La responsabilità penale del medico nella storia
Il tema della responsabilità colposa medica negli ultimi decenni ha visto tre diverse fasi.
La prima fase, collocabile sino agli anni Ottanta del secolo scorso, era orientata in senso maggiormente favorevole ai professionisti sanitari: si sosteneva, infatti, che, in ragione della complessità del mestiere, per la configurazione di una responsabilità penale a carico di tali soggetti dovesse rilevare soltanto l'errore grossolano e macroscopico, ossia l'errore inescusabile. Questo ragionamento era fondato sull'applicabilità, anche in sede penale, dell'art.
2236 c.c., il quale prevede che, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera sia civilmente responsabile solo per dolo o colpa grave. Applicando questa regola civilistica anche al caso di responsabilità penale del medico, ne conseguiva la sua punibilità soltanto per colpa grave. Tuttavia, la distinzione tra colpa grave e colpa lieve non è propria del diritto penale, infatti lo stesso art.
43 c.p. non vi fa riferimento; il diverso grado della colpa viene in rilievo solamente nella fase di commisurazione della pena, ma non trova definizione nel codice penale.
Nei decenni successivi, era venuto a formarsi un secondo ed opposto orientamento che negava l'applicabilità dell’art.
2236 c.c. e considerava rilevante, per la determinazione della responsabilità penale colposa, il solo articolo
43 c.p., con la conseguenza che anche la colpa lieve poteva assumere rilevanza penale. L’effetto pratico provocato da questo orientamento fu quello di far aumentare il contenzioso e le conseguenti condanne penali nei confronti dei medici, i quali, per evitare di incorrere in responsabilità, sempre più spesso ricorrevano alla c.d. “medicina difensiva”.
Il fenomeno della medicina difensiva consiste nella pratica con la quale il medico difende sé stesso contro eventuali azioni di responsabilità conseguenti alle cure mediche prestate: il medico, anziché agire per il miglior interesse applicando le cure adeguate, agisce esclusivamente al fine di evitare di andare incontro a responsabilità penale, e quindi nel suo interesse.
Il Decreto Balduzzi e la sua abrogazione
A causa dei motivi anzidetti, si rese necessario un intervento del legislatore, al fine di bilanciare due interessi fondamentali: il diritto alla salute del paziente e la necessità di garantire l’
autonomia del medico nel momento in cui deve prendere determinate scelte.
Il legislatore intervenne nel 2012, con il decreto-legge 158/2012 (c.d. decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189/2012. Si aprì così la terza fase.
L’art. 3, comma 1 del Decreto Balduzzi prevedeva: “L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.”
Ai sensi di questa norma, dunque, il fatto illecito colposo commesso dal medico non poteva considerarsi penalmente rilevante se costui:
- avesse rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica: in questo modo le linee guida entravano a pieno titolo tra i criteri che il giudice doveva utilizzare per sindacare l’attività professionale svolta dal medico;
- non versasse in colpa grave: venivano, così, riportati all’attualità ed introdotti per la prima volta a livello legislativo i concetti di colpa lieve e di colpa grave;
In presenza di questi requisiti, la punibilità del medico era esclusa.
Il peculiare lessico adottato dalla norma aveva suscitato un ampio dibattito dottrinale e pronunce giurisprudenziali variamente orientate nell’interpretazione del testo; ci si chiedeva in quali casi potesse trovare applicazione l’introdotta limitazione di responsabilità.
- Il medico si doveva attenere alle linee guida ed alle buone pratiche “accreditate dalla comunità scientifica”: questa affermazione aveva generato critiche perché non si trattava di un concetto chiaro e determinato, dal momento che le linee guida non sempre sono facilmente individuabili e spesso vi può essere contrasto tra i vari professionisti nello stabilire quali sono le regole giuste da applicare. Inoltre, era sorto il dubbio su quali fossero le comunità scientifiche a cui far riferimento.
Ad un primo sguardo, veniva da chiedersi come potesse versare in colpa, e per di più grave, un sanitario che avesse rispettato le linee guida. La giurisprudenza aveva osservato che le linee guida, di fatto, si risolvono in raccomandazioni di comportamento clinico, istruzioni di massima che non sempre sono in grado di fornire standard legali precostituiti e di assumere la valenza di regole cautelari, secondo il classico modello della colpa specifica. Di conseguenza, può sussistere la responsabilità colposa del medico anche quando, pur essendosi adeguato alle linee guida, non abbia approntato un trattamento adeguato alle peculiarità del caso di specie, che erano invece tali da suggerire di discostarsi dalle predette linee guida.
- Un altro dubbio concerneva il confine tra colpa grave e colpa lieve, dato che lo stesso decreto Balduzzi non specificava quale fosse. Un orientamento giurisprudenziale (Cass. Sent. n. 22405/2015) aveva stabilito che, per distinguere i due gradi di colpa, bisognasse guardare al divario che sussisteva tra gli standards previsti nelle linee guida e l’effettiva attività del medico. La
divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi si sarebbe potuta quantificare avendo come riferimento diversi parametri, quali le specifiche condizioni del soggetto agente ed il suo grado di specializzazione, la possibile previsione dell’evento o le difficoltà tecniche dell’intervento.
Un altro orientamento (Cass. Sent. n. 11804/2014) aveva sostenuto che potesse parlarsi di colpa grave solo qualora la situazione di fatto fosse talmente chiara da suggerire l’abbandono delle prassi accreditate e
non residuasse alcun dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente; nell’operare il discrimine tra colpa lieve e grave occorreva pertanto svolgere un giudizio basato sulle peculiarità del caso concreto.
- Inoltre, dal momento che il decreto Balduzzi non faceva alcun riferimento al tipo di colpa, ci si chiedeva quali forme di colpa (tra negligenza, imprudenza o imperizia) potessero rilevare al fine di escludere la punibilità del professionista: parte della giurisprudenza riteneva di dover limitare l’ambito alle sole condotte colpose connotate da imperizia, mentre l’orientamento maggioritario riteneva questa limitazione ingiustificata perché la norma non conteneva alcuna distinzione espressa e, in ogni caso, non era sempre immediato distinguere tra le varie forme.
A distanza di appena quattro anni, con l’entrata in vigore della legge 24/2017 (c.d.
Legge Gelli-Bianco), la disciplina apprestata dal decreto Balduzzi è stata formalmente superata, in quanto, con il comma 2 dell’art. 6, viene espressamente
abrogato il comma 1 dell’art. 3 del citato decreto-legge.
Omicidio colposo e lesioni personali colpose
L’art. 6, al primo comma, introduce nel codice penale il nuovo art. 590 sexies, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”. In questo contesto, la “responsabilità colposa” è la responsabilità del professionista sanitario la cui condotta configuri i fatti contemplati dagli articoli
589 e
590 del codice penale, ossia l’
omicidio colposo e le
lesioni personali colpose.
Dunque, la norma prende in considerazione quella condotta del medico che arrechi al paziente la morte oppure una malattia, quest'ultima intesa come qualsiasi alterazione, anche localizzata, delle condizioni fisiche o psichiche di una persona. Nel contesto dell’attività sanitaria, la malattia potrebbe essere causata materialmente dal professionista (si pensi ad un’intossicazione cagionata dalla somministrazione di un farmaco sbagliato) oppure consistere nell’aggravamento di una malattia preesistente, che il professionista avrebbe potuto evitare se avesse posto in essere le procedure diagnostiche o terapeutiche corrette. La condotta del professionista può, di conseguenza, essere qualificata o come erronea, oppure come omissiva. Per la configurazione dei delitti considerati è comunque sempre necessario che vi sia un nesso causale tra la condotta del professionista e l’evento cagionato (morte o malattia) e che tale condotta sia caratterizzata da
colpa.
L’art. 43 c.p. descrive le caratteristiche del delitto colposo: si ha colpa quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia (c.d. colpa generica) ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (c.d. colpa specifica).
Introduzione dell’art. 590 sexies c.p.
Il nuovo articolo 590 sexies c.p. dispone che, se i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste, ma prevede anche una causa di esclusione della punibilità per l'esercente la professione sanitaria che sia incorso nella commissione di tali delitti qualora:
a) l'evento si sia verificato a causa di imperizia (rimangono così escluse le ipotesi di negligenza e imprudenza, a prescindere da qualsiasi gradazione della colpa);
b) siano state rispettate le raccomandazioni contenute nelle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge o, in mancanza, le
buone pratiche clinico assistenziali (che assumono, di conseguenza, un valore suppletivo);
c) le linee guida o le buone pratiche risultino
adeguate al caso di specie, in ragione delle peculiarità che lo stesso presenta.
Il fatto che il nuovo art. 590 sexies contempli testualmente solo l’esclusione della punibilità del professionista sta a significare che gli elementi dell’antigiuridicità e della colpevolezza persistono e che, di conseguenza, rimangono intatte le caratteristiche del “danno ingiusto” ex art.
2043 c.c. e sarà quindi ancora possibile ottenere il risarcimento dei danni in sede civile.
Rispetto delle linee guida e delle buone pratiche
Nei casi in cui sia riconosciuta l’imperizia nella condotta del professionista sanitario, la punibilità nei suoi confronti è esclusa quando questi abbia comunque rispettato:
- le raccomandazioni previste dalle linee guida, come definite e pubblicate ai sensi di legge, e sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto: l’art.
5 della legge Gelli individua il procedimento per l’elaborazione e l’approvazione delle linee guida, andando in questo modo a superare le sopraccennate problematiche inerenti all’individuazione delle linee guida da utilizzare. Tuttavia, non tutti i problemi possono dirsi risolti: alcuni hanno osservato che, dal momento che i soggetti abilitati all’approvazione delle linee guida possono essere anche privati, vi è il rischio che questi, nell’elaborazione, siano guidati da interessi diversi rispetto alla tutela del paziente; d’altronde, bisogna considerare che le linee guida, per loro natura, non sono orientate esclusivamente alla tutela della salute, ma possono essere tese anche ad altre finalità, come, ad esempio, la riduzione dei costi.
- in mancanza di linee guida, le buone pratiche clinico-assistenziali: rispetto a quanto previsto dal decreto Balduzzi, dunque, le buone pratiche assumono ora un ruolo “di riserva”, rispetto alle linee guida.
È inoltre importante sottolineare che la nuova norma si applica solo nell’ipotesi in cui, nel caso concreto, vi sia stata applicazione di linee guida; di conseguenza, se non vi sono linee guida oppure il medico se ne discosta, quest'ultimo rimane punibile.
Limitazione dell’esclusione della punibilità ai soli casi di imperizia
Rispetto alla disciplina del decreto Balduzzi, una delle novità introdotte dall'art. 590 sexies c.p. riguarda l'esclusione della punibilità nel solo caso di imperizia, non invece in quelli di negligenza o imprudenza. Dunque, rispetto al decreto Balduzzi, che non precisava che la non punibilità dovesse essere limitata all’imperizia, la portata dell’esonero da responsabilità è ristretta e, di conseguenza, se l’evento è cagionato per negligenza o imprudenza, il medico è penalmente responsabile. Tuttavia, il richiamo all’imperizia operato dalla norma ha suscitato non poche perplessità, stante l’assenza di una univoca definizione del relativo concetto; difatti, nei casi di responsabilità medica vi sono sempre state delle difficoltà nell'individuazione di parametri univoci che consentissero di distinguere le tre forme della colpa generica di negligenza, imprudenza e imperizia, i confini delle quali non sempre sono ben distinti.
Come era già accaduto durante la vigenza del Decreto Balduzzi, anche con la nuova legge ci si chiede come possa una condotta essere caratterizzata da “imperizia” quando il professionista sanitario abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali. Come già accennato, prima della legge Gelli la giurisprudenza aveva affermato che ciò sarebbe stato possibile nel caso in cui fossero state rispettate linee guida non adeguate alla specificità del caso concreto; ora, però, la nuova legge ha previsto espressamente che il professionista sanitario debba
valutare preliminarmente l’adeguatezza delle linee guida al caso concreto, cioè alle peculiarità del singolo paziente e, ove occorra, non applicarle. Di conseguenza, allo stato attuale è piuttosto difficile immaginare una condotta caratterizzata da imperizia qualora il professionista sanitario rispetti le prescrizioni che sono alla base della perizia.
L’unico caso possibile potrebbe essere quello in cui il professionista operi, in mancanza di linee guida definite e pubblicate ai sensi di legge, nel rispetto di una delle buone pratiche clinico-assistenziali, alle quali la legge non fa riferimento quando parla di adeguatezza nel caso concreto.
La giurisprudenza ha anche valutato la possibilità di riferire tale esclusione di punibilità al caso in cui il medico, dopo aver predisposto l’intero intervento nell’osservanza di linee guida adeguate, abbia poi commesso un errore dovuto ad imperizia nell’esecuzione dello stesso. Su questo particolare aspetto vi sono state pronunce contrastanti: un primo orientamento (Cass. sent. Tarabori n. 28187/2017) ha osservato che tale interpretazione comporterebbe un radicale esonero dalla punibilità che rischia di compromettere lo stesso diritto alla salute, tutelato dall’art.
32 Cost. Di conseguenza, anche qualora il professionista individui la raccomandazione pertinente, non può aspettarsi che l’esclusione della punibilità investa anche la fase applicativa della linea guida, fase diversa e successiva, pur se afferente al medesimo intervento. Un diverso orientamento (Sent. Cavazza n. 50078/2017) ha invece individuato proprio nell’errore per imperizia commesso in fase esecutiva il terreno di applicazione della causa oggettiva di non punibilità ex art.
590 sexies c.p.
Scomparsa di ogni riferimento al grado della colpa
Un’altra innovazione della legge Gelli rispetto al precedente decreto Balduzzi è il venir meno ogni riferimento testuale al grado della colpa: non vi è più alcuna distinzione tra colpa lieve e colpa grave, ma una depenalizzazione generalizzata della colpa nei casi di imperizia.
Al riguardo, si potrebbe anche ipotizzare che il rispetto, da parte del professionista, delle raccomandazioni previste dalle linee guida che siano adeguate alle specificità del caso concreto o delle buone pratiche clinico-assistenziali lasci presumere – salvo prova contraria – che questi non versi in colpa grave. Tuttavia, la mancanza di qualsiasi riferimento alla gravità della colpa indica che questo parametro è indifferente per il legislatore, essendo invece decisivo il tipo di colpa.
Profili intertemporali
Per quanto riguarda i fatti avvenuti dopo il decreto Balduzzi, ma prima dell’entrata in vigore della legge Gelli:
- Se l’intervento è eseguito rispettando una linea guida non pertinente rispetto al caso concreto > si applica il decreto Balduzzi perché l’art.
590 sexies c.p. introduce una nuova incriminazione (per il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole: dato che il decreto Balduzzi non parlava di pertinenza, la condotta era sempre scriminata, anche quando vi era stato un errore nell’individuazione della linea guida, mentre ora non lo sarebbe più);
- Se l’intervento è eseguito nel rispetto delle linee guida (pertinenti o meno al caso concreto) e l’evento è realizzato per negligenza o
imprudenza > si applica il decreto Balduzzi in quanto è più favorevole: infatti, non specificando di che tipo di colpa si trattasse, escludeva la punibilità sia per imperizia, che per negligenza o impudenza (viene anche qui applicato il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole);
- Se l’intervento è eseguito rispettando una linea guida pertinente al caso concreto, ma questa è
applicata erroneamente in fase esecutiva con errore dovuto ad
imperizia > si applica il nuovo art.
590 sexies c.p., per il principio di retroattività della norma più favorevole: l’art.
590 sexies ha introdotto una depenalizzazione generalizzata della colpa medica nei casi di intervento eseguito rispettando le linee guida adeguate al caso concreto ove l’evento si sia verificato per imperizia; non vi è più alcuna distinzione tra colpa lieve e colpa grave, che era invece prevista dal decreto Balduzzi (tuttavia, ora anche le SS.UU. hanno operato questa distinzione).