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Articolo 624 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Violenza, dolo, errore

Dispositivo dell'art. 624 Codice Civile

La disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse(1) quando è l'effetto di errore(2) [625 c.c.], di violenza(3) o di dolo(4) [1427 ss. c.c.].

L'errore sul motivo(5) [626 c.c.], sia esso di fatto o di diritto, è causa di annullamento della disposizione testamentaria(6), quando il motivo risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre [634, 647, 648 c.c.].

L'azione si prescrive in cinque anni(7) dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell'errore [2652 n. 7, art. 2690 del c.c. n. 4, art. 2948 del c.c.].

Note

(1) Legittimati ad impugnare le disposizioni testamentarie sono tutti coloro che potrebbero ricevere vantaggi dall'annullamento della disposizione invalida (es. gli eredi legittimi).
(2) L'errore consiste nella falsa rappresentazione della realtà fattuale (errore di fatto) o giuridica (errore di diritto) che incide sulla formazione della volontà.
Essendo il testamento un negozio giuridico unilaterale, non è richiesto che l'errore sia riconoscibile.
(3) La violenza consiste nel costringimento psicologico (c.d. violenza morale). Si ritiene, tuttavia, che in tema di testamento la violenza rilevante possa essere anche meno grave di quella richiesta per l'annullamento dei contratti.
La violenza fisica, escludendo in toto la volontà del soggetto, è causa di nullità del testamento.
(4) Il dolo consiste negli artifizi e raggiri posti in essere da un soggetto per deviare la volontà del testatore verso una direzione che, diversamente, non avrebbe preso. La sua sussistenza si valuta in relazione alle circostanze ambientali, culturali o psicologiche.
(5) E' errore sul motivo che rileva ai fini dell'annullamento quello che sia stato causa unica e determinante dell'atto, senza cui il testatore non avrebbe testato o avrebbe testato in maniera diversa.
(6) Deve desumersi dal testamento e deve essere stato la causa unica della disposizione testamentaria.
(7) Si tratta di un'eccezione alla norma generale di cui all'art. 2935 del c.c. in cui rileva l'impossibilità di mero fatto di esercitare il diritto.

Ratio Legis

I vizi della volontà del testamento hanno maggior rilevanza rispetto a quanto previsto in materia di contratti poichè si vuole garantire la massima tutela alla volontà testamentaria.

Brocardi

Captatoriae scripturae neque in hereditatibus neque in legatis valent
Errore scribentis testamentum iuris solemnitas mutilari nequaquam potest
Non solet exceptio doli nocere his quibus voluntas testatoris non refragatur
Omnia quae ex testamento proficiscuntur, ita statum eventus capiunt, si initium quoque sine vitio coeperint

Spiegazione dell'art. 624 Codice Civile

Il primo comma dichiara espressamente impugnabili, per violenza o per dolo, le disposizioni testamentarie.
Tale regola non era stata enunciata nel vecchio codice del 1865, poiché potevano ritenersi estensibili al testamento le disposizioni contenute negli articoli #1111# - #1115# di quel codice: la dottrina, infatti, aveva elaborato la teoria generale del negozio giuridico e identificato un complesso di norme le quali, anche se dettate per una categoria di negozi - i contratti - dovevano ritenersi applicabili agli altri tipi negoziali, e quindi anche al testamento. Tra queste norme erano indubbiamente da comprendere quelle relative all’impugnabilità per violenza o per dolo.
Ciò tanto più varrebbe oggi, poiché la teoria generale del negozio giuridico costituisce ormai un’acquisizione. C’è tuttavia da rilevare che, mentre gli articoli #1111# - #1115# del codice del 1865 si riferivano al contratto, e potevano quindi essere estesi al negozio giuridico, considerato nel suo complesso, la disposizione del primo comma del presente articolo riguarda, più propriamente, le singole disposizioni testamentarie, che sono parti, in un certo senso autonome, del negozio testamentario.
Tuttavia, non basterebbe questa sola differenza relativa all’oggetto a giustificare la disposizione della quale ora si tratta, poiché - com'è noto - le cause di nullità o di annullabilità del negozio possono colpire il negozio medesimo nel suo complesso, o singole parti del suo contenuto, essendo il nucleo del negozio giuridico costituito da una determinazione volitiva che può anche scindersi in una pluralità di minori determinazioni volitive (disposizioni), in un certo senso autonome, all’interno del negozio che le contiene. Si tratta di un problema giuridico, da impostare e risolvere sulla base di elementi formali, e rispetto al quale ogni rilievo di ordine psicologico non può che costituire un presupposto od appiglio materiale per la sua esatta impostazione, dal punto di vista tecnico e giuridico.
Inoltre, è pure il caso di rilevare che il fenomeno dell’autonomia delle singole disposizioni costituenti il contenuto dell’unico negozio presenta il massimo rilievo proprio in rapporto al negozio testamentario, come si può facilmente desumere dalla lettura, anche affrettata, delle norme sia del vecchio che dell’attuale codice.
Dunque, il primo comma del presente articolo può avere una giustificazione pratica: eliminare ogni possibile dubbio circa l’applicabilità delle norme generali sull’impugnabilità per violenza o per dolo al negozio testamentario, che presenta, quanto alla disciplina positiva, peculiarità e caratteristiche per le quali non solo si richiedono disposizioni particolari, ma possono sorgere (e spesso sorgono) dubbi circa l’applicabilità di disposizioni di carattere generale.
Il secondo comma riguarda l’impugnativa delle disposizioni testamentarie per errore sul motivo. La disposizione si giustifica (e si giustificava, sotto la vigenza del vecchio codice) perché contiene una serie di limitazioni rispetto alle norme generali degli articoli #1109# - #1110# del codice del 1865.
Si richiedeva infatti, e si richiede: a) che il motivo sia espresso; b) che costituisca la causa unica della disposizione (mentre il negozio giuridico in genere può annullarsi anche se l’errore non abbia il suo correlato in una dichiarazione espressa del movente che indusse il soggetto a volere, ed anche se l’errore costituì la causa principale del negozio). È da notare, però, che questa disposizione particolare si limita a statuire in merito all’impugnativa delle disposizioni testamentarie per causa di errore sui motivi; anzi, i compilatori dell’attuale codice si ispirarono al concetto “che l’errore vizio in tanto è rilevante, in quanto costituisca errore sui motivi; mentre ogni altro errore sugli elementi essenziali può valere soltanto come errore ostativo, che determina non l’annullabilità ma la nullità del testamento”.
Ma il testo legislativo non si presta a tale interpretazione, con la quale, d’altro canto, si escluderebbe, senza ragione logica, l’impugnativa generica per errore derivante dai princìpi e dalle regole generali. In base al testo dell’art. #828# codice 1865, sul quale la norma che si esamina appare modellata, si ammetteva l'impugnativa delle disposizioni testamentarie per errore, anche diverso da quello sui motivi, purché ricorressero le condizioni richieste dagli articoli #1111# ss. del detto codice.
Per quanto riguarda la redazione della disposizione in esame, è il caso di rilevare che essa è notevolmente migliorata rispetto a quella dell’art. #828# del codice del 1865. Alla parola “causa”, che risultava estremamente equivoca di fronte al significato rigorosamente tecnico che essa assumeva negli articoli #1119# ss. codice 1865, è stata sostituita la parola “motivo”, che deve ritenersi più propria e meno rischiosa. L’idea racchiusa nell’aggettivo “espressa” collegato al termine “causa” è stata parzialmente modificata, poiché l’art. 624 richiede esplicitamente soltanto la contestualità: il motivo erroneo deve risultare dal testamento, e non può desumersi aliunde, né provarsi con altro mezzo, al di fuori del documento in cui il testamento è racchiuso.
Infine, nell’articolo in esame si fa menzione espressa dell’errore di fatto e dell’errore di diritto, e vengono così eliminati i dubbi affacciati circa l’ambito dell’impugnabilità. Per altro verso, la formula dell’art. 624 comma 2 deve ritenersi tecnicamente più corretta di quella dell’art. #828# del codice del 1865, con riferimento alla sua struttura complessiva. L’art. 624, infatti, qualifica impugnabili (cioè annullabili) mediante apposita azione le disposizioni testamentarie viziate da dolo, violenza o errore nei motivi; mentre invece l’art. #828# del codice del 1865 dichiarava che le disposizioni testamentarie affette da errore sopra la causa espressa “non hanno alcun effetto”: ciò non corrispondeva alla realtà pratica, e contrastava coi criteri elementari della sistematica giuridica.
Il terzo comma stabilisce il termine quinquennale di prescrizione per l’azione di annullamento delle disposizioni testamentarie viziate da dolo, violenza o errore sui motivi. Il legislatore ha voluto affermare un astratto criterio di simmetria, con riferimento all’art. #1300# del codice del 1865. Era stato, infatti, proposto che il termine si facesse decorrere non dalla scoperta del vizio, ma dal giorno dell’esecuzione del testamento, anche per evitare il prolungamento indefinito nel tempo del termine prescrizionale, per l’ipotesi in cui fossero diversi gli interessati a proporre la relativa azione, ed essi avessero notizia del vizio in tempi differenti. Il sistema, che, in definitiva, prevalse, venne così giustificato nella relazione del Guardasigilli al Progetto preliminare (n. 135): “Si è rilevato che l’innovazione costituirebbe una deviazione illogica dalle regole accolte in materia contrattuale e potrebbe praticamente impedire l’esercizio dell’impugnativa, quando gli interessati, o perché assenti o per altre ragioni, non abbiano modo di conoscere il vizio del testamento”.
Il rilievo è certamente apprezzabile, ma va integrato. Innanzitutto, si deve osservare che il comma 3 dell'art. 624 non è perfettamente conforme all’art. #1300# del codice del 1865; infatti, riguardo alla violenza, l’art. #1300# codice 1865 faceva decorrere il termine dal momento in cui essa “è cessata”, mentre l’art. 624 fa decorrere il termine, in tutti i casi, dal giorno in cui si è avuta notizia del vizio. E la deviazione può apparire giustificata, per il particolare riflesso che, in materia di contratti, il soggetto che subisce la violenza, e quindi ha conoscenza di essa, è quello stesso che è legittimato a proporre l’impugnativa; mentre, in materia testamentaria, chi subisce la violenza è il testatore, e chi è legittimato a produrre impugnativa è invece l’erede. La differenza, però, non è così macroscopica, come può a prima vista sembrare. Infatti, in materia contrattuale, può darsi che il soggetto che subì la violenza muoia senza aver proposto l’impugnativa e il termine non sia decorso: in questo caso, i suoi eredi, astrattamente legittimati, possono subire gli effetti della prescrizione, per non avere avuto notizia della violenza. E reciprocamente, in materia testamentaria, il testatore ha un’arma ancora più potente per eliminare gli effetti della violenza subita: revocare il testamento o la disposizione estorta con violenza.
Per quanto riguarda, poi, le richiamate esigenze logiche del sistema, c’è da rilevare che l’applicazione letterale dell’art. 624 potrebbe condurre alla conseguenza assai strana del verificarsi della prescrizione a carico di persone non ancora legittimate a proporre l’impugnativa, per non essersi ancora aperta la successione. Si può, infatti, fare l’ipotesi che il successibile interessato all’annullamento della disposizione testamentaria venga a conoscenza del vizio durante la vita del testatore, e decorra il quinquennio prima che si apra la successione. Ciò costituirebbe certo un assurdo logico, che la deviazione dal sistema adottato per i contratti avrebbe potuto evitare. L’assurdo, però, potrebbe essere ugualmente evitato, col rispetto delle esigenze pratiche sopra riferite, qualora si applicasse qui il principio “contra non valentem agere non currit praescriptio”. La disposizione, in tal caso, dovrebbe essere intesa come se fosse così completata: “in ogni caso la prescrizione non comincerà mai a decorrere prima dell’apertura della successione”.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

303 Seguendo il codice del 1865, il testo precedente (articolo 170) si limitava a regolare, fra le altre cause d'invalidità delle disposizioni testamentarie, l'errore-vizio nel suo particolare aspetto di errore sui motivi, e lasciava ai principi generali la determinazione dell'influenza dell'errore ostativo sulla validità delle disposizioni stesse. Nel libro quarto, in relazione ai contratti, sono ora state regolate, a differenza di quanto faceva il codice del 1865, entrambe le specie di errore, facendone derivare in ogni caso l'annullabilità dei contratti. Ciò mi ha indotto a modificare l'art. 624 del c.c., per evitare il dubbio che si sia voluto escludere del tutto l'errore ostativo in materia testamentaria. Con questo non si è inteso in nessun modo ampliare, nei confronti del codice del 1865, la sfera d'influenza dell'errore nelle disposizioni testamentarie. A proposito dello stesso articolo, inoltre, era stato suggerito di specificare che il dolo o la violenza inficiano il testamento da chiunque siano adoperati. Ma ho tenuto ferma la dizione del progetto definitivo, poiché, come è stato osservato nella relazione a detto progetto, in dottrina e in giurisprudenza è ormai pacifico che la limitazione posta nell'art. 1439 del c.c., primo comma, è inapplicabile agli atti unilaterali. Ho infine apportato una lieve, se pure sostanziale, variante al secondo comrna di questo stesso articolo, nel quale è prevista l'impugnativa per errore sui motivi. L'art. 166 del progetto definitivo condizionava l'impugnazione per errore sui motivi a due circostanze, e cioè che il motivo fosse espresso e fosse il solo determinante la volontà del testatore. Ho considerato che, richiedendo tali requisiti, si rendeva eccessivamente rigorosa la prova dell'errore, il che era tanto più grava, in quanto, nel sistema del progetto, anche le forme di errore-vizio, che di regola sono rilevanti per l'annullamento dei contratti, non sono rilevanti per le disposizioni testamentarie, se non in quanto rientrano nella categoria dell'errore sui motivi e se non presentano i requisiti che la legge richiede per tale forma di errore. Ho perciò ritenuto opportuno eliminare la condizione del motivo espresso, limitandomi a richiedere che l'esistenza del motivo si deve desumere dal testamento, attraverso l'interpretazione della volontà del disponente, il che importa che non sia indispensabile un'esplicita enunciazione del motivo. Naturalmente però la dimostrazione della efficienza causale del motivo e della sua efficacia determinante della volontà non deve necessariamente risultare dal testamento, ma si può anche desumere aliunde. Analoga modificazione ho apportata per ovvie ragioni di euritmia nell'art. 787 del c.c., relativo all'impugnazione della donazione per errore sul motivo.

Massime relative all'art. 624 Codice Civile

Cass. civ. n. 30424/2022

La disposizione testamentaria può dirsi effetto di dolo, ai sensi dell'art. 624, comma 1, c.c., allorché vi sia prova dell'uso di mezzi fraudolenti che, avuto riguardo all'età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito del testatore, siano stati idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale essa non si sarebbe spontaneamente indirizzata; idoneità da valutarsi con criteri di larghezza nei casi in cui il testatore, affetto da malattie senili che causano debolezze decisionali ed affievolimenti della 'consapevolezza affettiva', sia più facilmente predisposto a subire l'influenza dei soggetti che lo accudiscono o con cui da ultimo trascorre la maggior parte delle sue giornate, costituendo tali valutazioni apprezzamenti di fatto non sindacabili in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Il testamento, ai sensi dell'art. 624 c.c., può essere altresì annullato quando sia l'effetto di violenza, dolo o errore, ed anche di errore sul motivo se risulti che sia stato l'unico ad aver determinato il testatore. In particolare, in tema di dolo o violenza, occorre la prova che i fatti di induzione in errore o di violenza abbiano indirizzato la volontà del testatore in modo diverso da come essa avrebbe potuto normalmente determinarsi. Il dolo può consistere anche nella cosiddetta captazione, che non si concreta in una qualsiasi influenza esercitata sul testatore, ancorché attraverso blandizie, richieste e suggerimenti, sia pure interessati, ma deve consistere in veri e propri artifizi o raggiri o in altri mezzi fraudolenti che, avuto riguardo all'età, allo stato di salute e alle condizioni di spirito del testatore, siano stati idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata.

Cass. civ. n. 7178/2018

L'errore sul motivo, assunto dall'art. 624, comma 2, c.c. quale causa di annullamento di disposizioni testamentarie, si identifica in quello che cade sulla realtà obiettiva e non già sulla valutazione che di essa abbia fatto il testatore nel suo libero e insindacabile apprezzamento circa l'importanza e le conseguenze della realtà stessa, in relazione alle sue personali vedute e aspirazioni ed ai fini perseguiti nel dettare le sue ultime volontà, sicché tale soggettiva valutazione della realtà obiettiva è da qualificarsi come giuridicamente irrilevante. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 22/04/2013).

Cass. civ. n. 24637/2010

Il motivo del testamento consiste nella ragione determinante di esso, come quella che domina la volontà del testatore nel momento in cui detta o redige le disposizioni di ultima volontà, cosicché, per potersi parlare di motivo erroneo, tale da rendere inefficace la disposizione, è necessaria la certezza, desumibile dallo stesso testamento, che la volontà del testatore sia stata dominata dalla rappresentazione di un fatto non vero, in modo da doversene dedurre che, se il fatto fosse stato percepito o conosciuto nella sua verità obiettiva, quella disposizione testamentaria non sarebbe stata dettata o redatta. L'apprezzamento del giudice di merito circa l'esistenza o meno del motivo erroneo, dedotto quale causa di annullamento del testamento, è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici ed errori di diritto.

Cass. civ. n. 2122/1991

Per affermare l'esistenza della captazione, la quale deve essere configurata come il dolus malus causam dans trasferito dal campo contrattuale a quello testamentario, non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, blandizie e promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti, che siano da ritenersi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato.

Cass. civ. n. 254/1985

In tema di errore ex art. 624 c.c. è necessaria la dimostrazione che la volontà del testatore sia stata influenzata in maniera decisiva dalla percezione, come reali, di fatti diversi dal vero. Analogamente, in tema di dolo o violenza, sempre ex art. 624 c.c., occorre la prova che i fatti di induzione in errore o di violenza abbiano indirizzato la volontà del testatore in modo diverso da come essa avrebbe potuto normalmente determinarsi. Più in particolare, quanto al dolo, ad integrare la captazione non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore attraverso blandizie, richieste, suggerimenti, sollecitazioni e simili, sia pure interessati, ma è necessario l'impiego di altri mezzi fraudolenti che, avuto riguardo all'età, allo stato di salute e alle condizioni psichiche del de cuius, siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata.

Cass. civ. n. 1117/1975

È viziata la motivazione della sentenza che, nel rigettare la domanda di annullamento del testamento per violenza morale, ometta di tener conto dell'età, del sesso e della condizione del testatore.

Cass. civ. n. 2132/1971

L'errore sul motivo, assunto dall'art. 624 c.c. quale causa di annullamento della disposizione testamentaria, è quello che cade sulla realtà oggettiva e non sulle valutazioni della medesima e della sua rilevanza in ordine ai fini perseguiti dal testatore.

Cass. civ. n. 2007/1970

Il gradimento, manifestato dagli eredi potenziali nei confronti del contenuto di un testamento in corso di formazione, non è manifestazione di volontà giuridicamente idonea ad influire sulla libertà di autodeterminazione del testatore. Detto gradimento, anche se carpito da altro coerede potenziale, non può costituire errore sul motivo viziante la volontà testamentaria, poiché secondo l'art. 624, primo comma, c.c., l'errore sul motivo deve desumersi dallo stesso testamento al fine di rendere possibile la ricostruzione del processo formativo della volontà del de cuius e la individuazione del vizio invalidante.

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Consulenze legali
relative all'articolo 624 Codice Civile

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P. P. chiede
sabato 25/06/2022 - Sardegna
“Gentilissimi, si chiede cortesemente consulenza per quanto sottoesposto:
con il decesso dei nostri genitori io e mio fratello abbiamo ereditato la loro casa. Mio fratello, di recente deceduto, ha lasciato in eredità tramite testamento, la sua parte di questa casa ad una signora estranea alla nostra parentela. Il testo del testamento olografo, regolarmente datato e sottoscritto, è il seguente:
“Io sottoscritto Bianco Bianchi dichiaro di voler lasciare tutti i miei beni, mobili ed immobili, che si trovano all’interno della mia casa alla signora Rosa Rossi”
Alla fine del testamento segue, sottoscritto e con la stessa data, il seguente “post-scriptum”:
“Durante la mia vita, da parte di mio fratello, ho subito ogni sorta di sopruso, calunnia e diffamazione. Sono stato abbandonato nelle ore del bisogno, sono stato turlupinato e truffato, con ogni forma di angheria e ricatti; pertanto, voglio che questa persona non abbia alcuna pretesa in merito alla mia decisione, in quanto lo ritengo indegno di essere mio fratello, nei confronti del quale non trovo parole adatte per bollarlo di infamia.”
Quesito
Premetto che il de cuius non era sposato e non aveva figli; non aveva né genitori, né nonni; perciò, come fratello e in qualità di prossimo erede subentrante chiedo di sapere se ho il diritto di impugnare il testamento, e in caso affermativo, se vi siano le condizioni di un possibile annullamento per “ errore sul motivo”, come previsto dall’art.624 comma 2 del c.c., essendo la convinzione del de cuius sopra esposta come postilla al testamento il solo motivo che lo ha spinto a disporre della sua parte di casa in favore della signora Rosa Rossi, ritenendo che durante la sua vita il sottoscritto lo abbia sempre e in vari modi maltrattato. Di fatto non capisco come sia maturata questa incomprensibile dichiarazione, priva di ogni fondamento e di qualsiasi riscontro nella realtà dei fatti, non essendovi nessun esposto o denuncia nei miei confronti e nessuna prova tangibile di quanto egli ha dichiarato nel testamento; al contrario, posso dimostrare anche documentalmente episodi, azioni e fatti concreti di solidarietà nei suoi confronti da parte del sottoscritto fino alla data del suo decesso.
In attesa di un vostro riscontro vi porgo i più cordiali saluti.
Si allega copia del bonifico bancario a vostro favore per consulenza.”
Consulenza legale i 26/07/2022
La norma che viene richiamata nel quesito, e precisamente il secondo comma dell’art. 624 c.c., si ritiene che si adatti perfettamente al caso di specie ed alla finalità che si vorrebbe perseguire, ovvero l’apertura della successione legittima in favore del fratello ed unico erede ex lege.
Costituisce presupposto fondamentale in tema di successione testamentaria quello secondo cui ai fini della validità del negozio testamentario è indispensabile l’integrità della volontà del de cuius, la quale si ravvisa sia nell’assenza di vicende perturbative della formazione del consenso (errore, violenza e dolo) sia nella capacità di intendere e di volere (quest’ultima non è considerata come un vizio del consenso in sé e risulta disciplinata all’art. 591 del c.c.).
L’integrità del consenso, derivante dall’assenza di vicende perturbative, si riflette sulla validità del negozio testamentario, con la precisazione che alcune fattispecie sono anche in grado di produrre effetti ulteriori (ci si riferisce alla violenza ed al dolo, i quali sono al contempo causa di indegnità a succedere, come risulta dall’art. 463 del c.c..

Tralasciando quest’ultima ipotesi, conseguenza immediata della sussistenza di un vizio del consenso è, dunque, l’annullabilità della disposizione testamentaria, la quale viene pronunciata dal giudice (a cui ci si dovrà necessariamente rivolgere) ed è destinata a produrre i suoi effetti ex tunc.
Come si ricava abbastanza chiaramente dal primo comma dell’art. 624 c.c., quella che viene in considerazione è un’ipotesi di annullabilità assoluta, potendo essere fatta valere da “chiunque vi abbia interesse” (non esiste, infatti, una parte a tutela della cui volontà viene stabilità detta annullabilità); proprio per tale ragione si ritiene possibile che, intervenuta una prima sentenza di annullamento, possa essere promossa una nuova domanda ad istanza di altro interessato rimasto estraneo al giudizio (così Appello Napoli 29.07.1980).

Dei dubbi sono sorti in relazione alla concreta individuazione dei “soggetti interessati”, tenuto conto che l’azione di impugnazione è diretta in primo luogo a contestare l’integrità del consenso del de cuius e, soltanto in via mediata, si pone come fine quello di far ottenere all’attore un miglioramento della propria posizione economica, derivante dalla validità di altro testamento o dall’applicazione delle norme sulla successione legittima.
Così si è ritenuto ad esempio che, proprio perché vengono coinvolti valori familiari che trascendono il profilo meramente economico della vicenda, l’azione di impugnazione del testamento per vizio del consenso non possa essere promossa in via surrogatoria dal creditore dell’erede.

Inoltre, configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario, occorre che al giudizio siano chiamati a partecipare tutti gli eredi legittimi (in questo caso assenti) e l’erede testamentario contemplato nel testamento impugnato, assumendo costoro la posizione, appunto, di litisconsorti necessari (così Cass. 1599/1971, Cass. 3339/1980; Cass. n. 33302/2019; Cass. n. 29826/2019).

Precisato quanto sopra, occorre adesso analizzare il concetto di “errore”, considerato che il legislatore non dà alcuna definizione dei vizi del consenso di cui all’art. 624 c.c, con la conseguenza che tale compito rimane rimesso all’interprete.
In linea generale, intanto, va precisato che l’errore, così come in campo contrattuale, può definirsi come una falsa rappresentazione della realtà, la quale deve essere riferita ad una circostanza già presente al tempo dell’atto (così Cass. 2132/1971); pertanto, non può configurare errore il verificarsi di eventi inattesi e successivi alla redazione del negozio testamentario, così come il venir meno di circostanze presenti al tempo della redazione del testamento e che siano stati rilevanti nella determinazione della volontà del de cuius.
Sotto questo profilo può già affermarsi che la situazione descritta nel caso in esame soddisfa detto requisito, in quanto il fatto che si intende dedurre a fondamento dell’errore in cui è incorso il de cuius sussisteva al tempo in cui il testatore ha esternato nella scheda testamentaria la sua volontà.

Il secondo comma, poi, fa specifico riferimento al “motivo del testamento”, da intendersi come quella ragione determinante di esso, che domina la volontà del testatore nel momento in cui detta o redige le disposizioni di ultima volontà.
A sua volta, si precisa in giurisprudenza che il motivo erroneo, quale circostanza in grado di legittimare una richiesta di annullamento dello stesso testamento, si configura nell’ipotesi in cui emerga con assoluta certezza che la volontà del testatore sia stata dominata dalla rappresentazione di un fatto non veritiero, in modo da doversene dedurre che, se il fatto fosse stato percepito o conosciuto nella sua verità obiettiva, quella disposizione testamentaria non sarebbe stata dettata o redatta (così Trib. Bari 07.09.2009; Cass. n. 24637/2010).
Anche tale presupposto può ritenersi configurabile nel caso di specie, in quanto risulta dalla stessa scheda testamentaria, seppure come postilla al testamento (pur sempre datata e sottoscritta) la specifica ragione che ha indotto il testatore ad escludere del tutto il fratello, unico erede legittimo, dalla sua eredità.

Rimane un ultimo requisito da soddisfare qualora ci si intenda avvalere dell’azione di annullamento di cui al secondo comma dell’art. 624 c.c., ovvero: riuscire a dimostrare che l’errore del testatore attiene alla realtà obiettiva, tenuto conto che è da considerare come giuridicamente irrilevante una soggettiva valutazione della realtà obiettiva.
Questo è ciò che si legge in Cass. n. 7178/2018:
“…secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (v., anche, Cass. n. 2152/1966 e Cass. 2132/1971), l'errore sul motivo, assunto dall'art. 624 c.c., comma 2, quale causa di annullamento di disposizioni testamentarie, si identifica in quello che cade sulla realtà obiettiva e non già sulla valutazione che di essa abbia fatto il testatore, nel suo libero ed insindacabile apprezzamento circa l'importanza e le conseguenze della realtà stessa, in relazione alle sue personali vedute ed aspirazioni ed ai fini perseguiti nel dettare le sue ultime volontà (donde tale soggettiva valutazione della realtà obiettiva è da qualificarsi come giuridicamente irrilevante). Peraltro, l'apprezzamento del giudice del merito circa l'esistenza o meno del motivo erroneo, dedotto quale causa di annullamento del testamento, è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici ed errori di diritto, come verificatosi nella fattispecie.”.

Da ciò se ne deve dedurre che nel portare avanti la tesi dell’errore sul motivo occorre avere a disposizione elementi e prove atti a convincere il giudice, nell’esercizio del suo libero ed insindacabile apprezzamento, che la realtà obiettiva di cui il de cuius ha tenuto conto è del tutto erronea, adducendo quelle circostanze a cui si fa cenno nel quesito capaci di provare che il fratello, unico potenziale erede legittimo, si è in effetti comportato in modo diametralmente opposto a come descritto dallo stesso testatore.

Qualora si ritenga di poter soddisfare tutti i requisiti sopra descritti, ci si potrà avventurare nel portare avanti un’azione di annullamento ex art. 624 comma 2 c.c., azione senza alcun dubbio rischiosa sotto il profilo delle possibilità di riuscita, tenuto conto che in materia testamentaria vige in genere il c.d. principio del favor testamenti (essendo la volontà del testatore unica ed irripetibile) ed in considerazione anche del fatto che il giudice potrebbe essere indotto a far salva la volontà testamentaria perché in fondo si tratterebbe di salvaguardare la posizione di un soggetto non rientrante nella categoria dei legittimari.

Grazia F. chiede
domenica 08/02/2015 - Sardegna
“Buongiorno, mia madre, morta lo scorso anno, ha fatto testamento olografo, in favore delle mie nipoti, figlie di mia sorella.
Nel testamento, scritto interamente di suo pugno, regolarmente datato e compiutamente firmato, mia madre precisa di voler lasciare un oliveto alle tre ragazze in quanto ha un debito di riconoscenza con il loro padre, mio cognato, per averla accolta in casa sua dopo la morte di mio padre.
Tale circostanza non risponde al vero, infatti mia madre, dopo la morte di mio padre, non ha abitato sempre da mia sorella, ma per oltre 15 anni ha vissuto con me. Tale circostanza è facilmente dimostrabile, infatti, ancora al momento della sua morte, mia madre aveva la residenza a ....., benchè non vi abitasse più da nove anni, essendo io dovuta andar via da casa e stabilirmi a Milano per curare una figlia malata. La circostanza è inoltre dimostrabile per il fatto che mia madre, invalida al 100% e portatrice di handicap ai sensi della L.104 , ha espressamente dichiarato in documenti ufficiali di convivere con la sottoscritta, che si occupava della sua salute. Cosa che è effettivamente avvenuta per quindici anni, finchè non ho dovuto andare in pensione e poi trasferirmi a Milano, tant'è che usufruivo al lavoro dei benefici della L.104.
In una lettera del 2013, a me indirizzata e ben successiva al testamento olografo, mia madre parla dell'oliveto (oggetto del lascito testamentario alle nipoti) come del " vostro oliveto" , riferendosi a noi figli e ripetendo la frase il vostro oliveto per ben tre volte.
Ho buoni motivi per ritenere che ci siano state nei confronti di mia madre coercizione e captazione e vorrei sapere se, nel caso prospettato siano ravvisabili le circostanze di errore , violenza e dolo di cui all'art, 624 del C.C. Gradirei anche conoscere la giurisprudenza sulla fattispecie. Mentre resto in attesa di cortese risposta, porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 12/02/2015
Quando accade - e accade molto spesso - che un testamento olografo non appaia genuino, in quanto la volontà in essa espressa appare diversa da quella che il testatore esprimeva a parenti e conoscenti in vita, si possono ipotizzare alcune fattispecie, alle quali l'ordinamento reagisce in vario modo.

Vi è innanzitutto l'ipotesi in cui il testatore abbia semplicemente mutato opinione. Nel testamento dice di voler lasciare un bene a Tizio, ma poi si comporta come se lo volesse lasciare a Caio.
Questa situazione non consente di ritenere "superato" il testamento, in quanto esso, seppur atto revocabile per eccellenza, è valido fintantoché una diversa volontà non sia esplicitata in un nuovo testamento o in un atto ricevuto da notaio (art. 680 del c.c.); oppure, finché un testamento successivo contenga disposizioni implicitamente incompatibili con quelle del testamento anteriore (art. 682 del c.c.).

La seconda ipotesi riguarda l'incapacità della signora di intendere e volere al momento della redazione del testamento: essa è causa di annullabilità dell'intero testamento ed è proponibile entro i 5 anni da quando le disposizioni ivi contenute furono effettivamente eseguite (art. 591 del c.c.: nei casi d'incapacità preveduti da questo articolo, il testamento può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse).

In terzo luogo, è ipotizzabile la presenza di un vizio della volontà ai sensi dell'art. 624 del c.c.:
- si ha errore, cioè una falsa rappresentazione della realtà fattuale (errore di fatto) o giuridica (errore di diritto), quando il vizio è riscontrabile nel processo di formazione del volere;
- si ha violenza nei casi in cui al testatore sia applicato un costringimento morale, psicologico, tale da coartare la sua volontà (la violenza fisica, escludendo in toto la volontà del soggetto, è invece causa di nullità del testamento);
- infine, il dolo è configurabile laddove un terzo utilizzi raggiri ed inganni per far cadere in errore il testatore e costringerlo a formulare una disposizione testamentaria che altrimenti non avrebbe scritto.
La conseguenza in tutti e tre i casi è l'annullabilità della disposizione testamentaria viziata (non è necessario che cada sempre l'intero testamento). La relativa azione va proposta entro 5 anni dal giorno nel quale si ebbe conoscenza del vizio.

Infine, non va dimenticato che, nel caso in cui taluno abbia costretto altri a redigere testamento in proprio favore, questi risponde anche di alcuni reati (diritto penale), come quello di circonvenzione di incapaci di cui all'art. 643 del c.p..

La situazione descritta nel quesito può far pensare sia al primo caso proposto che ad un caso di dolo.

Da un lato, l'espressione "debito di riconoscenza con Tizio per averla accolta in casa sua dopo la morte di mio marito" non sembra implicare necessariamente che la stessa abbia vissuto per anni presso Tizio, ma che questi - ipotizziamo - l'abbia accolta nel momento di più profondo dolore per la perdita del marito. Non essendovi indicazioni temporali in tal senso, agli occhi di un interprete neutrale, la disposizione non risulta particolarmente sospetta.

Tuttavia, il sospetto nasce invece dal contenuto della lettera successiva (vicina al momento della morte), in cui la signora si riferisce all'oliveto come se lo stesso appartenga/dovrà appartenere ai figli e non ai nipoti.
Per aversi dolo (si parla propriamente in questi casi di "captazione", intesa come complesso di pressioni, menzogne o manifestazioni di affetto insincere) non è sufficiente, tuttavia, una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, etc.: è necessario l'utilizzo di mezzi propriamente fraudolenti, idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente deviato (v. recentemente Cass. civ., sez. II, 4.2.2014, n. 2448). Nel testamento, ancor più che in un normale contratto, per valutare se esiste il dolo si deve tenere conto delle condizioni di età e dello stato di salute psicofisica del testatore (v. ex multis Cass. civ., sez. II, n. 8047/01; Cass. civ., sez. II, n. 7689/99).
Si tratta di una prova il cui onere di dimostrazione incombe su colui che afferma l'esistenza del dolo, ed è una prova molto difficile da fornire. Essendo pressoché impossibile darne conto in modo diretto, la giurisprudenza ha ritenuto che la stessa possa desumersi anche da comportamenti e da accadimenti altrimenti incomprensibili, come ad esempio l'improvvisa ed immotivata diffidenza del testatore nei confronti dei parenti più stretti e la redazione, negli ultimissimi momenti della vita, di un testamento che favorisca altri soggetti (Cass. civ., sez. II, n. 4939/81: "Poiché la prova di una attività captatoria della volontà del testatore non può aversi normalmente in via diretta, la stessa può desumersi da comportamenti, atti, successione di eventi altrimenti non comprensibili e del testatore e di coloro che dalla frode stessa vengano a trarre beneficio"). In ogni caso la prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (cfr. Cass. civ, 28.5.2008, n. 14011).

Recentemente la Cassazione sembra seguire un orientamento ove lo stato precario di salute di corpo e di mente del testatore rappresenta il prerequisito della captazione testamentaria, potendosi quest’ultima riscontrare solo e soltanto qualora il testatore possa subire in concreto - per evidente debolezza - un condizionamento esterno (cit. sentenza n. 2448/2014).

Nel caso di specie ci si deve interrogare con attenzione su cosa avrebbe potuto vertere l'inganno, atteso che la signora ben sapeva quanto aveva vissuto presso il cognato dopo la morte del marito.

Se una coartazione della volontà fosse davvero avvenuta, in assenza di inganno ma in presenza di mero costringimento morale, si ricadrebbe nella diversa ipotesi della violenza (la cui prova risulta molto ardua).

Vista la difficoltà di intraprendere un giudizio di annullamento per dolo o violenza, è consigliabile valutare se non sia più semplice dimostrare che la signora, al momento della redazione del testamento, fosse incapace di intendere o volere.

Infine, per completezza del parere, si ricorda che il testamento olografo può essere redatto anche in forma di lettera, purché rispetti tutti i requisiti formali di legge (art. 602 del c.c.): si valuti se la lettera del 2013 possa qualificarsi eventualmente come disposizione testamentaria a favore dei figli, che potrebbe aver revocato implicitamente il testamento precedente.