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Articolo 267 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Trasmissibilitą dell'azione

Dispositivo dell'art. 267 Codice Civile

Nei casi indicati dagli articoli 265 e 266, se l'autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l'azione, ma prima che sia scaduto il termine, l'azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti o dagli eredi [246](1).

Nel caso indicato dal primo comma dell'articolo 263, se l'autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l'azione, ma prima che sia decorso il termine previsto dal terzo comma dello stesso articolo, sono ammessi ad esercitarla in sua vece i discendenti o gli ascendenti, entro un anno decorrente dalla morte dell'autore del riconoscimento o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

Se il figlio riconosciuto è morto senza aver promosso l'azione di cui all'articolo 263, sono ammessi ad esercitarla in sua vece il coniuge o i discendenti nel termine di un anno che decorre dalla morte del figlio riconosciuto o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

La morte dell'autore del riconoscimento o del figlio riconosciuto non impedisce l'esercizio dell'azione da parte di coloro che ne hanno interesse, nel termine di cui al quarto comma dell'articolo 263.

Si applicano il sesto comma dell'articolo 244 e l'articolo 245(2).

Note

(1) In dottrina vi sono state fiorenti critiche nell'estensione agli eredi della legittimazione all'impugnazione del riconoscimento anche agli eredi, i quali sono titolari esclusivamente di interessi patrimoniali.
(2) Ultimi quattro commi aggiunti con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Ratio Legis

La ratio è quella della genuinità del formarsi della volontà alla base dei rapporti di filiazione, che ha come fine ultimo l'esigenza di accertamento della verità.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

145 L'art. 265 del c.c. del precedente testo ammetteva la trasmissibilità dell'azione per l'impugnazione del riconoscimento per violenza o per incapacità derivante da interdizione giudiziale soltanto in favore degli eredi. In considerazione degli apprezzabili interessi morali che possono giustificare l'esperimento di quest'azione, il nuovo testo (art. 267 del c.c.) ammette la trasmissibilità, oltre che agli eredi, anche ai discendenti e agli ascendenti di chi ha fatto il riconoscimento impugnabile.

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Consulenze legali
relative all'articolo 267 Codice Civile

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Anonimo chiede
lunedģ 15/01/2024
“Ho due figli maggiorenni. Il primo nato in costanza di matrimonio, la seconda dodici anni dopo, da da me riconosciuta, da altra donna. Dietro imput della ex figlia, abbiamo fatto test DNA - Indagine genetica in tema di paternità - presso la Sezione di medicina legale di azienda ospedaliera che esclude che io ne sia il padre biologico. Avendo lo scrivente 80 anni ed essendo affetto da un tumore, vorrei conoscere il vostro parere sulla possibilità che mio figlio possa legalmente escludere la ex sorella dalla successione, conseguente a mio decesso, in forza della menzionata indagine genetica o, richiedendone altra di fratellanza. Grazie”
Consulenza legale i 21/01/2024
La questione che con il caso in esame si prospetta è quella relativa al difetto di veridicità di un atto di riconoscimento di figlio ed, in particolare, agli effetti che da ciò ne possono conseguire sotto il profilo successorio.
L’analisi di tale fattispecie rende innanzitutto necessario definire per grandi linee quelle che sono le azioni che il nostro ordinamento giuridico mette a disposizione degli interessati, onde poi poter stabilire di quali di queste azioni ci si può in concreto qui avvalere.

La prima azione da prendere in esame è la c.d. azione di disconoscimento di paternità, disciplinata dall’art. 243 bis del c.c., esperibile, come recita espressamente la norma, dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo.
La finalità che con tale azione ci si prefigge di raggiungere è quella di vincere la presunzione legale di paternità, essendo volta ad accertare che il presunto figlio, nato in costanza di matrimonio, sia stato in effetti concepito da persona diversa dal marito della madre.
Ebbene, tralasciando il problema di un eventuale rispetto dei termini che lo stesso codice (art. 244 del c.c.) prevede per l’esercizio di essa e seppure il successivo art. 246 del c.c. ne preveda la trasmissibilità nella specifica ipotesi in cui il presunto padre o la madre siano morti senza averla promossa, da una attenta lettura del sopra citato art. 243 bis c.c. ci si può rendere conto che nel caso di specie difetta un presupposto oggettivo essenziale per il suo esercizio, in quanto di essa ci si può avvalere solo in caso di “figlio nato in costanza di matrimonio” (in questo caso, invece, la figlia è nata al di fuori del matrimonio).

Altra azione prevista dal nostro ordinamento, e precisamente all’art. 248 del c.c., è l’azione di contestazione dello stato di figlio, anch’ essa tuttavia non promuovibile in quanto volta a rimuovere lo stato di figlio di chi risulta dall’atto di nascita come figlio di determinati genitori che non siano i veri genitori.
Nel caso in esame, invece, ciò che si vuole mettere in discussione è il riconoscimento già effettuato, risultando non veritiero e volendosi per questo sostanzialmente rimuovere lo stato di figlia risultante dall’atto di nascita.
Ebbene, per tale specifica ipotesi il legislatore ha previsto al successivo art. 263 c.c. la c.d. “impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità”.

Dalla lettura di tale norma ne discende, intanto, che soggetti legittimati al suo esercizio sono:
  • il figlio;
  • l’autore del riconoscimento;
  • chiunque vi abbia interesse (tra questi può farsi rientrare nel caso in esame proprio il fratello).

Per quanto concerne, invece, i termini di prescrizione, mentre per l’autore del riconoscimento il termine per il suo esercizio è fissato in un anno decorrente dal giorno dell’annotazione del riconoscimento stesso sull’atto di nascita, per tutti gli altri legittimati (in questo caso il fratello) il termine di prescrizione viene determinato in cinque anni decorrenti sempre dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita (così l’ultimo comma del citato art. 263 c.c.).
Ciò comporta che se tale termine è decorso (come appare probabile), il fratello non potrà più avvalersi di detta azione.

Il successivo art. 267 c.c. prevede poi la trasmissibilità di questa azione al ricorrere delle seguenti condizioni:
  1. se l’autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l’azione, ma prima che ne sia scaduto il termine (in questo caso l’azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti e dagli eredi);
  2. se il figlio riconosciuto è morto senza aver promosso l’azione (in questo caso legittimati in sua vece saranno il coniuge o i suoi discendenti nel termine di un anno decorrente dalla morte del figlio riconosciuto).

Il quarto comma del citato art. 267 c.c. precisa ancora che la morte dell’autore del riconoscimento o del figlio riconosciuto non impedisce che l’azione possa essere esercitata da parte di coloro che ne abbiano interesse (nel caso in esame è ovvio che il fratello va incluso tra gli interessati), purchè si rispetti il termine di cui al quarto comma dell’art. 263 c.c. (ovvero cinque anni dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita).

Da quanto fin qui detto, pertanto, se ne deve far conseguire che se risultano superati i termini fissati dal legislatore nelle norme citate (ed in particolare il termine di cinque anni di cui al quarto comma dell’art. 267 c.c.), il figlio non potrà purtroppo più avvalersi di alcuna azione per privare di effetti il riconoscimento della sorella effettuato in vita dal padre.