Cass. civ. n. 16731/2009
I provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione sono normalmente assunti, ai sensi dell'art. 487, primo comma, cod. proc. civ., con ordinanza, sono modificabili o revocabili finché non abbiano avuto esecuzione, costituendo anch'essi espressione del potere di direzione del processo e, in quanto diversamente regolanti quanto già disciplinato dal provvedimento precedentemente adottato, sono soggetti a riesame mediante opposizione agli atti esecutivi. (Principio enunciato in relazione alla revoca di un'ordinanza di assegnazione di beni mobili). (Rigetta, Trib. Aosta, 29/07/2005).
Cass. civ. n. 24479/2008
L'art. 47, comma quarto, c.p.c. dispone che il regolamento di competenza d'ufficio sia richiesto con ordinanza, senza dettare alcuna precisazione sui requisiti di contenuto del provvedimento, i quali vanno, pertanto, mutuati dall'art. 134 c.p.c., che prevede, però, la motivazione dell'ordinanza, ma non l'esposizione del fatto sostanziale e processuale. Quest'ultimo requisito, però, è necessario in quanto appaia indispensabile per il raggiungimento dell'atto, potendo, quindi, essere più o meno ampia l'esposizione a seconda di quanto occorra per evidenziare le ragioni su cui si fonda il conflitto. (Nella specie la S.C. ha ritenuto idonea a spiegare ed a rendere intelligibili le ragioni del conflitto, l'affermazione nell'ordinanza del Tribunale che aveva richiesto il regolamento, secondo cui «il giudice di pace rimettente del presente procedimento avrebbe dovuto separare le domande proposte avanti al suo ufficio trattenendo necessariamente la causa di opposizione al decreto ingiuntivo che aveva emesso»)
Cass. civ. n. 27143/2006
Al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza o di ordinanza e sia, pertanto, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere riguardo agli effetti giuridici che esso è destinato a produrre; ne consegue che deve essere definito come sentenza il provvedimento con il quale il giudice definisce la controversia soggetta al suo giudizio, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale; mentre non è definibile come sentenza il provvedimento adottato in ordine all'ulteriore corso del giudizio, anche se con esso siano state decise questioni di merito o di procedura, essendo tali questioni soggette al successivo riesame in sede decisoria. (Cassa senza rinvio, App. Milano, 12 Novembre 2002).
Cass. civ. n. 24159/2006
Nel rito del lavoro, l'irregolare utilizzazione dell'istituto della riserva ex art. 186 cod.proc.civ. non consente di considerare pronunciata in udienza, e quindi conosciuta dalle parti, un'ordinanza emessa fuori udienza, non letta alle stesse e, proprio perché non pubblicizzata attraverso la lettura, depositata in cancelleria. Conseguentemente, il mancato avviso al difensore, nella specie della parte appellata, dell'ordinanza, emessa fuori udienza e depositata in cancelleria, determina, ai sensi dell'art. 176, comma secondo, cod.proc.civ., in relazione agli artt. 134 e 156 cod.proc.civ., la nullità del provvedimento nonché la conseguente nullità, ex art. 159, cod. proc. civ., degli atti successivi e della sentenza. (Cassa con rinvio, App. Caltanissetta, 22 Novembre 2003).
Cass. civ. n. 11353/2004
Nel rito del lavoro il ricorrente deve - analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal disposto dell'art. 163, n. 4, c.p.c. - indicare ex art. 414, n. 4 c.p.c. nel ricorso introduttivo della lite gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda. In caso di mancata specificazione ne consegue la nullità del ricorso, da ritenersi però sanabile ex art. 164, comma quinto, c.p.c. (norma estensibile anche al processo del lavoro). Corollario di tali principi è che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice, per la rinnovazione del ricorso o per l'integrazione della domanda, e la non tempestiva eccezione di nullità da parte del convenuto ex art. 157 c.p.c., del vizio dell'atto, comprovano l'avvenuta sanatoria della nullità del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex art. 156, comma secondo, c.p.c. La sanatoria del ricorso non vale, tuttavia, a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati né specificati in ricorso, sicché il convenuto può eccepire, in ogni tempo e in ogni grado del giudizio, il mancato rispetto da parte dell'attore della norma codicistica sull'onere della prova, in quanto la decadenza dalle prove riguarda non solo il convenuto (art. 416, terzo comma, c.p.c.), ma anche l'attore (art. 414, n. 5, c.p.c.), dovendo ambedue le parti, in una situazione di istituzionale parità, esternare sin dall'inizio tutto ciò che attiene alla loro difesa e specificare il materiale posto a base delle reciproche istanze, alla stregua dell'interpretazione accolta da Corte Cost. 14 gennaio 1977, n. 13.
Cass. civ. n. 10946/2004
Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia quindi soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, occorre aver riguardo, non già alla sua forma esteriore ed alla qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma agli effetti giuridici che esso è destinato a produrre. Pertanto, siccome il provvedimento — impropriamente qualificato ordinanza — con cui il giudice monocratico affermi la propria giurisdizione ha natura di sentenza non definitiva, deve ritenersi preclusa, in mancanza di riserva di impugnazione, la riproposizione della questione di giurisdizione attraverso l'impugnazione della sentenza definitiva.
Cass. civ. n. 5238/2004
I provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione sono normalmente assunti, ai sensi dell'art. 487, primo comma, c.p.c., con ordinanza, e sono modificabili o revocabili finchè non abbiano avuto esecuzione, costituendo anch'essi espressione del potere di direzione del processo e, in quanto diversamente regolanti quanto già disciplinato dal provvedimento precedentemente adottato, sono soggetti a riesame mediante opposizione agli atti esecutivi.
Cass. civ. n. 4929/2004
Le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza ed inserite nel processo verbale a norma dell'art. 134 c.p.c. si reputano conosciute sia dalle parti presenti sia da quelle che avrebbero dovuto intervenire, e pertanto non devono essere comunicate a queste ultime dal cancelliere; in particolre, non deve essere comunicata al procuratore costituito ma assente la nomina del consulente tecnico d'ufficio avvenuta in udienza.
Cass. civ. n. 12794/1997
Se un'ordinanza fuori udienza – nella specie emessa dal presidente del collegio in accoglimento dell'istanza di anticipo dell'udienza di decisione della causa – è comunicata (art. 134, secondo comma, c.p.c.) presso la cancelleria anziché nel domicilio eletto (art. 82, primo comma, R.D. 22 gennaio 1934, n. 37), la sentenza è insanabilmente nulla (artt. 156, secondo comma, e 159, c.p.c.), se la parte non ha partecipato alla discussione né ha svolto attività difensiva (comparsa conclusionale o eventuale memoria di replica), per violazione del relativo diritto e del principio del contraddittorio, vizi rilevabili ex actis in sede di legittimità, trattandosi di error in procedendo.
Cass. civ. n. 7958/1997
L'ordinanza emessa dal tribunale a norma dell'art. 11 della legge n. 319 del 1980 (resa, in tema di liquidazione a periti e consulenti, in camera di consiglio ed in presenza di più parti), pur incidendo, con carattere di definitività, su diritti soggettivi (ed essendo, conseguentemente, assoggettabile al rimedio processuale del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., per mancata previsione di altri e diversi mezzi di impugnazione), conserva la propria veste formale di provvedimento collegiale ordinatorio che, come tale, ed a prescindere dalla natura sostanziale di sentenza, va sottoscritto, a norma dell'art. 134 c.p.c., dal solo presidente, e non anche dal giudice relatore.