La disposizione intende dare attuazione al principio di delega che prevede che, quando è in corso un procedimento penale, deve essere l’
autorità giudiziaria ad aprire le porte allo svolgimento di un programma di giustizia riparativa alle parti che ne abbiano interesse: si è disegnata pertanto un’apposita norma di portata generale, che disciplina tale vaglio, quale che sia il momento nel quale matura la possibilità dell’invio al Centro per la giustizia riparativa.
La sede naturale per collocare la disciplina è parsa dunque il libro secondo e, in particolare, il capo dedicato ai provvedimenti del giudice: se l’articolo
129 prescrive al giudice di attivarsi, anche d’ufficio, in ogni stato e
grado del processo, per il proscioglimento dell’
imputato, il nuovo articolo 129
bis stabilisce che il giudice debba, su richiesta o anche di propria iniziativa, inviare i soggetti interessati – ossia l’imputato o l’indagato e la vittima del reato, ove individuata – al Centro per la giustizia riparativa di riferimento (cioè quello del luogo o altro indicato dal giudice stesso).
Per la verità, in coerenza con quanto stabilito dalla delega, l’invio può essere disposto anche nel corso delle
indagini preliminari: in questa fase, la valutazione viene affidata al
pubblico ministero, che è l’unico a disporre del fascicolo e a poter attivarsi d’ufficio; dopo l’esercizio dell’
azione penale, la competenza funzionale viene invece affidata al giudice procedente, ossia a quello che dispone del fascicolo.
Proprio per evitare qualsiasi dubbio interpretativo con riguardo ai momenti di passaggio, si è introdotta apposita previsione – l’art.
45 ter – nelle disposizioni di attuazione che individua il
giudice competente in ordine all’accesso alla giustizia riparativa. Con riguardo al procedimento, la norma prevede che il giudice, in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo
415 bis – e, durante le indagini, il pubblico ministero – senta necessariamente le parti e i difensori nominati e, solo ove lo ritenga necessario, la vittima del reato definita nella disciplina organica.
La scelta si giustifica con la necessità di non appesantire eccessivamente il procedimento onerando il giudice della ricerca della vittima e della sua audizione.
L’autorità giudiziaria dovrà disporre l’invio – con provvedimento motivato – al Centro per la giustizia riparativa quando reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto, sia per gli interessati, che per l’accertamento dei fatti.
Il primo presupposto è volto a dare attuazione al criterio di utilità contenuto espressamente nella delega, mentre la condizione negativa risponde alla necessità di salvaguardare, per un verso, i soggetti interessati rispetto a pericoli derivanti dalla partecipazione al programma e, per l’altro, la stessa funzione cognitiva del procedimento penale, desumibile da plurime norme costituzionali (artt.
27, comma 2,
111,
112 Cost.).
In quest’ottica, andrà escluso l’accesso alla giustizia riparativa quando la prova non sia stata ancora cristallizzata, ad esempio perché la vittima del
reato è una fonte di prova dichiarativa decisiva, che rischierebbe di essere alterata proprio dal confronto con l’imputato.
Nei soli casi in cui il procedimento abbia ad oggetto un reato perseguibile a querela soggetta a remissione si prevede un meccanismo sospensivo a richiesta dell’imputato. La scelta si spiega con la considerazione che il blocco ex lege del procedimento penale in attesa dell’esito del programma di giustizia riparativa si può giustificare –alla luce del canone costituzionale della ragionevole durata– solo quando il raggiungimento di un esito riparativo si traduce nell’estinzione del reato: in questo caso, il ritardo è ampiamente compensato dalla definizione extragiudiziale del conflitto e dal conseguente risparmio di attività processuale.
Non si prevede invece un’ipotesi sospensiva nei casi in cui la partecipazione a un programma di giustizia riparativa non possa tradursi in una deflazione; resta in questi casi, comunque, salva la possibilità di valorizzare l’istituto – già impiegato nella prassi – del rinvio su richiesta dell’imputato, per consentire di concludere il programma e quindi di permettere al giudice di tenerne conto in sede di definizione del trattamento sanzionatorio.
La sospensione del procedimento ex articolo 129
bis comma 4 c.p.p. deve essere comunque richiesta dall’imputato – anche perché determina la sospensione del decorso del termine di prescrizione – e potrà essere disposta quando il giudice accerti che vi sono effettivamente le condizioni per uno svolgimento proficuo del programma di giustizia riparativa. Viene peraltro fissato un termine massimo di sospensione pari a centottanta giorni. All’esito del programma, l’autorità giudiziaria deve acquisire la relazione redatta dal mediatore di cui dovrà tener conto in ambito processuale, nei limiti di utilizzabilità stabiliti nella disciplina organica.