La presente norma è stata riformulata dal c.d. “Pacchetto sicurezza” (L. 125/2008), e prevede l'
espulsione dello straniero, dopo l'espiazione della pena, quando sia stato
condannato alla pena della reclusione per un tempo superiore ai due anni.
La misura di sicurezza in oggetto si distingue sia dall'
espulsione in via amministrativa, applicata dall'
autorità amministrativa, sia dall'
espulsione ad altro titolo, in particolare come
sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.
Difatti, mentre queste ultime sono applicate in maniere pressoché automatica al ricorrere dei presupposti, l'espulsione come misura di sicurezza non può e non deve prescindere dalla
pericolosità sociale del soggetto, la quale va accertata in concreto dal giudice, avendo soprattutto a riguardo, come indici di pericolosità, l'irreperibilità del condannato e la presenza di vari comportamenti sintomatici della volontà di sottrarsi ai controlli delle Forze dell'Ordine.
///SPIEGAZIONE ESTESA
L’art. 235 c.p. prevede l’ipotesi di espulsione o allontanamento dello straniero come misura di sicurezza personale non detentiva.
Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della norma, destinatari di tale ordine di allontanamento dal territorio dello Stato sono gli stranieri, comprendendo tra gli stessi anche gli apolidi (v. art. 1 comma 1 del D. lgs. 286/1998) e anche i cittadini degli altri Stati membri dell’Unione Europea.
Tale ultima possibilità è attualmente prevista espressamente dal comma 1 della disposizione in commento, anche se la giurisprudenza aveva già cominciato ad orientarsi in tal senso da diversi anni, pur nel rispetto dei limiti derivanti dalle libertà di circolazione, stabilimento e soggiorno delle persone previsti nell’ambito di applicazione dei Trattati Europei. Tali diritti dei cittadini membri non sono incondizionati, ma possono appunto essere limitati, seppur solamente per ragioni gravi quali la sicurezza e l’ordine pubblico.
Si ritiene che l’espulsione o l’allontanamento vadano eseguiti in un momento successivo rispetto alla espiazione della pena principale.
Inoltre, si registra in giurisprudenza un contrasto in merito all’applicazione di tale misura di sicurezza in presenza della concessione della sospensione condizionale della pena.
Infatti, ratio di quest’ultimo istituto è quella di favorire il condannato che, sulla base di un giudizio prognostico di natura discrezionale compiuto dal giudice di merito, si sia dimostrato non socialmente pericoloso e anzi incline alla riparazione del danno cagionato. Tale ottica di favor per il reo che si dimostri responsabile e propositivo nel riparare il pregiudizio provocato contrasta inevitabilmente con un misura di sicurezza, come quella dell’espulsione e dell’allontanamento, che persegue la finalità opposta di isolare e distanziare il soggetto, proprio sulla base di un concreto accertamento della sua pericolosità sociale.
Tale ultimo rilievo riveste importanza fondamentale ai fini dell’applicabilità della misura poiché, se pericolosità sociale non vi fosse, sarebbe al massimo applicabile una espulsione in via amministrativa.
Oltre alla misura di sicurezza prevista dall’art. 235, infatti, esistono una serie di altre misure espulsive, contenute nel Testo Unico sull’immigrazione (T.U. 286/1998), che possono essere irrogate al ricorrere di certi determinati presupposti.
Innanzitutto, è possibile, ai sensi dell’art.
13, commi 1 e 2, del
Testo unico sull'immigrazione, applicare allo straniero una espulsione alla stregua di una misura straordinaria di ordine pubblico oppure come misura di prevenzione disposta, nel primo caso, dal
Ministro dell’Interno e, nel secondo caso, dal
Prefetto.
Infine, ai sensi dell’art.
16 del medesimo T.U., è possibile applicare un’espulsione che costituisce una sanzione sostitutiva della detenzione, che può essere disposta dal giudice in una serie di casi elencati dalla norma.
La giurisprudenza della
Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla compatibilità della normativa nazionale di espulsione degli stranieri, con particolare riferimento all'art.
13 e all'
art. 14 del T.U. immigrazione, con la nota sentenza del 28 aprile 2011 legata al caso “
El Dridi”.
In quella circostanza, i giudici di Lussemburgo avevano censurato il sistema nazionale in materia di immigrazione.
Più in particolare, la Corte di Giustizia aveva affermato in tale occasione l’
incompatibilità del reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento emanato dal questore (art.
14 comma 5-ter del T.U. immigrazione) con la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, diretta a stabilire
norme e
procedure comuni per il
rimpatrio degli
stranieri irregolari.
Ebbene, nonostante si riconosca agli Stati la possibilità di scegliere liberamente quali siano le misure più idonee da applicare per il rimpatrio degli stranieri, non escludendo la possibilità di applicare anche delle norme penali, tale ultima soluzione potrebbe contrastare con gli scopi della direttiva allorquando, privando lo straniero della propria libertà personale, non gli consentono il “rimpatrio volontario”.
Nello specifico, i giudici della Corte di Giustizia hanno affermato che la pena detentiva prevista dalla normativa nazionale per il caso di trasgressione all’ordine di allontanamento “rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare”.
La misura della detenzione, infatti, non potrebbe che ostacolare l’applicazione delle misure di rimpatrio volontario o comunque ritardare l’esecuzione delle stesse.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA