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Articolo 486 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Poteri

Dispositivo dell'art. 486 Codice Civile

Durante i termini stabiliti dall'articolo precedente per fare l'inventario e per deliberare, il chiamato(1), oltre che esercitare i poteri indicati nell'articolo 460(2), può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità(3).

Se non compare, l'autorità giudiziaria nomina un curatore all'eredità affinché la rappresenti in giudizio [529 c.c.; 78 ss., 780 c.p.c.].

Note

(1) La norma si applica al solo chiamato che è nel possesso dei beni ereditari, stante il richiamo all'articolo precedente.
(2) Si tratta dei poteri di conservazione, di vigilanza e di amministrazione temporanea dei beni ereditari e di tutela possessoria degli stessi.
(3) Di norma, il chiamato che rappresenta in giudizio l'eredità acquista l'eredità ai sensi dell'art. 476 del c.c.. Qui si prevede un'eccezione alla regola generale.

Ratio Legis

Si vuole garantire che, pendenti i termini di cui all'art. 485 del c.c, il chiamato possa compiere determinati atti a tutela dell'eredità, senza che tale comportamento assuma il significato di accettazione tacita della stessa.

Spiegazione dell'art. 486 Codice Civile

La norma tutela la conservazione del patrimonio ereditario prevedendo, in pendenza del termine di tre mesi di cui all'art. 485 del codice civile:
- il perdurare in capo al chiamato possessore dei beni ereditari della sua qualità e della sua conseguente legittimazione all'esercizio dei poteri di amministrazione e vigilanza di cui all'art. 460 del codice civile;
- la sua legittimazione a stare in giudizio quale convenuto in rappresentanza dell'eredità senza che ciò determini l'accettazione tacita dell'eredità stessa in deroga al generale principio sancito dall'art. 476 del codice civile.

Secondo la dottrina prevalente la norma si applicherebbe esclusivamente al chiamato possessore dei beni ereditari stante l'esplicito richiamo all'art. 485 del codice civile. È stato inoltre rilevato come nel caso di chiamati non nel possesso di beni ereditari sia possibile nominare un curatore dell'eredità giacente ai sensi dell'art. 528 del codice civile cui compete la rappresentanza in giudizio dell'eredità ai sensi dell'art. 529 del codice civile.

Il curatore cui si riferisce il secondo comma della norma in esame si distingue dalla figura del curatore dell'eredità giacente per il limitato ambito di competenza allo stesso riservato, circoscritto alla sola rappresentanza in giudizio.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 486 Codice Civile

Cass. civ. n. 12987/2020

Nell'ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio i chiamati all'eredità, pur non assumendo, per il solo fatto di aver ricevuto e accettato la notifica come eredi, la suddetta qualità, hanno l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale condizione soggettiva, chiarendo la propria posizione, e il conseguente difetto di legittimazione, in quanto, dopo la morte della parte, la legittimazione passiva, che non si trasmette per mera delazione, deve essere individuata dall'istante allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta, o conoscibile con l'ordinaria diligenza, alcuna circostanza idonea a dimostrare la mancanza del titolo.

Cass. civ. n. 22870/2015

Nell'ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa "legitimatio ad causam" si trasmette all'erede, ma il ricorso per riassunzione notificato individualmente nei confronti dei chiamati all'eredità ex art. 486 c.c. è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c.; ne consegue che i chiamati all'eredità, pur non assumendo la qualità di eredi per il solo fatto di aver accettato la predetta notifica, hanno l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale qualità, così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la riassunzione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sufficiente all'instaurazione del rapporto processuale la notifica di un atto di riassunzione nei confronti di coloro i quali si trovavano nello stato di fatto legittimante la successione, in virtù dei rispettivi rapporti di coniugio e di filiazione con la parte defunta, in assenza di circostanze ostative evincibili dagli atti e non essendo stata trascritta, prima della notifica della riassunzione, la rinunzia all'eredità dedotta dal coniuge).

Cass. civ. n. 7464/2013

In ipotesi di interruzione del processo per morte di una parte, l'altra parte può operare la riassunzione, entro un anno dalla morte stessa, con notifica fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi del defunto, nell'ultimo domicilio di questo, ai sensi dell'art. 303, secondo comma, cod. proc. civ., comprendendosi in tale ambito il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato, la cui legittimazione deriva sia dalla norma di carattere generale sui poteri del chiamato all'eredità prima dell'accettazione, di cui all'art 460 cod. civ., sia, ove si tratti di eredità devoluta a minori, dall'art 486 cod. civ., secondo il quale il chiamato può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità durante i termini per fare l'inventario e per deliberare.

Cass. civ. n. 18534/2007

In tema di debiti ereditari, il soggetto chiamato all'eredità e che non l'abbia accettata, se si trova nel possesso di beni ereditari (art. 486 c.c.), può stare in giudizio per rappresentare l'eredità, ma, siccome non è ancora succeduto all'ereditando, non è soggetto passivo delle obbligazioni già pertinenti al suo dante causa e dunque contro di lui non può essere rivolta una domanda di condanna al pagamento di un debito ereditario. Quando, però, detta domanda sia stata proposta nei suoi confronti, egli ha l'onere di resistere sostenendo l'insussistenza della sua qualità di erede, al fine di conseguire il risultato di non essere condannato al pagamento del debito, in quanto, una volta che attraverso il giudicato sia stato accertato un diritto di una parte nei confronti di un'altra, tutte le questioni che avrebbero potuto essere fatte valere nel giudizio e che, se lo fossero state, avrebbero potuto condurre a negare quel diritto, non possono esserlo più e non possono, perciò, costituire oggetto di opposizione all'esecuzione, anche ai fini dell'allegazione della sopravvenuta rinuncia all'eredità (fattispecie in cui il chiamato all'eredità, nei cui confronti era stato emesso decreto ingiuntivo per il pagamento di quota di un debito ereditario, non aveva proposto opposizione e solo dopo la scadenza del termine dell'opposizione stessa, aveva rinunziato all'eredità proponendo opposizione a precetto).

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