Con questa norma il legislatore ha voluto che sia il modo che il risultato del procedimento di assunzione dei mezzi di prova vengano raccolti in un
verbale, ossia in un documento scritto che possa essere inserito nel fascicolo di causa.
Il suo fondamento si rinviene da un lato nel fatto che, potendosi svolgere il merito della causa in un duplice grado di giudizio, si vuole così evitare che i giudici di appello possano trovarsi costretti a rinnovare le indagini e, dall'altro lato, nel fatto che con la redazione del processo verbale si realizza una sorta di c.d. prova della prova (le risultanze della prova, infatti, vengono consacrate in un atto ufficiale).
Certamente il verbale non sarà mai una trascrizione integrale delle dichiarazioni rese dalle parti e dai testimoni nel corso dell'assunzione, piuttosto una versione sintetica delle stesse.
Nella selezione di ciò che va messo a verbale assume un ruolo decisivo la scelta del giudice; infatti, in virtù dei poteri di direzione del procedimento che gli vengono attribuiti, al giudice è riconosciuta la facoltà di non procedere alla verbalizzazione di quelle dichiarazioni e circostanze che ritenga irrilevanti o trascurabili ai fini probatori.
Gli accadimenti e le dichiarazioni che non risultano dal processo verbale si considerano come mai assunti, in quanto la loro mancata verbalizzazione equivale alla loro inesistenza.
In assenza di una espressa previsione di legge, si ritiene che la
nullità del verbale, qualora sia tale da rendere l’atto inidoneo a raggiungere il suo scopo, possa essere pronunciata ai sensi del secondo comma dell’
art. 156 del c.p.c..
Si ritengono anche applicabili l’
art. 159 del c.p.c. (che riguarda l'estensione della nullità), e l’
art. 162 del c.p.c., il quale ultimo consente che, una volta chiuso il verbale, le sue eventuali irregolarità non possono essere sanate se non con la
rinnovazione dello stesso.
Sotto il profilo della sua natura giuridica, va detto che si tratta di un
atto pubblico dotato di una particolare efficacia probatoria (fa piena prova fino a
querela di falso tendente all'accertamento di una falsità obiettiva), mentre costituiscono requisiti dello stesso:
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che rispetti la forma scritta e che sia redatto in lingua italiana;
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che le dichiarazioni delle parti e dei testimoni siano riportate in prima persona, in quanto ciò ne consente di garantire la massima fedeltà.
A seguito delle modifiche introdotte dall'art. 45, 1° co., lett. c, D.L. 24.6.2014, n. 90 (legge di conversione n. 114 del 2014), è stata abrogata la parte della norma in cui si richiedeva la sottoscrizione del verbale di udienza da parte dei terzi (parti e testimoni), mentre adesso si prevede che lo stesso venga firmato digitalmente dal cancelliere.
Lo stesso cancelliere, invece, prima di chiudere il verbale ed in caso di altri presenti all'udienza, dà lettura del processo verbale.
Proprio il 2° co. della norma stabilisce che il processo verbale relativo all'assunzione deve sempre essere letto al dichiarante, costituendo ciò una deroga a quanto previsto all’
art. 130 del c.p.c., in cui si dice che, salvo che ne venga fatta espressa richiesta, non vi è alcun obbligo di dare lettura del verbale prima di procedere alla sua sottoscrizione.
Le parti e i testimoni possono chiedere che al verbale vengano apportate modifiche o rettifiche, ciò di cui si dovrà fare menzione nello stesso, soprattutto se il giudice non ritenga fondato tale contegno.
Infatti, in forza di quanto previsto al terzo comma della norma, anche il comportamento tenuto dalle parti in sede di assunzione della prova può essere descritto dal giudice nel processo verbale, potendo tale contegno costituire, ai sensi del secondo comma dell’
art. 116 del c.p.c., argomento di prova utile per valutare l'attendibilità delle dichiarazioni rese o anche per integrare le risultanze probatorie.