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Articolo 924 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Sciami di api

Dispositivo dell'art. 924 Codice Civile

Il proprietario di sciami di api ha diritto di inseguirli sul fondo altrui(1), ma deve indennità per il danno cagionato al fondo; se non li ha inseguiti entro due giorni o ha cessato durante due giorni di inseguirli, può prenderli e ritenerli il proprietario del fondo.

Note

(1) L'art. 924 applica quanto disciplinato dall'art. 842, il quale prevede che il proprietario può accedere al fondo altrui al fine di recuperare la fauna che ivi si è rifugiata.

Ratio Legis

Secondo alcuni si tratterebbe più propriamente di una forma di accessione.

Brocardi

Consuetudo revertendi

Spiegazione dell'art. 924 Codice Civile

Generalità dell'articolo

Quest'articolo, salvo qualche lieve modificazione di pura forma, corrisponde al primo comma dell'art. 713 del codice del 1865, né vi era ragione di modificarlo, perchè la disposizione in esso contenuta riafferma un principio che, dal diritto romano in poi, è stato accettato da quasi tutte le legislazioni antiche e moderne con lieve varianti, particolarmente circa il tempo dell'inseguimento.

La ragione di queste particolari disposizioni per le api si spiega per la grande utilità di questi laboriosi insetti, che producono un alimento ricco di potere nutritivo, qual'è il miele. L'ape, originariamente selvatica, è stata, fin dai tempi antichi, addomesticata con la riunione in sciami e la chiusura degli alveari, che costituiscono una pertinenza del fondo in cui si trovano.


Natura giuridica dello sciame d'api

Soppresso però l'art. 413 del vecchio codice, che menzionava espressamente gli alveari nell'elenco dei beni immobili per destinazione, potrebbe da qualcuno rimettersi sul tappeto la vecchia questione, che fu dibattuta fra i giuristi francesi (Pothier, Chopin e Lebrun), alcuni dei quali sostenevano che api ed alveari formavano un tutt'uno e che, essendo mobile l'alveare, mobile era pure lo sciame delle api, altri ritenevano che l'alveare e lo sciame inclusovi dovevano essere considerati immobili per destinazione. E fu per troncare questa questione che « les ruches à miel » furono incluse nell'art. 524 del codice Napoleone corrispondente al vecchio art. 413 c.c.

La questione, peraltro, sarebbe oggi infondata poiché, definite dall' art. 817 del c.c. le pertinenze come « cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa », non sembra possa dubitarsi che non uno ma entrambi gli elementi indicati alternativamente quali costitutivi delle pertinenze, si riscontrano negli alveari. La destinazione di questi è normalmente fatta dal proprietario del fondo per una durata notevole, è normalmente fatta dal proprietario del fondo per una durata notevole, in quanto il funzionamento stesso dell'alveare richiede certamente tempo non breve, mentre nel fondo medesimo, di cui diventa un accessorio, lo sciame trova per lo più il proprio nutrimento. Per comprendere, poi, come l'alveare costituisca anche un ornamento del fondo basta osservare con quale senso si orgoglio gli agricoltori si vantano – e giustamente — degli alveari, quando possano fame ammirare una bella serie in un loro fondo.

Ora, pur potendo le pertinenze formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici, dall' art. 823 del c.c., che discipline il regime giuridico delle pertinenze medesime, è stabilito che gli atti e i rapporti giuridici, che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze.

Fino a quando, dunque, le api stanno nell'alveare, e questo è lasciato sul fondo, esse formano pertinenza e subiscono le sorti del fondo medesimo che costituisce, nei rispetti di esse, la cosa principale. Quando, invece, lo sciame abbandona alveare e fondo, e, in formazione unitaria, trasvola e si fissa in altro fondo, lo sciame riacquista la sua originaria natura di cosa mobile e, come tale, può essere acquistato per occupazione.

Sono principi, del resto, che i Romani avevano fissato con tanta chiarezza che il metterli in dubbio non sarebbe giustificato.


Durata dell'inseguimento

Parte della dottrina trova oscura la frase, che era presente nel vecchio codice e che è stata riprodotta nel nuovo, « se non li ha inseguiti entro due giorni, o ha cessato durante due giorni di inseguirli ». E, contrastando decisioni giurisprudenziali, sembra — senza che il pensiero sia chiaramente formulato — che egli, ricollegando la disposizione dell'art. 713 concernente gli sciami di api con l'art. 462 (entrambi del codice del 1865) concernente il passaggio di colombi, conigli e pesci, da una ad altra colombaia, conigliera e peschiera, voglia interpretare la disposizione in esame nel senso che il termine di due giorni sia in ogni caso perentorio, in guisa che se lo sciame non fosse ripreso entro tale termine, non potrebbe essere ulteriormente inseguito. In caso contrario egli osserva che « il termine di due giorni fissato dalla legge perde ogni importanza ».

Pare lecito obiettare che l'appunto mosso dalla dottrina alla giurisprudenza non è fondato. La lettera della legge è sufficientemente chiara: i due giorni sono concessi al proprietario dello sciame perché inizi l'inseguimento non perché lo finisca, e si spiega in quanto lo sciame anche dopo ventiquattro ore potrebbe ritornare all'antico alveare o, se si tratta di sciame di nuova formazione, al nuovo alveare predisposto nel fondo mentre non avviene quasi mai un ritorno dopo quarantotto ore. Se, dunque, il proprietario lascia trascorrere questo termine, la legge reputa che egli non voglia più curarsi dello sciame, questo diventa nullius e il proprietario del fondo, su cui lo sciame si è posato, può farlo proprio. Ma se il proprietario dello sciame ne ha iniziato l'inseguimento, finché questo dura (donec in conspectu nostro est nec difficilis eius persecutio est) è certo che germane nel proprietario l' animus di mantenerne la proprietà e lo sciame non può formare oggetto di occupazione, salvo l'obbligo del proprietario inseguitore di risarcire ai proprietari dei fondi, sui quali le api transvolano, gli eventuali danni causati dall'inseguimento come e esplicitamente sancito nello stesso art. 924 e in altri codici, e come era stabilito nel progetto preliminare della Commissione Reale.' Altrimenti — per ripetere all'inverso la frase precedente perderebbe ogni importanza l'aggiunta contenuta nel testo del ripetuto art. 924 « o ha cessato durante due giorni di inseguirli ».

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

431 Per ciò che concerne l'inseguimento degli sciami, di api e degli animali mansuefatti, rimangono immutate le disposizioni dell'art. 713 del codice del 1865, le quali vengono però divise in due articoli, di cui l'uno (art. 924 del c.c.) relativo agli sciami di api, e l'altro (art. 925 del c.c.) agli animali mansuefatti. Ho soltanto aggiunto, al fine di eliminare ogni controversia, che il termine di venti giorni, entro il quale il proprietario (e al proprietario, sarà da equipararsi, secondo le circostanze, il possessore o il detentore) può reclamare gli animali mansuefatti, decorre dal giorno in cui egli ha avuto conoscenza del luogo dove si trovano. Ho poi trasferito in questa sede (art. 926 del c.c.) la disposizione dell'art. 462 del codice precedente, secondo cui i colombi, i conigli e i pesci che passano ad altra colombaia, conigliera o peschiera, si acquistano dal proprietario di queste, quando non vi siano stati attirati con arte o con frode. Mi è sembrato che più correttamente debba in questo caso ravvisarsi acquisto per occupazione, anziché per accessione.

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