La disposizione in esame disciplina quella che viene normalmente definita “
equità concordata", per indicare che la medesima, a differenza di quella necessaria, si fonda sull'accordo delle parti.
In considerazione del fatto che la norma richiede che la causa riguardi
diritti disponibili, costituisce opinione unanime in dottrina quella secondo cui la concorde richiesta ha valore di atto di disposizione del diritto controverso; per tale ragione si ritiene indispensabile che detta richiesta provenga direttamente dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale.
Per quanto concerne il suo ambito di applicazione, come si ricava dalla stessa lettera della norma, l'istanza di decisione secondo equità può essere formulata in qualsiasi giudizio sia di primo grado che in grado di appello; unico limite va individuato in quelle controversie che, pur vertenti su diritti disponibili, rientrino nella competenza del giudice di pace e siano di valore inferiore alla soglia di cui al secondo comma dell’
art. 113 del c.p.c. (tali controversie, infatti, sono assoggettate
ex lege ad equità necessaria, la quale è inderogabile sia ad opera delle parti che del giudice).
Mediante il ricorso all'equità previsto da questa norma le parti chiedono al giudice o agli arbitri di decidere la controversia applicando non le norme generali e astratte di stretta legalità, ma regole nuove, create per la singola fattispecie, facendo riferimento alle circostanze concrete.
A differenza del caso dell'equità necessaria previsto dalla norma che precede, in cui le parti sono soggette alla decisione di equità, indipendentemente dalla loro volontà, nel caso della norma in commento, a fronte della concorde richiesta delle parti, e sempre che il diritto dedotto in causa sia disponibile, le parti devono ritenersi titolari di un interesse di carattere positivo, a che la loro controversia non sia decisa mediante il ricorso alle regole del diritto.
Ciò comporta che il giudice a cui sia stata validamente formulata la concorde istanza ( a differenza del caso di cui al secondo comma dell’art. 113 c.p.c.) ha il dovere di decidere secondo equità.
Secondo quanto espressamente disposto dal secondo comma, seconda parte dell’
art. 118 delle disp. att. c.p.c., il giudice deve motivare adeguatamente la propria decisione; poiché tale disposizione deve essere considerata speciale, la sua violazione incide sulla validità del provvedimento giudiziale.
Inoltre, poiché l’esposizione delle ragioni di equità integra e specifica il contenuto ed i requisiti della motivazione, la loro mancanza o non chiara esposizione costituiscono vizi attinenti al contenuto della
sentenza e come tali saranno censurabili in sede di legittimità ai sensi del n. 4 dell’
art. 360 del c.p.c..
Il secondo comma dell’
art. 339 del c.p.c. sancisce l'inappellabilità delle sentenze pronunciate secondo equità; anche per la decisione di equità concordata vale quanto detto per le sentenze del giudice di pace di valore inferiore ai 1.100 euro, ossia che per la stessa non è ammissibile il riesame del merito proprio dell'
appello.
Va infine precisato che l'equità concordata rientra nella c.d. equità sostitutiva e che non deve essere confusa con quella integrativa.