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Articolo 897 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Comunione di fossi

Dispositivo dell'art. 897 Codice Civile

Ogni fosso interposto tra due fondi si presume comune.

Si presume che il fosso appartenga al proprietario che se ne serve per gli scoli delle sue terre, o al proprietario del fondo dalla cui parte è il getto della terra o lo spurgo ammucchiatovi da almeno tre anni [881].

Se uno o più di tali segni sono da una parte o uno o più dalla parte opposta, il fosso si presume comune.

Ratio Legis

La norma stabilisce una presunzione iuris tantum di comproprietà pro indiviso del fosso che segni la linea di confine tra due proprietà contigue.

Spiegazione dell'art. 897 Codice Civile

Presunzione legale di comunione dei fossi divisori

Ogni fosso interposto fra due fondi si presume comune (art. 897): si tratta anche qui di una presunzione che ha lo stesso fondamento di quella posta dall'art. 880 per i muri divisori, in base alla quale un fosso si trova tra due fondi e serve all'uso di entrambi, per ricevere lo scolo delle acque, per la delimitazione e la chiusura dei medesimi; è molto probabile che esso sia stato fatto a spese comuni o che se ne sia in altro modo acquistata la comunione.

Seguendo l'opinione dominante, si ritiene che si tratti anche qui, come per i muri divisori, di una presunzione di comunione pro indiviso. Tale presunzione, però, riguarda soltanto i proprietari dei due fondi tra i quali si svolge il tratto di fosso che funge perciò da confine di entrambi; non si estende, viceversa, a tutti i proprietari dei terreni situati a valle e a monte lungo la continuazione di detto fosso.

Perché la presunzione di comunione abbia luogo, il fosso deve trovarsi tra due fondi contigui: la legge tace sulla destinazione dei fondi come sulla lunghezza, profondità e destinazione del fosso, quindi qualunque limitazione sarebbe arbitraria. Non si potrebbe, per es., ritenere che i fossi di cui all'art. 897 siano solo quelli destinati a raccogliere e far scolare le acque: certamente questo sarà il caso più frequente, ma non vi è ragione di escludere la presunzione di comunione per quei fossi che non servono o non servono più a questo scopo. Deve però trattarsi di un fosso: tale non sarebbe un canale irrigatorio, che non deve quindi presumersi comune solo perché scorre sul confine tra due proprietà.

Come per la presunzione dei muri divisori (v. sopra, art. 880, n. 2), anche per i fossi trattasi di presunzione semplice, che ammette la prova contraria. Non vi osta il fatto che l'art. 897 non abbia ripetuto esplicitamente la clausola di salvezza che si leggeva nell'art. 565 vecchio codice (« se non vi è titolo o segno in contrario »).


Segni di presunzione di proprietà esclusiva

Il nuovo codice ha riunito sotto uno stesso articolo (art. 897) le disposizioni che il vecchio codice prevedeva in tre separati articoli (565, 566, 567), raggruppando insieme tre segni da cui la legge presume la proprietà esclusiva dei fossi divisori. Si presume che il fosso appartenga al proprietario che se ne serve per gli scoli delle sue terre o al proprietario del fondo dalla cui parte vi è il getto della terra o lo spurgo ammucchiatovi da almeno tre anni.

Il primo segno di presunzione di proprietà esclusiva, tratto dall' uso per gli scoli delle terre, fu introdotto dal vecchio codice sulla scia del codice estense (art. 554). Il fatto che il fosso riceveagli scoli solo da uno dei fondi che divide è un buon argomento per sostenere la proprietà esclusiva perché, almeno agli effetti dello scolo delle acque, l'utilità è esclusiva del solo fondo che se ne serve.

Cosi pure si giustifica facilmente il secondo segno: se il getto della terra è tutto da una parte, è ragionevole presumere che il fosso sia stato scavato a spese e per l'uso esclusivo del fondo su cui è stata gettata la terra, perché non vi sarebbe stato motivo di fare un diverso trattamento tra i due condomini se il fosso fosse stato scavato in comune.

Lo stesso dicasi del terzo segno, tratto dall'ammucchiamento dello spurgo. C’è chi ha sostenuto che getto della terra e spurgo siano la stessa cosa e quindi raggruppa tali due segni in uno solo, ma ciò è errato: il getto della terra si riferisce all'originario scavamento del fosso, o anche al successivo approfondimento; lo spurgo, invece, è un’ opera di semplice manutenzione del fosso. Solo per il materiale di spurgo infatti (terra, ciottoli trasportati dall'acqua, foglie e frasche marcite che la stessa acqua o il vento hanno ammucchiato in fondo al fosso, interrimenti ecc.) il vecchio codice, sulle orme del codice sardo (art. 587), aveva posto la condizione che fosse ammucchiato da almeno tre anni: condizione che è rimasta anche nel nuovo codice.

In Francia e in Italia si è molto discusso relativamente a questi tre segni, ma si tratta di discussioni più teoriche che pratiche, come dimostra il fatto che la giurisprudenza ben di rado ha dovuto occuparsene. Non è quindi il caso di dilungarsi in proposito, rinviandosi pertanto alle trattazioni speciali sulla materia.

Il nuovo codice (art. 897, ult. capov.) ha aggiunto un capoverso disponendo che se dei tre suddetti segni di presunzione di proprietà esclusiva uno o più sono da una parte, e uno o più dalla parte opposta, il fondo si presume comune.


Diritti e obblighi dei condomini

Il vecchio codice non conteneva alcuna disposizione circa i diritti che competono ai condomini sui fossi comuni: quanto agli obblighi, diceva che « sono mantenuti a spese comuni ».

Questa disposizione relativa alle spese nel codice francese formava un articolo a parte (art. 669) e così pure nei codici italiani preesistenti. Ma il Progetto di revisione del codice Albertino (1860) la riunì in uno stesso articolo (art. 671) con la norma che disponeva la presunzione di comunione dei fossi divisori, e con lo stesso ordine era passata nel vecchio codice (art. 565). Questa trasposizione aveva dato luogo a dubbi interpretativi: il nuovo codice, semplificando, ha soppresso la disposizione relativa alle spese di manutenzione, essendo sufficiente solo l'applicazione dei principi generali in materia di comunione (art. [[n1100]] c.c.); e lo stesso vale per i diritti che spettano ai condomini sui fossi divisori comuni.


Facoltà del condomino di liberarsi dalle spese di manutenzione rinunciando al diritto di comunione

Si è discusso se sia consentito al condomino esonerarsi dalle spese di manutenzione con l'abbandono del diritto di comunione sul fosso divisorio: il dubbio è sorto perché anche dopo l'abbandono il condomino rinunciante continuerebbe a godere del fosso per immettervi gli scoli, se non più a titolo di comproprietà, almeno a titolo di scolo naturale (art. 913 del c.c.). Si avrebbe qui una rinuncia volta al solo effetto di esonerare il condomino dalle spese, pur facendolo restare in grado di poter ricavare dal fosso abbandonato quasi tutte, se non tutte, le utilità che ne ricavava prima. Ora ciò non pare lecito, così come per esplicita disposizione dell'art. 882 non è consentito al comproprietario del muro comune di rinunciare alla comunione quando it muro sostenga un edificio di sua spettanza: un esplicito divieto in questo senso, per i fossi destinati abitualmente allo scolo delle acque, si trova nella legge francese 20 agosto 1881.

Tali ragioni però non sono sufficienti per escludere in genere il diritto di abbandono. Il fatto che il rinunciante seguiti a trarre utilità dal fosso per immettervi gli scoli costituisce un diritto per nulla speciale, che comunque gli sarebbe sempre spettato in base all'art. 882, anche se originariamente il fosso fosse stato in esclusiva proprietà del vicino. E nemmeno è corretto affermare che egli possa continuare a trarne utilità come prima, perché prima, da condomino, poteva servirsene illimitatamente, mentre dopo la rinuncia non potrebbe usufruire di altro che dello scolo naturale, senza possibilità di aggravarlo o variarlo in qualunque modo.

Non appare contrario a tale tesi quanto disposto in Francia dalla legge 20 agosto 1881: essa ha sanzionato il diritto di abbandono, ma vi ha fatto eccezione per i fossi destinati a scolo permanente, infatti questa eccezione che spiega con la loro speciale destinazione.

Sembrano, pertanto, del tutto arbitrarie le distinzioni e suddistinzioni che si vorrebbe fare tra fossi naturali e fossi artificiali allo scopo di ammettere o negare l'esercizio del diritto di abbandono. Deve perciò applicarsi il principio generale stabilito in materia di comunione dall'art. [[n1104]], che riconosce al condomino la facoltà di liberarsi dall'onere delle spese con la rinuncia al suo diritto.


Diritto del condomino di chiedere la divisione

Può il condomino domandare la divisione del fosso comune? La questione è sorta in Francia e si è riproposta in Italia: alcuni ammettono la divisibilità, altri sostengono invece l’ indivisibilità. V'e chi poi, seguendo una opinione intermedia, ne fa una questione di fatto, da decidersi caso per caso: la divisibilità dovrebbe essere ammessa se il fosso non servisse più all'uso a cui era destinato; ma dovrebbe essere negata se con la divisione il fosso cessasse di servire all'uso destinatogli. In Francia la legge 20 agosto 1881 ammise la divisibilità del fosso solo quando era necessario alla chiusura, alla condizione però di costruire un muro sul confine.

Nello stesso ordine di idee, fondandosi sui principi generali, riteniamo che non può chiedersi lo scioglimento della comunione del fosso, quando, così diviso, esso cessi di servire all'uso a cui è destinato. Ma nel caso in cui esso serva solo alla chiusura, il condomino può chiederne la divisione costruendo un muro affinchè la chiusura non venga meno, pur restandone mutata la modalità.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

425 La disciplina di queste materie si conclude con un gruppo di norme (art. 897 del c.c., art. 898 del c.c. e art. 899 del c.c.), le quali, in conformità dei criteri seguiti dal codice del 1865 (articoli 565 - 569), stabiliscono presunzioni di comunione e di proprietà esclusiva dei fossi e delle siepi interposti tra i fondi e degli alberi sorgenti, sul confine.

Massime relative all'art. 897 Codice Civile

Cass. civ. n. 22909/2015

La presunzione di comunione del fosso ex art. 897 c.c. non può applicarsi ove il confine sia controverso, sicché essa non può essere invocata per regolare il confine secondo l'andamento del fosso in difformità da quanto risultante nelle mappe catastali.

Cass. civ. n. 1201/1996

La presunzione di comunione di cui all'art. 897 c.c., del fosso interposto fra i fondi di rispettiva proprietà dei confinanti ed utilizzato per lo scolo delle acque, è operante anche quando il confine catastale corre lungo la mezzeria del fosso, mentre tale presunzione è esclusa quando il fosso, corra per tutta la sua lunghezza nella parte interna di uno dei due fondi confinanti.

Cass. civ. n. 1017/1976

Il primo comma dell'art. 897 c.c., secondo cui ogni fosso interposto tra due fondi si presume comune, si riferisce così ai fondi rustici come ai fondi urbani. La prima parte del cpv. dell'art. 897 c.c., secondo cui il fosso interposto tra due fondi si presume appartenente al proprietario che se ne serve per gli scoli delle sue terre, si riferisce non solo alle acque scolaticce normalmente defluenti dai terreni a monte, ma anche agli scoli di acque piovane, di acque di irrigazione, e di acque bianche eventualmente provenienti da edifici.

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Consulenze legali
relative all'articolo 897 Codice Civile

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Anonimo chiede
martedì 03/09/2024
“Fra due proprietari (a, il sottoscritto, e b una guerresca signora) di terreni confinanti è sorto un dissidio poichè il fosso interposto fra i confini, che dall'origine ha la precipua ed assolutamente riconosciuta da entrambi, funzione di sgrondo delle acque piovane e/o di eventuali, improbabili alluvioni, viene utilizzato durante la stagione estiva da a) - da almeno cinquant'anni senza eccezione alcuna, dunque avendo possibilmente dato origine ad una sorta di usufrutto - per canalizzare acque di falda prelevate tramite pozzo artesiano al macero, pure esso comune, da dove vengono prelevate con mezzi propri per l'irrigazione.
Orbene, stante il fatto che risalendo il fosso le nutrie (fenomeno deteriore ampiamente diffuso in provincia) arrecano danni alle sponde determinando erosioni, il confinante b) pretende che a), nonostante la sua disponibilità a concorrere alle manutenzioni ordinarie e straordinarie non si serva piu' del fosso per veicolare le acque di falda e provveda a realizzare una specifica e costosa tubazione sotterranea dalla propria parte.
Inoltre, poichè il fosso in questione ha due sbocchi: da un lato verso il fosso adiacente ad una strada comunale asfaltata, dall'altro verso il macero e da qui', in caso di necessità, verso un ulteriore fosso di scolo parallelo al primo. In entrambi i casi le acque in eccesso convergono verso lo stesso canale consortile.
Ad evitare una inutile dispersione delle acque verso la strada, è stata posizionata da a) una sorta di paratoia mobile, operativa solo nei mesi estivi, per far si che le acque prelevate con costi elevati, vadano prevalentemente verso il macero.
Al proposito, il confinante b) ne pretende la rimozione giudicando illegittimo il posizionamento, ancorchè nessun danno venga da lui subito. Neppure in caso di piogge copiose.
Confidando di aver chiaramente esposto il problema e stante la situazione descritta, chiedo se a) :
- può continuare ad utilizzare il fosso per inviare le acque al macero in virtu' del non danno , nonchè di un uso consolidato?
- può installare, nei soli mesi di flusso delle acque d'irrigazione, una paratoia per evitare dispersione di acqua?
Ovviamente la vicenda non è di facile soluzione. Ma una soluzione serve poichè dopo un recente incontro, il confinate b) ha rimosso la paratoia.
Grazie e saluti”
Consulenza legale i 09/09/2024
Con il termine “fosso” deve intendersi lo scavo che segna il confine tra due fondi contigui, quale che sia la sua profondità, purché sia idoneo a raccogliere le acque che possono scaturire dai fondi latistanti.
Il primo comma dell’art. 897 c.c. fissa una presunzione semplice di comunione in tema di fossi esistenti tra due fondi, fondata su ragioni di reciproca utilità per i confinanti, sia per la comunanza di interessi degli stessi, sia per l'opportunità di limitare le liti, in presenza di opere di cui è difficile accertare la proprietà.
In particolare, perché sorga la presunzione di comunione del fosso utilizzato per lo scolo di acque, occorre che si tratti di un fosso interposto tra i fondi, e cioè di un fondo giacente lungo il confine tra i due fondi; detta presunzione riguarda solo i proprietari dei due fondi tra i quali giace il tratto di fosso che funge da confine per entrambi, mentre non si estende a tutti i proprietari dei terreni situati lungo l'intero percorso del fosso.

Una volta accertata la comproprietà del fosso, si applicano, per disciplinarla, le norme sulla comunione, sia per ciò che riguarda i diritti e i doveri dei proprietari frontisti, sia in ordine alla manutenzione del fosso.
Tra tali norme, quella a cui va fatto precipuo riferimento per risolvere il caso in esame è l’art. 1102 c.c., il quale attribuisce a ciascun partecipante alla comunione il diritto di servirsi della cosa comune “…purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto…”.
Ebbene, l’uso del fosso che nel corso di questi anni ha fatto il proprietario A potrebbe, ad un primo esame, ritenersi in contrasto con la destinazione che lo stesso ha, ovvero quella di “sgrondo delle acque piovane e/o di eventuali, improbabili alluvioni”.

Tuttavia, deve osservarsi che il limite della destinazione economica (comportante una limitazione al diritto d’uso del compartecipe) implica piuttosto la non alterazione della destinazione della cosa comune, intesa come suo modo di utilizzazione, e si sostanzia nella determinazione dell’area delle possibili modificazioni che il compartecipe può apportare al bene.
Peraltro, nel concetto di destinazione economica assumono rilevanza sia una destinazione normale che una concreta, le quali possono implicare, oltre ad un’unicità, anche una pluralità di usi.
E’ questo, per voler fare un esempio, il caso del cortile condominiale, il quale può essere utilizzato, oltre che per dare luce ed aria al fabbricato (è questo il suo uso normale) anche per svariati e concomitanti usi accessori (potrebbe servire per fare stazionare un’autovettura per il tempo necessario allo scarico ed al carico delle merci).

La conclusione a cui deve giungersi, dunque, è che l’art. 1102 c.c. deve intendersi nel senso che con tale norma il legislatore ha voluto assicurare al singolo partecipante la maggiore possibilità di godimento della cosa comune, nel senso che purché non resti alterata la destinazione del bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi libero di servirsi della cosa stessa anche per un fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, senza che possano costituire vincolo per lui forme più limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e può scegliere, tra i vari possibili usi, quello più confacente ai suoi personali interessi.

Pertanto, facendo applicazione dei principi sopra espressi al caso in esame, può dirsi che il comportamento di A deve ritenersi del tutto corretto e legittimo, in quanto di fatto non impedisce che il fosso comune possa continuare a mantenere la destinazione per cui è stato costituito, ovvero quella di sgrondo delle acque piovane.
Legittimo deve ritenersi anche il posizionamento della paratoia volto ad evitare la dispersione di acque, rispondendo ciò non soltanto ad un interesse privato di A, ma anche ad un interesse pubblico, ovvero quello di fare un corretto uso delle risorse naturali ed in particolare dell’acqua, risorsa essenziale per la vita, che come tale deve essere salvaguardata da ogni possibile spreco, soprattutto ove sussistano situazioni di carenza.

Infine, si ritiene sia il caso di precisare che, tra le norme dettate in tema di comunione, applicabili al caso in esame, non va trascurato il disposto di cui all’art. 1104 del c.c., in forza del quale deve ritenersi lecita, al fine di liberarsi dagli obblighi inerenti alla conservazione, la rinunzia al diritto di comunione del fosso, risultando irrilevante la circostanza che il rinunziante continui a trarre dal fosso qualche utilità, quale l'immissione degli scoli.
Pertanto, la Sig.ra B, se non ha alcuna intenzione di contribuire alle spese di manutenzione, potrebbe anche decidere di avvalersi di quanto previsto dalla suddetta norma.