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Articolo 549 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Divieto di pesi o condizioni sulla quota dei legittimari

Dispositivo dell'art. 549 Codice Civile

Il testatore non può imporre pesi [551, 647 c.c.] o condizioni [633, 634 c.c.] sulla quota spettante ai legittimari(1), salva l'applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro(2) [713 ss. c.c.].

Note

(1) Per pesi ed oneri si intendono tutte le disposizioni che incidano negativamente sulla quota dei legittimari o che modifichino o incidano sulla posizione giuridica dei legittimari rispetto alla medesima (es. l'obbligo di assistere una determinata persona).
Tali disposizioni sono nulle e, di conseguenza, vanno tenute distinte da quelle lesive della quota di legittima che sono, invece, soggetta a riduzione (v. art. 553 ss. del c.c.).
Le disposizioni di cui agli articoli 550 e 551 del c.c. costituiscono delle eccezioni al predetto divieto.
(2) Il testatore può imporre ai legittimari alcune limitazioni in tema di divisione quali: escludere la divisione prima che siano decorsi cinque anni dall'apertura della successione (v. art. 713 del c.c.), disciplinare la formazione delle quote, designare colui che procederà alla stima (v. art. 733 del c.c.), procedere alla divisione anche per la quota dei legittimari (v. art. 734 del c.c.), etc...

Ratio Legis

Tale divieto impedisce al testatore di ledere la quota a cui hanno diritto i legittimari attraverso l'imposizione di pesi o condizioni. E' il cd. principio di intangibilità della quota di legittima che nel nostro ordinamento riceve tutela solo dal punto di vista quantitativo e non qualitativo. Il testatore cioè può soddisfare le ragioni dei legittimari con beni di qualsiasi natura purché compresi nell'asse ereditario e non è obbligato a disporre in loro favore una quota formata da una parte di ogni cespite ereditario.

Spiegazione dell'art. 549 Codice Civile

Il divieto di imposizione di pesi e, più genericamente, di limitazioni è ordinato alla preservazione quantitativa della legittima. Il de cuius non può limitare in nessun modo la legittima: in particolare, è esclusa l’imposizione di un peso, perché il peso adempiuto diminuirebbe il valore dell’attribuzione patrimoniale, mentre se inadempiuto renderebbe la stessa risolubile.
In riferimento alla disposizione testamentaria, illecita è non la modalità, ma la stessa apposizione della medesima.

La riserva, formulata nell’inciso finale, alle norme contenute nel titolo quarto (della divisione) si riferisce, tra le altre, a quelle relative all’assegno divisionale (art. 733 c.c.) e della divisione del testatore (art. 734 c.c.).
La figura dell’assegno divisionale consente al testatore di dettare norme per la formazione delle porzioni, le quali non hanno efficacia reale, ma meramente obbligatoria per gli eredi, vincolando gli stessi per la futura divisione.
La divisione del testatore ha invece efficacia reale e perciò, a differenza dall’assegno divisionale, evita la formazione della comunione ereditaria. Questa divisione, che, come è detto espressamente nell’art. 734, può riguardare anche la legittima, deve comprendere, sotto pena di nullità, tutti i legittimari e gli eredi istituiti. Secondo il codice precedente, la difficoltà di conciliare la qualità di eredi dei discendenti apporzionati con l’assegnazione di beni determinati doveva superarsi ritenendo che la qualità di eredi dei discendenti dipendesse esclusivamente dalla legge. La stessa spiegazione si deve ancora dare della qualità di eredi dei legittimari apporzionati. Quanto agli apporzionati non legittimari, lo stesso art. 735, sancendo la nullità della divisione in cui non siano compresi gli eredi istituiti, autorizza a ritenere che l’istituzione di erede non dipenda dall’apporzionamento, ma sia il prius logico dello stesso. In tal modo si ammette, è vero, che, quando vi sia divisione del testatore, sussista un’istituzione di erede svincolata dall’attribuzione di una quota; ma l’evidente eccezionalità dell’istituto, richiamato dalla disposizione che stiamo esaminando, in deroga al principio stabilito nella prima parte della stessa, conferma che per regola non compete al de cuius la facoltà di comporre la quota legittima con beni determinati.
La divisione può essere impugnata, se vi è lesione della quota di riserva: la lesione può tuttavia essere eliminata dagli altri eredi mediante l'offerta di supplemento.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 549 Codice Civile

Cass. civ. n. 10936/2020

In tema di competenza territoriale, la controversia relativa alla validità di un contratto di comodato, concluso in vita dal "de cuius" con uno dei suoi eredi e concernente un immobile rientrante nell'asse ereditario, appartiene, ai sensi dell'art. 21 c.p.c., alla competenza del giudice del luogo dove è posto l'immobile e non di quello di apertura della successione ex art. 22 c.p.c., restando irrilevante che a fondamento dell'impugnativa del comodato sia posta la violazione degli artt. 458 e 549 c.c., atteso che queste ultime disposizioni non sono funzionali a risolvere dispute fra coeredi, ma esclusivamente ad individuare delle ipotesi di nullità, mentre l'art. 22 citato disciplina la competenza nelle cause successorie, che sono configurabili solo allorché la lite sorga tra successori veri o presunti a titolo universale o particolare e abbia come oggetto principale l'accertamento di beni o diritti caduti in successione o che si ritenga debbano costituirne parte.

Cass. civ. n. 1403/1970

La disposizione contenuta nell'art. 500 c.c. (recte: 549 – N.d.R.) va interpretata nel senso che la quota di legittima non è suscettibile di oneri o condizioni che ne diminuiscano il valore, cioè la sua entità, e nel senso che al detto limite quantitativo si aggiunga un limite qualitativo.

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M. M. chiede
giovedì 01/09/2022 - Lombardia
“3 figli orfani, padre muore 9 anni fa ( successione ai figli e alla moglie senza testamento), la madre due mesi fa. Lascia un testamento a: sua figlia Andrea quote di una casa e un terreno agricolo, a suo figlio Gaetano ( a cui era andata una casa con un atto in vita 3 anni fa delle quote della madre e quelle in successione delle sorelle) una parte di un terreno agricolo, a suo nipote Enrico ( figlio di Gaetano) le quote della casa in cui abitava lei ( la parte più cospicua nelle quote e dove tutti i figli hanno delle quote in successione dopo la morte del padre), ALLA FIGLIA MONICA un appartamento ( di proprietà esclusiva della madre morta donato dai suoi genitori) IN CAMBIO DELLE QUOTE DEL PADRE,
alla nipote Sofia ( figlia di Gaetano) i soldi in banca e la frase riporta come segue: “ a Sofia do i soldi che sono in Banca e Beatrice”. Beatrice è sua nipote, figlia di Andrea che ha 3 mesi, nasce il 29 aprile 2022 e il testamento riporta la data 27 gennaio 2021. Quindi la bambina non esisteva, non era nemmeno stata concepita. Ed è palese che il nome sia stato aggiunto dopo. Le righe del testamento sono tutte alternate, la frase dei soldi in banca aggiunta all’ultimo tra le righe finali.
IO SONO LA FIGLIA MONICA che dovrebbe fare un baratto con la madre dopo la sua morte.
Dal testamento più che una lesione delle legittima, credo ci sia una esclusione dal testamento. Giusto? Non si tratta di accettare una eredità, qui il defunto chiede un baratto di proprietà. È corretto? Cosa si fa in questo caso?”
Consulenza legale i 08/09/2022
Il contenuto del testamento della de cuius, per come viene sintetizzato nel quesito, richiede essenzialmente di dover affrontare e risolvere due questioni:
1. la prima attiene alla disposizione in favore della figlia Monica, alla quale viene lasciato un appartamento (di proprietà esclusiva della de cuius) “in cambio delle quote del padre” (si presume che ci si intenda riferire alle quote ereditarie pervenute alla medesima figlia Monica a seguito della morte del padre, avvenuta nove anni fa);
2. la seconda questione riguarda la validità di una disposizione come quella dettata dalla testatrice in favore della nipote Beatrice, figlia di Andrea, non ancora nata e neppure concepita all’epoca della redazione del testamento.

Altra aspetto, che verrà separatamente e conclusivamente preso in considerazione, è quello della validità del testamento nel suo complesso.

Passando ad analizzare la prima problematica, va detto che due sono le forme di tutela predisposte dal nostro ordinamento a salvaguardia del principio della intangibilità della quota di legittima, quale risultante dal comma 3 dell’art. 457 del c.c..
Una prima forma di tutela, che può definirsi di carattere generale, è quella desumibile dagli artt. 554 e 555 c.c., norme che prevedono un’azione di impugnativa di tutte quelle disposizioni attributive di beni ad altri nella misura in cui eccedono la porzione disponibile.

Una tutela particolare, invece, è quella prevista dall’art. 549 c.c., la quale si presenta come più efficace ed immediata rispetto all’azione di riduzione, in quanto il legittimario non dovrà agire in riduzione, poiché il peso impostogli, gravante sulla legittima, dovrà considerarsi come non apposto o nullo.
L’ambito di applicazione di questa norma è molto ampio, in quanto si ritiene che debba farsi riferimento non solo all’onere o alla condizione in senso tecnico, ma a qualunque tipo di disposizione che in qualche modo diminuisca i diritti riservati ai legittimari o comunque valga a modificare la loro posizione giuridica rispetto ai beni appartenenti alla riserva ovvero, ancora, li sottoponga a vincoli.
Come si è già accennato, la sanzione che deve farsi discendere dall’apposizione del termine o della condizione è quella della nullità degli stessi; isolata è l’opinione sostenuta da qualche autore secondo cui, essendo la nullità ex art. 549 c.c. non rilevabile d’ufficio, non si tratterebbe di vera e propria nullità, bensì di una forma di inefficacia relativa, la quale opera ipso iure, ma non può essere rilevata se non in seguito ad apposita eccezione proposta dal legittimario.

Tralasciando quest’ultimo orientamento, può dirsi che la clausola testamentaria con la quale la de cuius ha disposto in favore della figlia Monica debba farsi ricadere a tutti gli effetti nell’ambito applicativo del citato art. 549 c.c., con la conseguenza che deve ritenersi nulla e, dunque, come non apposta, la condizione in forza della quale viene posto in capo alla medesima legittimaria l’obbligo di trasferire alla nipote Sofia le quote del patrimonio paterno alla medesima pervenute per successione del defunto padre.
Sotto un profilo ancora più pratico, ciò significa che, nel momento in cui si procederà alla pubblicazione del testamento della defunta madre, Monica diventerà erede dell’appartamento indicato in quel testamento, senza che sulla stessa possa farsi gravare alcun obbligo di trasferire beni già di sua proprietà alla nipote Sofia.
Del resto, una tale soluzione risulta anche rispettosa e si pone in linea con quel principio di carattere generale che caratterizza il sistema successorio italiano, ovvero quello secondo cui non è consentito al testatore dividere beni estranei alla comunione ereditaria.
Volendo poi dare un inquadramento giuridico alla clausola testamentaria in esame, la stessa può farsi rientrare nel disposto di cui all’art. 651 c.c., rubricato appunto “Legato di cosa dell’onerato o di un terzo”.
Quello voluto in favore di Sofia, infatti, non è altro che un legato avente ad oggetto diritti di cui è titolare iure proprio Monica (onerato), a cui la stessa Monica non dovrà comunque adempiere, secondo le modalità che il legislatore ha previsto in detto art. 651 c.c. (ossia trasferendo i diritti alla legataria o scegliendo di pagarne il giusto prezzo), proprio perché ricadente nel divieto di cui all’art. 549 c.c.

La seconda questione da prendere in esame è quella relativa alla validità o meno della clausola testamentaria con la quale la de cuius ha inteso lasciare alla nipote Sofia, unitamente all’altra nipote Beatrice, nascituro non concepito, tutte le somme di denaro che, al momento della sua morte, avrebbero costituito il saldo attivo dei conti bancari a lei intestati.
In realtà una disposizione di questo tipo deve ritenersi pienamente valida ed efficace, in quanto, mentre nel caso di successione legittima è essenziale che gli eredi siano almeno concepiti al momento della morte del parente da cui ereditano, la stessa regola non vale per il caso di successione testamentaria.
Quanto appena detto trova esplicita conferma all’art. 462 c.c., il quale, mentre al primo comma attribuisce la capacità di succedere soltanto a tutti coloro che sono nati o almeno concepiti al tempo dell’apertura della successione (devono essere nati entro trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta), all’ultimo comma vengono riconosciuti come capaci di ricevere per testamentoi figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti”.

Un discorso a parte merita la presunta alterazione della scheda testamentaria, nella parte in cui si trova inserito proprio il nome della nipote Beatrice.
L’idea che ci si può fare leggendo quanto viene scritto nel quesito è che, con molta probabilità, sia stata in realtà la stessa de cuius ad inserire il nome della nipote Beatrice in un momento successivo all’apposizione della data nella scheda testamentaria, avendo magari appreso solo dopo di quella futura nascita.
Ciò del resto si pone perfettamente in linea con il carattere essenziale del testamento, ovvero quello della sua modificabilità e revocabilità in ogni momento prima della morte del testatore.
Di contro, è ben possibile che l’inserimento del nome della nipote Beatrice sia stato opera di un terzo.
Qualora si riuscisse ad essere in possesso di elementi sufficienti per dare prova di ciò, non solo il testamento potrebbe essere dichiarato parzialmente nullo (la nullità colpirebbe la sola disposizione in favore di Beatrice, mentre per il resto conserverebbe la sua validità in conformità al generale principio di conservazione dei negozi giuridici), ma colui o colei che ha alterato il testamento rischierebbe di essere escluso dalla successione come indegno ai sensi del n. 5 dell’art. 463 del c.c..