma fra loro contrapposti, trova applicazione il criterio ermeneutico di cui all'art. 1369 c.c., sull'interpretazione più conveniente alla natura ed all'oggetto del contratto, tenendo conto che la norma, riferendosi alle ipotesi di «espressioni con più sensi», include il caso in cui un duplice senso sia evincibile, anziché dallo stesso contesto, da passi distinti del documento negoziale.

Cass. civ. n. 10816/1991

Nell'interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune — censurabile in sede di legittimità per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione — il giudice del merito può far ricorso alla regola d'interpretazione oggettiva dettata dall'art. 1369 c.c., solo previa dimostrazione della insufficienza dell'interpretazione soggettiva secondo i criteri (aventi carattere prioritario) dettati dagli artt. da 1362 a 2365 dello stesso codice. (Nella specie — concernente la questione della legittimità del licenziamento alla stregua di una clausola collettiva statuente la comunicazione al lavoratore del provvedimento disciplinare con lettera raccomandata entro un determinato termine — la S.C. ha cassato l'impugnata sentenza, censurandola per aver affermato senza adeguata motivazione l'ambiguità del dato letterale e per aver quindi ritenuto, alla stregua del detto criterio oggettivo, che la clausola richiedesse, nel termine fissato, la sola spedizione del provvedimento sanzionatorio, anziché la conoscenza di esso da parte del destinatario, in contrasto con la natura di atto unilaterale ricettizio propria del licenziamento).

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