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Articolo 1115 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Obbligazioni solidali dei partecipanti

Dispositivo dell'art. 1115 Codice Civile

Ciascun partecipante può esigere che siano estinte le obbligazioni in solido contratte per la cosa comune [1108](1), le quali siano scadute o scadano entro l'anno dalla domanda di divisione(2).

La somma per estinguere le obbligazioni si preleva dal prezzo di vendita della cosa comune, e, se la divisione ha luogo in natura [1114], si procede alla vendita [1470] di una congrua frazione della cosa, salvo diverso accordo tra i condividenti.

Il partecipante che ha pagato il debito in solido e non ha ottenuto il rimborso concorre nella divisione per una maggiore quota corrispondente al suo diritto verso gli altri condividenti [1299](3).

Note

(1) Lo scopo della norma è quello di evitare che dopo la divisione i partecipanti continuino a rispondere in solido dei debiti contratti per la cosa comune: vi è il rischio, infatti, di dover pagare per tutti, senza riuscire con successo ad esercitare l'azione di regresso nei confronti degli altri compartecipi non più solvibili.
(2) Il riferimento alla scadenza "entro l'anno" va inteso come anno intero, a decorrere dalla domanda di divisione.
(3) Egli, in altre parole, si rivale in natura sulla massa, avendo diritto a ricevere una quota maggiore di quella che gli sarebbe spettata: può così trasformare il suo diritto di credito in un diritto reale.

Ratio Legis

La disposizione impone una preventiva analisi in ordine al presupposto della solidarietà in riferimento alle obbligazioni assunte per la cosa comune (art. 1294 del c.c.); in ipotesi di divisione i compartecipi alla comunione possono pretendere che esse siano adempiute servendosi del ricavato della divisione.
La norma non trova applicazione in materia di divisione ereditaria.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

523 Il partecipante, il quale sia solidalmente tenuto per le obbligazioni contratte per la cosa comune, ha evidente interesse che queste vengano estinte prima che la divisione sia compiuta. Tale interesse giustifica la norma dell'art. 1115 del c.c., il quale consente a ciascun partecipante di esigere l'estinzione delle anzidette obbligazioni che siano scadute o che scadano entro l'anno dalla domanda di divisione. La somma per estinguere l'obbligazione si preleva dal prezzo di vendita della cosa comune e, se la divisione ha luogo in natura, si procede alla vendita di una congrua frazione della cosa stessa, salvo diverso accordo tra i condividenti. Il partecipante che abbia pagata il debito in solido concorre, com'è ovvio, nella divisione per una maggiore quota corrispondente al suo diritto verso gli altri partecipanti.

Massime relative all'art. 1115 Codice Civile

Cass. civ. n. 27086/2021

Nello scioglimento della comunione ereditaria, al pari di quanto accade per quella ordinaria ai sensi dell'art. 1115, comma 3, c.c., il regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dai rapporti di comunione, in quanto afferenti alla gestione della stessa, previsto dagli artt. 724 e 725 c.c., può essere realizzato dai compartecipi creditori attraverso il prelievo di beni dalla massa in proporzione alle rispettive quote ovvero, quando ciò non sia avvenuto o non sia possibile, attraverso l'incremento delle loro quote di concorso rispetto a quelle risultanti dal titolo della comunione. Con riguardo a quest'ultima modalità, applicabile anche in caso di unico immobile indivisibile, l'individuazione del titolare della quota maggiore si effettua con riferimento alla situazione esistente al momento della relativa pronuncia giudiziale.

Cass. civ. n. 14530/2017

In riferimento alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi - in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l’amministratore i singoli condomini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio - la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli suoi componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie.

Cass. civ. n. 20841/2013

In tema di scioglimento della comunione, il meccanismo di ricalcolo delle quote ai sensi del terzo comma dell'art. 1115 c.c. - per cui la quota del partecipante si incrementa in misura corrispondente al rimborso dovutogli, ove abbia adempiuto obbligazioni contratte in solido per la cosa comune - opera al momento della divisione, a condizione che non siano ancora estinte le obbligazioni in solido dei comproprietari nei confronti di terzi, contratte per la cosa comune, scadute o scadenti entro l'anno dalla domanda di divisione, giacché la norma che prevede l'incremento di valore si correla al secondo comma dello stesso art. 1115, per cui il prezzo di vendita, e comunque il valore della cosa da assegnare, viene diminuito dell'importo necessario all'estinzione delle obbligazioni e il valore recuperato per effetto dell'estinzione dell'obbligazione viene riaccreditato al condividente che ha pagato sotto forma di incremento del valore della quota.

Cass. civ. n. 1299/1991

Anche nel caso in cui con riguardo alla divisione relativa ad una comunione ereditaria uno dei coeredi abbia provveduto al pagamento di un debito solidale contratto per la comunione, senza ottenerne il rimborso «pro quota» da parte degli altri coeredi, con la conseguente espansione della sua quota a norma del terzo comma dell'art. 1115 c.c., per stabilire quale sia il maggiore quotista, al fine di attribuirgli un bene immobile non comodamente divisibile, occorre valutare l'immobile in questione con riferimento al momento della apertura della successione.

L'obbligo di rimborso posto a norma dell'art. 1115 c.c. a carico dei partecipanti ad una comunione ereditaria nei confronti del coerede che abbia estinto obbligazioni contratte per la cosa comune costituisce debito di valuta e non di valore, in quanto fin dal momento della estinzione del debito solidale sorge a favore del coerede anticipante il diritto al pagamento di una somma di denaro proporzionale all'entità delle quote di partecipazione degli altri coeredi, determinabile con un semplice calcolo aritmetico. Tale debito, pertanto, resta soggetto a rivalutazione soltanto nei limiti ed alle condizioni previste dal secondo comma dell'art. 1224 c.c.

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R. A. chiede
venerdì 19/07/2024
“Buongiorno,
ho ereditato in comunione ereditaria con altri 6 cugini la casa dello zio defunto, la quale è disabitata e le utenze domestiche (luce, acqua e gas) sono ancora attive e pertanto, essendo preoccupata per gli eventuali rischi che tali utenze potrebbero eventualmente causare, avevo deciso di richiederne la disdetta delle stesse. A tale mia richiesta però non furono d’accordo gli altri coeredi e ultimamente le utenze in questione (precedentemente intestate allo zio defunto) sono state volturate a nome di un coerede che salda le bollette ricevute e procede poi a richiedere agli altri coeredi il rimborso pro quota.
La mia domanda pertanto è la seguente:
“essendo l’immobile disabitato di cui non ho alcun godimento dello stesso, e che peraltro verrà posto in vendita, chiedo se in qualità di coerede posso liberamente esonerarmi dal contribuire alla spesa relativa delle utenze in questione.”
Nel ringraziare per una sua risposta, cordialmente saluto.”
Consulenza legale i 06/08/2024
Al momento dell’apertura della successione gli eredi non subentrano automaticamente nell’eredità, in quanto perché ciò accada è necessario che essi manifestino la volontà di accettarla, in modo espresso o tacito.
La prima forma di accettazione deve risultare da atto scritto nel quale emerge chiaramente la volontà di far propri i beni che compongono l’asse ereditario.
L’accettazione tacita, invece, si realizza a mezzo di un comportamento che inequivocabilmente manifesta l’intenzione, da parte di colui che lo pone in essere, di divenire erede a tutti gli effetti, ovvero in qualunque condotta che dimostri chiaramente la volontà di una persona di fare propria la quota d’eredità che gli spetta, ponendo in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare all’eredità.

Costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui la voltura catastale di un immobile caduto in successione costituisce manifestazione implicita della volontà di diventare erede, a differenza della presentazione della dichiarazione di successione, la quale assume rilevanza solo ai fini fiscali.
Nel caso della voltura delle utenze, invece, dipende dalle circostanze, in quanto:
  1. se la voltura delle utenze è fatta dall’erede che è già entrato stabilmente nel possesso dell’immobile, allora l’accettazione tacita è di fatto avvenuta nel momento in cui l’erede ha deciso di fare suo il bene e di comportarsi come proprietario;
  2. se la voltura delle utenze è fatta dall’erede solamente per mera correttezza nei confronti della società, ad esempio per evitare l’interruzione della fornitura, allora non rappresenta una forma di accettazione tacita.
La voltura di un contratto di fornitura di energia, acqua o gas per il decesso dell’intestatario consiste semplicemente nella variazione della titolarità di un contratto da un cliente ad un altro con il medesimo fornitore.
Tale semplice operazione, in linea di massima, non è sufficiente a determinare l’accettazione tacita di eredità.
A ciò si aggiunga che, anche nel caso in cui dovessero essere mantenute le utenze intestate a nome del defunto, il pagamento delle relative bollette non potrebbe mai configurarsi come accettazione tacita di eredità se il chiamato adempia al relativo debito con denaro proprio, al contrario di ciò che accade, invece, nel caso di pagamento effettuato con denaro prelevato dall’asse ereditario.

Quanto fin qui detto, dunque, vale ad escludere che nel caso in esame, non avendo preso possesso dell’immobile caduto in successione e non essendo stato utilizzato denaro di provenienza ereditaria per il pagamento delle bollette, possa corrersi il rischio di aver compiuto o di compiere un atto di accettazione tacita di eredità.

Se, invece, il timore non è quello di incorrere in un atto di accettazione tacita di eredità, ma ci si vuole soltanto esimere dal pagamento delle spese per utenze relative ad un immobile di cui ormai si è divenuti comproprietari iure hereditatis, è bene sapere che l’unico soggetto responsabile di un eventuale mancato pagamento delle bollette è colui in cui favore sono state volturate le relative utenze, in quanto soltanto in questi può identificarsi l’altra parte contrattuale della società di fornitura e soltanto nei suoi confronti può pretendersi l’adempimento, anche coattivo, delle relative obbligazioni.
Pertanto, se il comproprietario che non ha intenzione di mantenere attive le utenze per mancato utilizzo del bene ha intenzione di esimersi dal pagamento delle fatture, è opportuno che faccia constare tale suo dissenso in maniera formale nei confronti degli altri comproprietari, perché soltanto in tal modo questi ultimi non avranno alcun titolo per richiedere il rimborso delle spese sostenute per tale causale né, tantomeno, la società che eroga la fornitura avrà titolo per agire contro il comproprietario non intestatario dell’utenza.

Qualora, invece, il comproprietario che non sia intestatario dell’utenza dovesse far uso dell’immobile, sebbene le fatture risultino emesse soltanto a carico di colui a cui, per ragioni di praticità, è stata intestata l’utenza, quest’ultimo potrà a sua volta agire contro gli altri comproprietari per pretendere il rimborso delle quote di loro spettanza, e ciò in conformità a quanto prescritto dall’art. 1115 c.c. in tema di comunione in generale.