AUTORE:
Monica De Rosa
ANNO ACCADEMICO: 2023
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Salerno
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
L’idea che la giustizia italiana soffra di una grave crisi di funzionalità è una sorta di litania: sono numerose le relazioni inaugurali degli anni giudiziari, gli studi scientifici e gli atti sovranazionali in cui tale problematica viene costantemente denunciata.
In particolare, nel periodo che va dal 1959 al 2020 , l’Italia ha collezionato ben 1.202 delle 5.950 condanne complessive pronunciate dai giudici di Strasburgo per lesione del canone di ragionevole durata dei procedimenti - amministrativi, civili e penali - ossia il 20% del totale delle stesse.
In quest'ottica, uno dei più solidi agganci costituzionali dell'efficienza della giustizia penale intesa in un'accezione normativa enucleabile da un'esegesi sistematica delle previsioni sovraordinate che attribuiscono alla giustizia penale una serie eterogenea di scopi (tra cui gli art. 25 comma 2; 27 comma 2; 111 della Costituzione) è quello del canone fondamentale di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost..
Dall'interpretazione coordinata di tali previsioni, si evince che il legislatore è tenuto a individuare un mezzo idoneo tra i vari obiettivi ineludibili della giustizia criminale, efficiente nel senso di idoneo a funzionare nel suo complesso con un adeguato rapporto costi-risultati: scopo del lavoro è proprio quello di mettere il luce come tale operazione sia sicuramente complessa da realizzare in concreto, essendo chiamato il sistema penale a perseguire un novero di fini tra loro dissimili e persino confliggenti, efficienza da un lato, garanzie dall’altro, ricercando il miglior equilibrio possibile tra i medesimi.
Ed è proprio sulla scia di queste considerazioni che si inserisce la "Riforma Cartabia": difatti, con l’obiettivo di elaborare le modifiche al sistema penale necessarie a conseguire i target fissati dal P.N.R.R., ossia, in particolare, la riduzione del 25% della durata dei giudizi penali entro il 2026, mira proprio a quella che è l’efficienza processuale mediante la deflazione dei procedimenti al fine di garantire il rispetto di una ragionevole durata dei processi.
Tuttavia, il concetto di efficienza deve fare i conti con le garanzie degli individui, poiché vi potrebbe essere il rischio, ravvisabile dalla nuova formulazione dell’art. 408 c.p.p. (e correlativamente dall’art. 425 c.p.p.), di ampliare le maglie della archiviazione, a discapito dell’esercizio dell’azione penale. Resta certamente fermo il potere di opposizione della persona offesa ed è prevedibile lo sviluppo di frequenti forme di contraddittorio, ma la tendenza sarà presumibilmente questa.
Ma il decongestionamento dei tribunali e il rispetto di tempi ragionevoli di durata del procedimento non devono preludere a vuoti di tutela. L’esercizio della giurisdizione è complesso, ma va salvaguardato. Le istituzioni si rafforzano se sono efficienti, non se si ritraggono dai loro compiti.
In questa sede, l’analisi si è soffermata in particolare su due profili toccati dalla "Riforma Cartabia": l’udienza preliminare e la sua regola di giudizio, intesa come filtro ai dibattimenti che non consentono una ragionevole previsione di condanna e l’incentivazione al ricorso ai riti alternativi, con particolare riferimento al patteggiamento e all’istituto del plea bargaining statunitense, che ne costituisce un presupposto.
Sono ambiti nei quali l’intervento riformatore si calibra in misura differenziata - più netto e incisivo sulla fisionomia stessa dell'udienza preliminare, più di contorno su giudizio e riti alternativi - rispondendo però ad un obiettivo coerente, ovvero quello di correggere le disfunzioni che oltre trent'anni di applicazione pratica del nuovo Codice di procedura penale hanno messo in luce.
In particolare, nel periodo che va dal 1959 al 2020 , l’Italia ha collezionato ben 1.202 delle 5.950 condanne complessive pronunciate dai giudici di Strasburgo per lesione del canone di ragionevole durata dei procedimenti - amministrativi, civili e penali - ossia il 20% del totale delle stesse.
In quest'ottica, uno dei più solidi agganci costituzionali dell'efficienza della giustizia penale intesa in un'accezione normativa enucleabile da un'esegesi sistematica delle previsioni sovraordinate che attribuiscono alla giustizia penale una serie eterogenea di scopi (tra cui gli art. 25 comma 2; 27 comma 2; 111 della Costituzione) è quello del canone fondamentale di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost..
Dall'interpretazione coordinata di tali previsioni, si evince che il legislatore è tenuto a individuare un mezzo idoneo tra i vari obiettivi ineludibili della giustizia criminale, efficiente nel senso di idoneo a funzionare nel suo complesso con un adeguato rapporto costi-risultati: scopo del lavoro è proprio quello di mettere il luce come tale operazione sia sicuramente complessa da realizzare in concreto, essendo chiamato il sistema penale a perseguire un novero di fini tra loro dissimili e persino confliggenti, efficienza da un lato, garanzie dall’altro, ricercando il miglior equilibrio possibile tra i medesimi.
Ed è proprio sulla scia di queste considerazioni che si inserisce la "Riforma Cartabia": difatti, con l’obiettivo di elaborare le modifiche al sistema penale necessarie a conseguire i target fissati dal P.N.R.R., ossia, in particolare, la riduzione del 25% della durata dei giudizi penali entro il 2026, mira proprio a quella che è l’efficienza processuale mediante la deflazione dei procedimenti al fine di garantire il rispetto di una ragionevole durata dei processi.
Tuttavia, il concetto di efficienza deve fare i conti con le garanzie degli individui, poiché vi potrebbe essere il rischio, ravvisabile dalla nuova formulazione dell’art. 408 c.p.p. (e correlativamente dall’art. 425 c.p.p.), di ampliare le maglie della archiviazione, a discapito dell’esercizio dell’azione penale. Resta certamente fermo il potere di opposizione della persona offesa ed è prevedibile lo sviluppo di frequenti forme di contraddittorio, ma la tendenza sarà presumibilmente questa.
Ma il decongestionamento dei tribunali e il rispetto di tempi ragionevoli di durata del procedimento non devono preludere a vuoti di tutela. L’esercizio della giurisdizione è complesso, ma va salvaguardato. Le istituzioni si rafforzano se sono efficienti, non se si ritraggono dai loro compiti.
In questa sede, l’analisi si è soffermata in particolare su due profili toccati dalla "Riforma Cartabia": l’udienza preliminare e la sua regola di giudizio, intesa come filtro ai dibattimenti che non consentono una ragionevole previsione di condanna e l’incentivazione al ricorso ai riti alternativi, con particolare riferimento al patteggiamento e all’istituto del plea bargaining statunitense, che ne costituisce un presupposto.
Sono ambiti nei quali l’intervento riformatore si calibra in misura differenziata - più netto e incisivo sulla fisionomia stessa dell'udienza preliminare, più di contorno su giudizio e riti alternativi - rispondendo però ad un obiettivo coerente, ovvero quello di correggere le disfunzioni che oltre trent'anni di applicazione pratica del nuovo Codice di procedura penale hanno messo in luce.